mercoledì 23 ottobre 2019
Nel Paese in ricostruzione dopo la guerra civile è lo sport più cresciuto. E la Federazione conta già 150 iscritti. Il presidente Bayingana: «Abbiamo ottimi corridori e belle strade, ora il Mondiale»
Gli atleti della nazionale di ciclismo del Ruanda. Da sinistra: Munyaneza, il ct americano Magnell, Byukusenge, Ukiniwabo e Uwizeye

Gli atleti della nazionale di ciclismo del Ruanda. Da sinistra: Munyaneza, il ct americano Magnell, Byukusenge, Ukiniwabo e Uwizeye

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Il 6 luglio 2003 la nazionale di calcio del Ruanda si qualifica alla Coppa d’Africa dell’anno successivo in Tunisia. Un miracolo sportivo per un Paese in piena ricostruzione in seguito alla guerra civile che nel 1994 è culminata con il genocidio di circa un milione di Tutsi, Twa e Hutu moderati.

Un miracolo che col tempo si rivelerà solo un fuoco di paglia, riacceso flebilmente nel 2016 dalla qualificazione ai quarti di finale della Chan, la Coppa d’Africa riservata ai calciatori che militano nel continente. Il calcio è spesso il carburante prediletto per alimentare il motore dei Paesi che devono rialzarsi e ripartire, ma i ruandesi hanno scelto di percorrere un’altra strada. E di farlo in sella a una bici.

Nel “Paese delle mille colline” la bicicletta è un mezzo fortemente presente nella quotidianità delle persone: viene utilizzata per trasportare merci e addirittura come taxi - molti corridori professionisti ruandesi hanno cominciato trasportando persone per le strade del Paese. Quelle strade su cui hanno poi disegnato una nuova immagine del Ruanda, tanto martoriato da terribili faide etniche. Da Butare, città universitaria e sede del Museo Etnografico, ai distretti turistici di Kirongi e Rubavu che si affacciano sul lago Kivu; da Nyamata, città che ospita il memoriale del genocidio, a Kigali, capitale innovativa e principale hub tecnologico d’Africa, negli ultimi dieci anni i ruandesi hanno percorso migliaia di chiilometri e posto la propria bandiera nella mappa del ciclismo internazionale.

«Il ciclismo è senza ombra di dubbio lo sport più riuscito in Ruanda», afferma fiero Aimable Bayingana, presidente della Federazione ruandese di ciclismo. «È lo sport che più si è sviluppato nel corso degli anni, considerando che fino a una decina di anni fa nessuno conosceva il nostro movimento». Le gambe hanno pedalato velocemente e la crescita è stata davvero repentina. Il Tour di Ruanda ne è la dimostrazione: la corsa ruandese principale è entrata a far parte dell’Uci Africa Tour nel 2009 e per l’edizione 2019 è salita di livello, raggiungendo l’unica altra corsa africana di respiro mondiale, la Tropicale Amissa Bongo che si svolge in Gabon.

Il Tour di Ruanda è ora nella categoria 2.1 - la stessa categoria, per intenderci, della Settimana Internazionale di Coppi e Bartali - e può aprirsi anche alle squadre World Tour; nel 2019 ha partecipato l’Astana, team da cui proviene il vincitore, l’eritreo Merhawi Kudus. «Vantiamo il tour più popolare del continente e a Musanze abbiamo costruito un centro di formazione che serve tutta l’Africa centroorientale. Il movimento ciclistico ruandese è uno dei motori di questo sport in Africa», certifica Bayingana che individua nella volontà del governo di Paul Kagame e della Federazione di cui è a capo l’elemento chiave nella volata che ha elevato il movimento locale a una dimensione internazionale. «I nostri corridori sono tra i migliori del continente e ottengono successi in ogni competizione e in qualunque fascia d’età».

Sono 150 i ciclisti regolarmente iscritti alla Federazione. L’obiettivo è quello di raggiungere quota 400 entro il 2020 e per far ciò il Ruanda è intenzionato a investire su nuovi centri di formazione da edificare in tutti gli angoli del Paese. Com’è naturale che sia, dietro ogni crescita sportiva è possibile scovare delle figure di rilievo che hanno contribuito a tale processo. Nel caso del ciclismo ruandese, queste figure corrispondono ai nomi di Jonathan Boyer e del suo allievo Adrien Niyonshuti.

La storia del primo si lega al Ruanda nel 2007: Boyer, il primo americano a correre il Tour de France nel 1981, è stato accusato e imprigionato nel 2002 per molestie sessuali nei confronti di una minorenne e una volta scontata la pena ha trovato nel Ruanda la strada del riscatto, dedicandosi alla formazione di ciclisti dilettanti. Tra loro è emerso il talento di Niyonshuti che, attraverso gli insegnamenti di Boyer, è arrivato al professionismo e a fregiarsi del titolo di portabandiera ruandese alle Olimpiadi 2012 a Londra.

Grazie alla spinta di questi due corridori, il ciclismo in Ruanda ha potuto avanzare e produrre nuovi prospetti come il 22enne Samuel Mugisha, membro della Dimension Data for Qhubeka, formazione sponsorizzata dall’azienda Dimension Data, già partner del Tour de France e della Vuelta di Spagna. Nella rosa di ciclisti del team sudafricano sono presenti anche quattro italiani, tra cui Samuele Battistella, primo U23 all’ultimo Mondiale.

A proposito di Mondiali, a quanto pare non manca nulla al Ruanda per diventare il primo Paese africano a ospitarne uno, tanto che a settembre la Federciclismo ruandese ha ufficializzato la candidatura per l’edizione 2025. «Abbiamo ottimi ciclisti, belle strade e infrastrutture all’avanguardia. Noi ci crediamo, abbiamo tutto per organizzare i Mondiali», conclude Bayingana, fermamente convinto che il ciclismo sia «lo sport della rinascita, che rende orgogliosi i ruandesi».

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