sabato 11 febbraio 2023
Un film con Favino e un libro di Veronesi e De Angelis rievocano il gesto del "Comandante" che prima affondò un nave belga poi portò i naufraghi alle Azzorre. E fu rimproverato dall'alleato tedesco
Il comandante della Marina Salvatore Todaro

Il comandante della Marina Salvatore Todaro - Wiki Commons

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«C’è un principio non scritto che risiede nell’animo di ogni marinaio: prestare aiuto a chiunque rischi di perdere la propria vita in mare». Una legge al di sopra delle leggi. Con quel «chiunque » che fa la differenza tra il soldato e il sicario. Erano le parole di Giovanni Pettorino, allora comandante della Guardia costiera italiana, proferite a sorpresa il 18 luglio del 2018, davanti agli attoniti ministri del primo governo giallo- verde, quello della grande caccia alle Ong. Da tempo lo scrittore Sandro Veronesi aveva capito quale piega avrebbe preso il dibattito politico e pubblico. E aveva messo in piedi “Corpi”, un collettivo di autori, artisti e attivisti, che da allora non lascia passare in silenzio neanche una delle parole di troppo pronunciate dalla malapolitica. Quel 18 luglio Pettorino, nella consueta impeccabile divisa bianca, spiegò bene ai giovanotti saltati sulla diligenza dell’esecutivo che la storia non si cancella con un tweet. E rievocò a braccio, disobbedendo all’ordine non scritto di leggere solo il testo inviato in anticipo alle autorità di governo, il comandante siciliano Salvatore Todaro.

L’articolo di “Avvenire” che in solitaria raccontava l’inattesa ramanzina dell’ammiraglio ai ministri (mai riportata nei documenti ufficiali delle autorità e sparita dagli archivi istituzionali) finì nella chat di “Corpi”, intercettato dal regista Edoardo De Angelis e girato da Veronesi a tutti gli altri, tra cui le scrittrici Elena Stancanelli e Caterina Bonvicini, che sulle navi di soccorso i “corpi” piagati in Libia e tratti dalle acque li vedono e raccontano davvero. Nasce così Comandante, un film di prossima uscita con Pierfrancesco Favino nelle vesti di Todaro, e un libro edito da Bompiani a firma di Veronesi e De Angelis, andati oltre a quelle prime cronache per restituirci su carta e pellicola la fibra di un uomo e la forza morale di idee immortali.

Durante la Seconda guerra mondiale Todaro affondò dal suo sommergibile la nave belga “Kabalo” che in pieno Atlantico aveva a bordo 26 marinai della coalizione antinazista. Poi salvò l’intero equipaggio di 26 uomini, sbarcandoli nelle Azzorre. Al rientro, come aveva ricordato Pettorino, l’ufficiale sommergibilista venne « violentemente apostrofato» dall’ammiraglio alleato tedesco Karl Dönitz, che derise il marinaio italiano: « Don Chisciotte del mare». Non prima di averlo minacciato di «gravi conseguenze » per avere soccorso i nemici, mettendo a rischio il suo stesso equipaggio e, quel che più interessava all’uomo di Hitler, il sommergibile italiano in assetto da combattimento. Forse volendo motivare la propria voglia di disobbedienza, Pettorino spiegò quella di Todaro, prendendone a prestito le parole sbattute in faccia ai tedeschi: « Noi siamo marinai, marinai italiani, abbiamo duemila anni di civiltà, e noi queste cose le facciamo». Perché in quel momento, quando la nave di una bandiera ostile diventa ferraglia che affonda, quelle che indossano i nemici non sono più le divise di un altro colore, ma i panni inzuppati e pesanti del naufrago. Quel «chiunque» evocato anni dopo dall’ammiraglio Pettorino.

Per trent’anni i 26 belgi raccolti in mare e accuditi da Todaro con i sommergibilisti italiani, si sono dati appuntamento a Livorno, sulla tomba del “Comandante” che li aveva combattuti e salvati. Lui non ce l’avrebbe fatta a superare la guerra. Il 14 dicembre 1942, due anni dopo l’affondamento del “Kabalo”, morì nel sonno, trafitto dalla mitraglia di uno Spitfire inglese in volo al largo della Tunisia. Veronesi e De Angelis non raccontano solo una storia di mare e di terra. Ma di “uomini”, intesi come i « pochissimi uomini» meritevoli d’essere definiti tali dall’infallibile classificazione di Leonardo Sciascia. E lasciano che lo sguardo del “Comandante” ci interroghi ad ogni cenno: « Rina carissima - scriverà Todaro alla moglie -, oggi è un giorno fausto. C’è un eroismo barbaro e un altro davanti al quale l’anima si mette a piangere: il soldato che vince non è mai così grande come quando si inchina al soldato vinto. Oggi noi e i nostri nemici, insieme, ci siamo salvati ». Per avere disobbedito e salvato «chiunque».

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