mercoledì 19 marzo 2025
Al Festival Soul: la fiducia si è spostata su automatismi sostitutivi, come nel caso dei bitcoin. Dobbiamo impedire la colonizzazione totale del nostro mondo sociale
Hunyadi: «Vi spiego cosa significa fidarsi al tempo del digitale»

Ansa

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«Ci troviamo immersi in una crisi sistemica che non può essere imputata a un solo individuo ma è l’esito della somma dei comportamenti che avvengono all’interno di un sistema, dell’accumulo di azioni individuali. Solo per fare un esempio possiamo considerare il comportamento consumistico di ogni individuo che alla fine porta all’esaurimento delle risorse naturali e contribuisce al cambiamento climatico», spiega Mark Hunyadi, filosofo svizzero di origine ungherese e docente di filosofia sociale, morale e politica all’Università Cattolica di Lovanio. Di lui è appena uscito per Vita e Pensiero Credere nella fiducia (pagine 124, euro 15,00). In occasione del dibattito, moderato da Aurelio Mottola, che il pensatore di lingua francese affronterà con Miguel Benasayag, nel corso del festival della spiritualità Soul, sabato 22 marzo alle ore 14.30 presso il Museo diocesano di Piazza Sant’Eustorgio 3 a Milano, “Avvenire” gli ha chiesto quale ruolo giochi la fiducia durante una fase di crisi. «La fiducia - precisa Hunyadi - è fondamentalmente legata a ciò che ci aspettiamo dal mondo che ci circonda, da cose, persone o istituzioni. Se risparmio denaro, lo faccio perché mi aspetto che la banca lo gestisca bene, altrimenti non lo farei. Se vado da un medico, è perché mi aspetto che mi curi nel miglior modo possibile. Lo stesso vale per gli oggetti. Se metto la sveglia, mi aspetto che suoni all’ora stabilita. Fidarsi significa scommettere sul fatto che le cose andranno come mi aspetto. Ecco perché definisco la fiducia una scommessa sulle aspettative comportamentali. È una scommessa perché, in senso stretto, non so come andranno le cose, posso solo contarci. E magari rimanere deluso. Questa incertezza è una caratteristica fondamentale della condizione umana».

È quindi importante per la coesione sociale delle nostre società…

«Non solo è importante. Direi che è il legame sociale fondamentale. Immagini cosa succederebbe se non potessimo contare gli uni sugli altri per comportarci come ci si aspetta. Se i bambini non potessero aspettarsi che i genitori li proteggano, se gli automobilisti non potessero aspettarsi che gli altri rispettino le regole della strada o se non potessimo aspettarci che un oggetto cada. Sarebbe il caos totale. La vita umana sarebbe impossibile. La fiducia è davvero il legame sociale elementare, ben prima del linguaggio o dell’empatia».

Perché è tema trascurato dalla filosofia?

«Perché la filosofia occidentale, fin dalla rivoluzione nominalistica del XIV secolo, proprio quella descritta da Umberto Eco ne Il nome della rosa, gravita intorno alla nozione di individuo e della sua volontà autonoma, e quindi della sua libertà. L’etica moderna si basa su questa idea. Invece la fiducia ci rende dipendenti. Fidarsi significa aspettarsi che l’altro si comporti in un certo modo e quindi riconoscere che dipendo dalla sua libertà. Perché l’altro è sempre libero di non fare ciò che mi aspetto da lui. Per la modernità, quindi, la fiducia è un rischio, il rischio che la mia libertà non possa essere esercitata come desidero. Invece di vederla come un legame naturale di dipendenza, insito nella condizione umana, è considerata uno svantaggio da eliminare o da restringere il più possibile. La trascuratezza del tema della fiducia è il rovescio della medaglia del nostro individualismo incentrato sulla volontà».

Oggi sembra che viviamo in una società in cui la fiducia viene costantemente erosa... C’è davvero una crisi di fiducia?

«Non è così semplice, perché non possiamo fare a meno della fiducia. Essa è ciò che ci lega al mondo. Invece possiamo dire che i poli della fiducia si stanno spostando. Vediamo che in molti Paesi si riduce quella riposta nei governi, nella scienza, nella razionalità democratica... Ma abbiamo più fiducia nelle comunità virtuali, negli influencer e così via. Non c’è una crisi di fiducia come quella del petrolio. La fiducia si sposta, ma rimane, perché è fondamentalmente legata alla nostra condizione umana».

Quale impatto ha la tecnologia digitale?

«Nella nostra relazione con il mondo, la tecnologia digitale sostituisce la fiducia con la sicurezza. Quando passiamo al digitale, vogliamo che le nostre azioni si svolgano nel modo più sicuro possibile. Vogliamo eliminare l’incertezza. Se prenoto la mia vacanza, devo essere sicuro di essere soddisfatto. E tutto il sistema tende a questa esecuzione automatica dei desideri. Voglio essere soddisfatto senza dover correre il rischio di fidarmi. Questo è esattamente il principio alla base del bitcoin, che è stato ideato per evitare di doversi fidare del sistema bancario. La fiducia è sostituita da un sistema complesso e perfettamente automatizzato. Ma anche in questo caso la fiducia è semplicemente spostata. Infatti anche se possiamo fare a meno della fiducia per ogni nostra azione grazie ai processi automatizzati, dobbiamo comunque fidarci del sistema tecnico nel suo complesso».

In che modo il rapporto di fiducia viene sostituito da una relazione sicura?

«La tecnologia digitale sta diventando un mediatore indispensabile: non possiamo più scegliere di non usarla e la fiducia viene quindi estorta. Diventa inutile, perché tutto è gestito digitalmente. E se non posso scegliere di non usarlo, non ha più senso fidarsi. Sono obbligato a usarlo, tutto qui. In questo modo, stiamo gradualmente costruendo un mondo che non ha più bisogno della fiducia per funzionare».

Come uscire da questa situazione?

«Dobbiamo impedire la colonizzazione totale del nostro mondo sociale e delle nostre menti. In breve, dobbiamo agire su tre livelli: la consapevolezza individuale, l’educazione, nel senso più ampio del termine e quindi non solo nelle scuole, che è già di par suo una forza di resistenza; ma soprattutto, e questa è una condizione essenziale, abbiamo bisogno di un’istituzione in grado di agire sulla stessa scala dei giganti digitali, che non si fanno scrupoli a espandere il loro raggio d’azione in tutto il mondo. Ma al momento non siamo attrezzati per farlo. È in quest’ottica che ho intitolato il mio ultimo libro, non ancora tradotto in italiano, Dichiarazione universale dei diritti dello spirito umano. Abbiamo bisogno di un nuovo quadro normativo per un nuovo contesto globale, in modo da poter coesistere con la tecnologia in modo umano invece di lasciarci colonizzare da essa».

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