domenica 21 aprile 2019
Il cantautore dedica a Gesù il singolo che anticipa il nuovo album. Nel videoclip appare Irazoqui, il Cristo di Pasolini, ne “Il vangelo secondo Matteo”
Vinicio Capossela con l’attore Enrique Irazoqui / Marco Zanella

Vinicio Capossela con l’attore Enrique Irazoqui / Marco Zanella

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Il povero Cristo è sceso dalla Croce. Si è messo sulla strada. Non parla, osserva. Almeno all’inizio quando ritorna sulla terra. Il suo è un volto riconoscibile. Ha lo stesso sguardo di 55 anni fa, è lo sguardo di Enrique Irazoqui, il Cristo voluto da Pierpaolo Pasolini, ne Il vangelo secondo Matteo. Lo ha scelto Vinicio Capossela per il video de Il povero Cristo, il suo nuovo singolo, uscito volutamente tre giorni fa, nel Venerdì Santo. Lo ha scelto affidandosi a chi del cinema conosce bene l’arte come Daniele Ciprì e Marcello Fonte che con Dogman di Matteo Garrone ha vinto Palma D’oro e l’E.F.A. (European Film Awards), come migliore attore protagonista. Il mare in lontananza, la spiaggia deserta, una barca distrutta con le reti stranamente attaccate all’albero, sono lo sfondo di un bianco e nero che annienta il tempo e collocano l’azione in un oggi infinito. Siamo in uno spazio indefinibile, non essenziale, possiamo immaginare il mondo attorno. Quelli presenti sono tutti uomini. Una mano, non si vede a chi possa appartenere, tinge il loro volto di nero. Il loro sguardo è quasi uniforme, insignificante, sono reclinati verso sé stessi e i loro facili soldi. Anche quando arriva un Uomo, il Cristo. Ha lo sguardo cupo e attento, gli occhi dischiusi e malinconici. Di spalle si intravede il profilo di una donna (Rossella Brescia), l’unica che si aggira per quelle strade. È la stessa donna fotografata in una cornice.

Accanto a lei gli uomini camminano distratti, diritti, non si accorgono della presenza del Cristo. Se ne accorge un uomo basso, dal sorriso vivace, forse troppo, e dall’espressività ossequiosa e coinvolgente. Ha un cappello sgualcito, una volta elegante, ora sporco, e mostra quella fotografia, quella donna così affascinante, così normalmente seduttiva. La stessa donna che ha il capo coperto, il grembo in attesa di generare una nuova vita. E forse in attesa che qualcosa di nuovo accada, ora che Cristo sembra ritornato. In mezzo a quella folla anonima quell’uomo e quella donna sono gli unici che cercano di attirare la sua attenzione, di fermarlo, di convincerlo. Eppure canta Capossela, una guerra: non la guerra o le guerre ma una, una qualsiasi, tanto è guerra, domina ed è «nel mondo signora della terra». La stessa che ha portato «l’uomo a dimenticare quella buona novella: amare il prossimo tuo come fosse te stesso (….) e che invece di un fratello vede nel suo simile il primo da affogare, sebbene è un po’ più debole ». Bisogna ascoltarlo, una volta e una volta ancora perché il testo bellissimo di Vinicio Capossela, scritto con Miriam Rizzo, non è facilmente definibile. Neanche quando vedi il video o chiudi gli occhi e ascolti la canzone.

Non ha la maestosa finitezza laica di Francesco Guccini con Dio è morto e di Fabrizio De Andrè in Si chiamava Gesù. Il testo di Vinicio Capossela (che anticipa il nuovo album di inediti Ballate per uomini e bestieche uscirà il 17 maggio), continua a essere poesia in musica; racchiude in sé la grandezza di una Parola che si è fatta carne, corpo, ma l’amarezza per un uomo frantumato che «dovrà sempre mentire». Se si osserva la forza del testo, senza giudicarlo o cercare ciò che potrebbe cancellare quello che della bontà c’è ancora nell’umanità, si intravede una grande poesia sulla libertà e sull’uomo di oggi che fa fatica, più di prima, a salvare e a essere salvato. Una poesia su come l’uomo può respingere ciò che lo rende umano. Capossela abbandona la gioia ironica de L’uomo vivo( una canzone dell’album Ovunque proteggi) e ci ricorda come l’uomo di oggi, ripiegato su di sé, continua a incontrare l’Uomo, quel povero Cristo sceso dalla Croce, ma lo rifiuta. E può sporcare quel volto e diventare un anonimo tra gli anonimi. Eppure c’è ancora chi non sporca quel volto. Non è una supposizione o una speranza. È la dedica finale del video de Il povero Cristo girato e dedicato a Riace, proprio a quella cittadina calabrese dove ancora esiste «chi lotta per mettere in pratica la buona novella».

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