sabato 8 luglio 2023
L'autrice di "12 Bytes": «Proteggiamo l’immaginazione che affronta tutto ciò che non è comprabile o vendibile»
La scrittrice Jeanette Winterson

La scrittrice Jeanette Winterson - Sam Churchill/Mondadori

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«Se andremo verso un futuro buono o un futuro terrificante dipenderà solo da noi. Questo è il tempo delle scelte». Con queste parole la scrittrice inglese Jeanette Winterson, appena uscita con 12 Bytes. Come siamo arrivati fin qui, dove potremmo finire in futuro (Mondadori, pagine 348, euro 21), risponde alla domanda: come si possono affidare a un sistema automatico scelte che sono soprattutto valoriali? Il problema si è reso particolarmente urgente con il fenomeno delle fake news create con immagini e video completamente artefatte a partire dalle quali è sempre più difficile distinguere vero e falso, ma non solo. «Dobbiamo tenere a mente – spiega Winterson – che attualmente l’intelligenza artificiale non è che uno strumento, e l’essere umano non è che un animale capace di utilizzarlo; quello che stiamo vedendo attualmente è il peggio di noi come esseri umani. È uno specchio che riflette e ci rimanda in modo amplificato il nostro lato più brutto. Ora, è sempre facile dare la colpa alle macchine, perché noi esseri umani siamo sempre alla ricerca di qualcuno su cui scaricare le responsabilità. Quindi io credo che possiamo usare la tecnologia per peggiorare la nostra vita oppure fare una scelta consapevole e usarla per renderla migliore, ma è sempre questione di scelta».

Ci troviamo a un bivio: «Certo. Cosa facciamo riguardo al clima? Possiamo modificare i nostri modelli economici in direzione di una maggiore sostenibilità? Riusciamo a smettere di combatterci gli uni con gli altri? Mi piacerebbe sentire donne e uomini politici di tutto il mondo dire che è il momento di fare una scelta, non secondaria o minore, ma la più importante, dalla quale dipenderà il nostro futuro». È di questo che parla Winterson nei dodici saggi che compongono il suo libro, rielaborando anni di riflessioni e letture sull’intelligenza artificiale in tutte le sue declinazioni, attingendo da storia, religione, mito, letteratura, politica di razza e di genere e informatica, per provare a comprendere i cambiamenti radicali del nostro modo di vivere e amare: «La chiesa – continua – ha sempre pensato che il mondo finirà. Tutte le culture umane hanno come componente originaria innata l’idea di apocalisse. Noi abbiamo dentro l’idea del disastro, e forse ci piace persino pensare che le cose finiranno in maniera tremenda un giorno. A partire dalla Seconda guerra mondiale, dall’utilizzo della bomba atomica, gli esseri umani questo potere di far finire il mondo ce l’hanno in mano, ed è per questo che parlo del momento presente come il momento della scelta finale. Non dobbiamo avere paura dell’intelligenza artificiale, siamo noi esseri umani che mettiamo paura. E non vorrei che tutto questo gran parlare della nostra conquista da parte dei robot ci distraesse dalla consapevolezza che in realtà la scelta è nostra e non delle macchine».

Non si può infatti eludere – e Winterson non vi sfugge – una questione importante: di fronte a strumenti che consentono l’automatizzazione della produzione, cosa può aggiungere l’arte? Qualche giorno fa papa Francesco ha incontrato gli artisti, parlando della loro veggenza nel cogliere la realtà e della capacità trasformativa di arte e fede. « Arte e fede – spiega la scrittrice, che è cresciuta in una famiglia evangelica – hanno in comune il fatto di affrontare tutto ciò che non sempre si può vedere. Non parlo solo del mondo tridimensionale, il nostro mondo, ma il mondo invisibile. È molto importante per le nostre società materialiste proteggere l’idea di un’immaginazione che affronti tutto ciò che non è immediatamente e visibilmente comprabile o vendibile. Sono due differenti sistemi di valori, non solo quello incentrato sul nostro status nel mondo, ma anche il genere di persone che siamo. Non penso all’arte come a un genere di lusso, l’arte è essenziale perché ci mette in contatto con quella parte di noi che non è legata a ciò che produciamo, ma all’effetto che questa ha sugli individui che la incontrano. Per quanto riguarda la religione, invece, la fede fa bene all’anima. E tutti sappiamo cosa significhi non avere un’anima. Penso che gli esseri umani debbano sempre proteggere l’anima, che non si può né comprare né vendere. Nessuno a mio modo di vedere può fare l’artista se non è capace di ritrarsi dal mondo per andare in cerca di un mondo invisibile, che poi a sua volta riesce a trasformare in qualcosa di nuovo».

Domani Jeanette Winterson sarà a Roma per il Festival Internazionale Letterature, manifestazione dell’estate romana promossa dall’Assessorato alla Cultura di Roma, per la terza di cinque serate allo Stadio Palatino, all’interno del Parco Archeologico del Colosseo (le prossime saranno 11 e 13 luglio) che hanno al centro il tema La memoria del mondo, in omaggio all’opera di Italo Calvino, nel centenario della nascita. Con lei Burhan Sönmez e Katja Petrowskaja.



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