sabato 10 dicembre 2011
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Nel suo La sposa siriana ha raccontato la quotidianità paradossale delle comunità dei drusi che vivono sulle alture del Golan, il territorio conteso tra Israele e la Siria. Con Il giardino dei limoni ha proposto sul grande schermo la vicenda (vera) della vedova palestinese che un giorno si trova ad avere per vicino di casa il ministro della Difesa israeliano. Ora invece – dopo aver anche diretto la versione cinematografica di Il responsabile delle risorse umane, il romanzo di Avraham Yehoshua – Eran Riklis prova a confrontarsi con il tema per antonomasia per un regista israeliano: la memoria della Shoah.Si intitola Playoff il suo nuovo film, uscito nelle sale israeliane qualche giorno fa. Una pellicola che – come è solito fare Riklis – sceglie ancora una volta un punto di vista fuori dagli schemi per raccontare la grande tragedia. Perché, come il titolo stesso del film sta lì a suggerire, Playoff è un film che ha al centro il mondo del basket. Narra infatti la storia di un grande allenatore israeliano, un sopravvissuto all’Olocausto, che alla metà degli anni Ottanta accetta l’offerta più scandalosa per l’opinione pubblica ebraica: andare ad allenare la nazionale della Germania Ovest. Ciò la squadra di quello che – pur essendo ormai passati trent’anni – resta comunque il Paese dei carnefici.Anche questa volta la storia a cui si ispira Riklis è vera. Nel film il protagonista si chiama Max Stoller ed è impersonato da Danny Huston, il figlio del grande regista John Huston. Ma per qualsiasi israeliano è chiarissimo il riferimento alla figura di Ralph Klein, l’allenatore del Maccabi Tel Aviv da lui portato per la prima volta sul tetto d’Europa; ma che nel 1983 accettò a sorpresa di andare a guidare la Germania Ovest, allora una delle squadre meno quotate del ranking europeo. Quella di Klein – nato a Berlino nel 1931, uno tra i tanti ebrei scampato alla Shoah grazie all’opera del diplomatico svedese Raoul Wallenberg – fu una scelta che infiammò gli animi in Israele: in un Paese dove erano ancora decine di migliaia i sopravvissuti dei campi di sterminio, l’uomo che fino al giorno prima era considerato da tutti un idolo divenne all’improvviso un traditore.Nel suo Playoff Riklis reinterpreta questa storia giocando su più piani. C’è quello prettamente sportivo, che segue lo schema classico dell’allenatore carismatico che prende in mano la squadra mediocre e riesce a trasformarla. Ma il regista israeliano guarda soprattutto altrove: alla diaspora a ritroso di quest’uomo di mezza età che pur essendo nato in Germania con i suoi giocatori non parla mai tedesco. Il mister che, di fronte alle domande dei giornalisti sul suo passato, risponde parlando sempre e solo di basket. Ma poi a Berlino non riesce a trovare la forza di mettere piede in una certa pasticceria legata a un ricordo tragico della sua infanzia. Finché non sarà l’incontro con una donna turca che – insieme alla figlia adolescente – vive in quella che era la casa della sua famiglia ad aiutarlo a fare davvero i conti sul passato. E a portarlo a scoprire realmente come andarono le cose per lui e per i suoi nella Berlino dei nazisti. Una parabola tra sport e memoria, dunque, che esce proprio nella stagione cinematografica che precede le Olimpiadi. Ulteriore ingrediente che fa pensare che anche questo nuovo film di Riklis farà parlare di sé non solo a Gerusalemme.
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