lunedì 5 dicembre 2016
Esce «Oxygène 3» a 40 anni dal debutto del pioniere della musica elettronica, appena nominato ai Grammy. Che ricorda «l'emozione di quando suonai nella mia Lione per Giovanni Paolo II»
Jean-Michel Jarre: «Suono la musica dell'universo»
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«Questo nuovo progetto musicale è nato un anno fa, subito dopo gli attentati di Parigi. C’è qualcosa di incontrollabile nella vita di ognuno di noi, nel bene e nel male. Oxygène 3 è nato per esprimere il caos che ci circonda». Ti guarda attento, con uno sguardo serio e profondo, prima di rispondere puntuale Jean-Michel Jarre, uno dei padri fondatori della musica elettronica. L’artista più venduto di Francia con i suoi 80 milioni di dischi racconta ad Avvenire come ha deciso a 67 anni di concludere la trilogia iniziata 40 anni fa con il rivoluzionario album Oxygène 1-6 e proseguita 20 anni fa con Oxygène 7-13. Adesso è l’ora di chiudere il cerchio qui al Planetario di Parigi, sotto un cielo nero dove pulsano galassie lontane e si inseguono roteando pianeti che accompagnano la première mondiale di Oxygène 3, ora disponibile nel negozi e online in un cofanetto contenente tutta la trilogia per Sony Music International. Una sequenza affascinate di 7 melodie che accompagnano l’ascoltatore in un viaggio di 40 minuti fra aperture spaziali, suggestioni cosmiche, echi “terrestri” di foreste misteriose e domande extraterrestri come nel nuovo video di Oxigène pt. 17.


A riprova, ci ribadisce Jarre, di come l’umanità e la melodia siano da sempre al centro del lavoro di questo ragazzo di Lione, figlio del compositore Maurice Jarre, cresciuto armeggiando gli aggeggi musicali creati dal nonno paterno André, oboista, ingegnere e inventore che gli regalò il primo registratore. La passione per la sperimentazione sui primi strumenti analogici (come il VCS3, il primo sintetizzatore europeo che Jarre utilizza tuttora in scena) si uniscono agli studi al Conservatorio di Parigi, all’influenza del jazz di John Coltrane e Chet Baker fino alle ricerche musicali dirette da Peter Schaeffer. Da quel 1976, quando registrò in casa con pochi soldi Oxygène, in cui non credeva nessuno e che poi vendette 12 milioni di dischi, Jarre ne ha fatta di strada. Ora impegnato in Europa nell’Electronica Tour mentre il suo album precedente, Electronica 1: The Time Machine, è appena stato nominato ai Grammy 2017 come miglior album dance/elettronico. Da record, inoltre, sono i suoi spettacolari eventi live, un trionfo di suoni e luci, visti da milioni di persone: dal concerto in Place de la Concorde a Parigi il 14 luglio del 1979, in collegamento con 100 milioni di telespettatori in tutto il mondo, a quello nella Città Proibita di Pechino nel 1981, il primo di un musicista occidentale in Cina dopo la rivoluzione culturale. Sino al concerto per lui più emozionante, quel Rendez vous à Lyon per la visita di Giovanni Paolo II il 5 ottobre 1986, di fronte a quasi un milione di persone.

Jean-Michel Jarre come ricorda l’evento per Giovanni Paolo II?

«Emozionante perché era nella mia città. Suonai dove c’era il mercato dove da piccolo andavo con mia nonna. Il concerto iniziò dopo la benedizione in cattedrale con cui il Papa diede la buonanotte. Ma prima avevamo avuto un colloquio privato di 45 minuti in cui mi aveva parlato di tutto, di Solidarnosc in particolare, per il cui 25mo anniversario ho poi suonato nel 2005 in Polonia rendendo omaggio a Giovanni Paolo II con due brani (vedi video sotto). Oltre che dal suo immenso carisma, io rimasi colpito dalla taglia delle sue scarpe. Mi colpì molto un uomo così con la testa nel cielo e i piedi ben piantati su questa terra. Un Papa speciale, come pure papa Francesco che mi piacerebbe davvero incontrare, anche perché ne condivido la visione sull’ambiente».

Uomo, pianeta e universo sono un tutt’uno, come suggerisce la copertina del disco ideata da Michel Granger, che rappresenta il globo terrestre come un teschio.

«Già nel 1976 quel disegno era una sorta di monito ecologico, cupo e surreale, in grado di evocare lo spazio cosmico e il nostro spazio vitale Oxygène, ossigeno, è stato il primo manifesto ecologista. La musica elettronica che faccio è legata allo spazio, è come l’aria che si respira. Mentre il jazz è legato al corpo, è una musica interiore. Quaranta anni fa non eravamo in tanti a parlare di ecologia, ci consideravano dei new hippie. Ora tutti sono consapevoli di questi problemi».

I suoi brani rappresentano la nostra epoca, fra inquietudini e speranza?

«Esattamente. Questo album è oscuro e luminoso, come la vita. Ma la speranza è sempre più forte della tragedia. Nella creazione io sono sempre interessato agli ossimori, come la gioia che arriva attraverso una fase di malinconia».

La musica ha a che fare con l’anima?

«La musica tocca l’anima, è la colonna sonora del film che ognuno di noi ha dentro di sé. Fa lavorare l’immaginazione e per me è fondamentale la melodia. Noi francesi, italiani e tedeschi ce l’abbiamo nelle nostre radici classiche. Per me il rock è una musica etnica americana che ha invaso il mondo, e l’elettronica è la musica etnica europea che ha invaso il mondo».

Lei ha radunato milioni di persone ai suoi concerti. E ora con l’allarme terrorismo?

«Il vero problema del terrorismo è che non si sa quando colpisce e dove. Ma si corrono meno rischi ad andare ad un concerto ben organizzato che in metropolitana. E comunque occorre vincere la paura. Per questo a luglio sono andato a fare un concerto a Baalbek in Libano, a 25 chilometri dalla Siria, portando anche i miei figli. Sentivo l’esigenza di andare là dove non c’è più gente che fa musica perché è terrorizzata».

La musica, quindi, può unire e far dialogare i popoli?

«Il solo legame che unisce i popoli è il miglioramento dell’educazione e della cultura. L’economia e la politica ci separano. Basta vedere il fallimento dell’Europa politica ed economica. Noi europei siamo una famiglia legata dalla cultura. E quando tutti i popoli sono educati possono avere una base comune su cui dialogare».

E le tecnologie? Lei che ne è stato un pioniere, cosa pensa della loro invasività oggi?

«Ogni epoca è partita dall’oscurità per migliorare attraverso il progresso. Delle tecnologie dipende cosa ne facciamo. Internet ha portato indubbi vantaggi rendendo accessibile l’informazione e l’educazione a persone che non ne avrebbero mai avuto l’occasione. Ma esiste il problema siamo stati trasformati da protagonisti a prodotti: le informazioni vengono filtrate, i tuoi acquisti vengono schedati e tu vieni profilato al millimetro. Per questo ho messo la voce di Edward Snowden in un mio pezzo nell’album precedente Electronica. Voglio rendere omaggio a tutti quei coraggiosi che ci aiutano ad aprire gli occhi».

E la pirateria? Che ne pensa da Presidente della Confederazione internazionale delle Società di autori e compositori?

«Il concetto della proprietà intellettuale è un diritto fondamentale dell’uomo specie per le prossime generazioni. Se non definiamo ora un modello economico per i creativi, non potranno realizzarsi i sogni e i progetti dei futuri musicisti, scrittori, giornalisti, autori di teatro. Ci stiamo giocando l’avvenire».

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