
Lo scudetto del Napoli - Ansa
“Je so’ pazzo… di questo Napoli”, avrebbe cantato Pino Daniele, chiamando a raccolta tutta la band di Napoli Centrale per festeggiare, sul palco di piazza Plebiscito, il 4° scudetto degli azzurri di Antonio Conte. “Festeggiamo, siamo felici, ma non dimentichiamo l’acqua e il gas aperti”, gli avrebbe fatto eco il suo amico fraterno Massimo Troisi che ha fatto in tempo a vedere i due scudetti dell’era Maradona, e poi dopo la prova testamento de Il postino è volato via. Nella notte del 4° tricolore del Napoli ho immaginato Pino, Massimo e Diego, seduti su un divano a godersi dall’Alto lo spettacolo e commentarlo divertiti con il loro intervistatore speciale, Gianni Minà che se la rideva sotto i baffi proclamando “questa è la vittoria del Sud contro i potenti club del Nord”. Ma questi sono solo sogni di un inguaribile romantico del pallone. Comunque la realtà del Napoli, non è poi così distante dal sogno.
“Questo è lo scudetto del lavoro”, ha detto a petto in fuori Antonio Conte stakanovista indefesso, tecnico dagli allenamenti al limite della sopportazione umana e ugola sempre accesa dalla panchina. Lo scudetto del lavoro galvanizza anche il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, uno che mastica calcio fin da ragazzino: “Mio padre era un dirigente del Nola, la nostra città, io arrivo dalla provincia e per anni ho girato i campi della D, C2 e C1, adesso mi godo questo spettacolo del nostro Napoli”. Un’eccellenza calcistica capace di conquistare due scudetti in tre anni, in un tessuto sociale dove aumentano gli impianti sportivi e dove Scampia è sinonimo del campione d’Italia Pasquale Mazzocchi lo scugnizzo nato nel quartiere (20 presenze in campionato) e della Palestra di Gianni Maddaloni dove si insegna “sport e legalità”. Il Mare che bagna Napoli è stato scelto per la Coppa America e questo porterà ancora più turisti in una città che da sempre è teatro e museo a cielo aperto. E sotto questo cielo vive nel cuore della gente dei vicoli il nume tutelare di Diego Armando Maradona. L’Eupalla breriano che illumina ancora un popolo e una squadra che era partita a fari semispenti e con l’handicap in avvio della sconfitta di Verona. Un 3-0 che fece gridare a Conte “mi vergogno!”, ma giornata dopo giornata le cose sono decisamente cambiate fino ad arrivare all’apoteosi degli ultimi 90 minuti.
Tanto per cominciare, dopo la fatal Verona c’è stata subito la reazione a catena con una striscia di 8 vittorie e un pareggio. Era l’inizio di una cavalcata che ha visto i partenopei al comando del torneo per ben 23 giornate su 38. I numeri nel calcio contano eccome e in una città come Napoli devota al sacro gioco del Lotto non se ne scarta nessuno. 82, i punti conquistati per un successo di cortissimo muso, appena una lunghezza in più dell’Inter che, diciamocelo, è la grande sconfitta del campionato, ma assieme all’Atalanta. L’Inter ha una rosa superiore al Napoli e per questo era condannata a vincere. L’Atalanta, quarant’anni dopo lo storico scudetto di una provinciale, il Verona di Osvaldo Bagnoli, sembrava potesse ricalcare quella storia da piccolo è bello. La squadra di Gasperini all’andata aveva dato lezioni di calcio al Maradona con uno 0-3 che faceva dubitare sulla resa finale del club del cinepresidente De Laurentiis. Era il novembre scorso e Conte scalpitava per dei rinforzi che gli consentissero di compiere l’impresa. Richieste non accolte e primi dissapori. Dopo un pressing asfissiante ha ottenuto almeno il suo bomber amuleto Lukaku con cui ha vinto al Chelsea, all’Inter e ora anche al Napoli. Ma a fronte dell’arrivo del colored belga c’è stata la cessione clamorosa del gioiello Kvaratskhelia passato al Paris Saint Germain.
A proposito del georgiano, pochi come lui possono vantare due scudetti messi nella bacheca personale nel corso della stessa stagione, quello con il Napoli al quale ha contribuito con 5 gol e 3 assist e poi il titolo francese vissuto da protagonista con il Psg, con cui il 31 maggio a Monaco di Baviera andrà a sfidare l’Inter nella finalissima di Champions. Il vuoto lasciato da Kvara è stato colmato da Neres e poi da un rientro formato Euro2020 di Spinazzola. L’uomo in più del Napoli è da tempo il computer di centrocampo Lobotka, uno dei magnifici 10 del ciclo Spalletti che hanno fatto il bis-tricolore. Ha rischiato di non far parte di questa top ten azzurra il capitano Giovanni Di Lorenzo che in estate aveva minacciato di andarsene, ma Conte lo ha convinto a restare dicendogli: “Tu sarai il perno di questa squadra”. E così è stato. Ma una menzione speciale merita il centrocampista scozzese Scott McTominay. Uno che al Manchester United aveva segnato 19 gol in 178 battaglie di Premier, molte delle quali partendo da ruota di scorta e invece a Napoli ha scoperto di essere una diga mobile e invalicabile ma soprattutto un cecchino implacabile da 12 gol, solo due meno di bomber Lukaku. Considerato che 8 reti le ha segnate con il Napoli sullo 0-0 McTominay è davvero l’uomo-scudetto con tanto di rete finale in semirovesciata che potrebbe indurre la Panini a cambiare l’iconica bustina che da tempo immemore ritrae la rovesciata di Parola.
Dopo la sbornia di felicità collettiva, con una città che non sta nella pelle e pensa già a lunedì pomeriggio, al giro d’onore della squadra di Conte sul bus scoperto garantito dal Napoli e dal Comune, la parola adesso passa al tavolo presidenziale. De Laurentiis forte dei successi, potrebbe avere una delle sue alzate di ingegno e costringere Conte alla fuga dopo la vittoria. Il tecnico è uno abituato al vinci e fuggi, lo ha fatto alla Juventus dopo il terzo scudetto di fila in cui, da cuore bianconero sbatté la porta in faccia ad Andrea Agnelli rinfacciandogli le strategie di mercato e salutandolo con uno sprezzante “non si mangia con 10 euro in un ristorante da 100 euro”. All’Inter un attimo dopo il trionfo aveva già la valigia pronta per tornare a Londra e tentare l’impossibile con il Tottenham. Forse l’unica scelta in carriera di cui si è un po’ pentito, ma Conte è uno che rinnova continuamente la sfida e questa di Napoli l’ha colta al volo, come al volo è pronto a prendere il prossimo aereo e magari a ricominciare dalle sue origini (chi vuol capire capisca). De Laurentiis è avvertito, il cinema gli avrà anche insegnato a “non avere mai paura”, ma il popolo napoletano invece che ama e si aggrappa a chi riesce a farlo sentire finalmente vincente ha tanta paura, che dopo Spalletti debba salutare anche Antonio Conte. Intanto, che la festa prosegua.