lunedì 26 dicembre 2016
Un'antica tradizione d'Epifania. Ancora viva in numerose comunità alpine. Affidata a gruppi itineranti. Custodi di un repertorio dalle origini sorprendenti. Come spiega un libro con scoperte inedite
Paolo Meloni: cantori della Stella a Sabbio Chiese (Brescia)

Paolo Meloni: cantori della Stella a Sabbio Chiese (Brescia)

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È una storia piena di luce, quella dei canti della Stella che la vigilia dell’Epifania e nei giorni antecedenti, al calar del sole, vengono intonati da gruppi di cantori itineranti lungo le vie e nei cortili dei paesi di montagna, fino a raggiungere le frazioni, le case, le famiglie più lontane. È la luce delle grandi stelle di legno e carta, fissate all’estremità di un’asta, che i cantori portano, lungo il tragitto, ad evocare la cometa e rinnovare il cammino e l’annuncio dei Magi, come ricorda l’incipit del canto ancor oggi più diffuso nelle località dell’arco alpino, disseminate fra il Ticino e l’Istria veneta, dove questa antica tradizione continua a vivere: «Noi siamo i tre Re / venuti dall’Oriente / ad adorar Gesù».
Ma è anche la luce della solidarietà che da queste manifestazioni promana. I canti della Stella sono infatti, nel linguaggio degli studiosi, «canti di questua epifanici». E se in passato, con poche eccezioni, si raccoglieva cibo, oggi invece i doni sono somme in denaro. A volte destinate alle necessità del gruppo di cantori; più spesso offerte per opere di bene, per sostenere le iniziative della parrocchia o dell’oratorio, per aiutare gli indigenti del luogo ma anche quelli di terre lontane – come accade col sostegno alle adozioni a distanza. E non è raro che i cantori – oggi quasi sempre in abiti comuni o al massimo con un mantello nero e un cappello – scelgano fra i compaesani di origine straniera i figuranti da vestire come Magi.


Vi è infine un’altra luce che da alcuni decenni si è fatta sempre più intensa. È quella della conoscenza, della ricerca scientifica, che ha permesso di identificare la genesi, le caratteristiche, l’evoluzione nel tempo e secondo i luoghi dei canti della Stella, strappandoli così all’orizzonte di una tradizione mitica e atemporale e restituendoli al cammino storico, alla "carne viva" delle comunità che li tramandano. Così accade con il libro fresco di stampa «La Stella del Bresciano. I canti di questua epifanici nel territorio della Valle Sabbia e dell’Alto Garda», dove la Stella accende ancora l’Epifania di una trentina di comunità. Qui da dieci anni, fra dicembre e gennaio, l’associazione culturale Choros promuove un festival, La Dodicesima Notte – quante sono le notti fra Natale e l’Epifania – a creare occasioni d’incontro e scambio fra i diversi gruppi bresciani (348.9328101 e pagina Facebook La Dodicesima Notte per il programma completo della nuova edizione).


La stessa associazione ha promosso il libro, nel quale sono raccolti i contributi di Claudio Bernardi, docente dell’Università Cattolica, e degli studiosi Ilaria Tameni, bresciana, e Renato Morelli, trentino. Morelli, in particolare, nel saggio intitolato «Angeli e Clorinde. I canti della Stella dalla Controriforma alla tradizione orale contemporanea», aggiorna gli esiti di una ricerca trentennale pubblicando le scoperte inedite del musicologo roveretano Guido Pellizzari. Un’avventura culturale affascinante, che dagli anni ’70 ha visto Morelli (e altri) muoversi fra rilevamenti sul campo, nelle comunità che ancora custodiscono la tradizione della Stella, e ricerche d’archivio (dalla biblioteca del Conservatorio di Bologna alla Vallicelliana di Roma, dalla British Library di Londra al Ferdinandeum di Innsbruck), per dare risposta ad un quesito centrale degli studi etnomusicologici, non solo italiani: l’esistenza di eventuali fonti a stampa per il repertorio dei canti della Stella, ancor oggi diffusi nel nostro Paese – come in alcune zone dell’Europa centrale non riformata, soprattutto germanofona ma anche boema, ungherese e slava.
Così sono venuti alla luce volumetti preziosi come quello di don Giambattista Michi (1651-1690), con i suoi trentasei Canti Sacri, ritrovato da Morelli a Palù in Val dei Mòcheni (Trentino), o come il volumetto a stampa dal titolo Cantata per i personaggi rappresentanti li tre Re Maggi, ritrovato nel 2011 da Antonio Bellati a Premana, in Valsassina (Lecco), contenente il testo settecentesco di don Giuseppe Maria Isota che permette finalmente di individuare l’autore del più diffuso fra i canti della Stella, «Noi siamo i tre Re / venuti dall’Oriente». Diciassette testi della raccolta Michi, scrive Morelli, «risultano a tutt’oggi documentati nella tradizione orale dell’arco alpino italiano».


Ulteriori ricerche hanno mostrato come alcune fonti della raccolta Michi siano da collocare «all’interno di quel vasto movimento musicale-spirituale promosso dal Concilio di Trento – prosegue Morelli – che vide nella produzione di laudi a travestimento spirituale uno fra gli esiti musicali più significativi della Controriforma». Promosso da personalità del calibro di san Carlo Borromeo, si sviluppò così un ingegnoso lavoro di «contrafactum» che consisteva nel prendere canti profani di successo, «noti al volgo», e cambiar loro il testo, trasformandolo in senso spirituale. Anche così si cercò di contrastare, dall’Italia, la diffusione del protestantesimo. «Scavando nelle pieghe della micro-storia», riprende Morelli, si arriva alla «Grande Storia» – la Riforma luterana, la Riforma cattolica – e si fa luce, come sottolinea Roberto Leydi, sulle «conseguenze musicali basse, popolari» del Concilio di Trento, non solo su quelle «alte».
A questo cammino di ricerca (qui brevissimamente riassunto) mancava un ultimo tassello decisivo: l’identificazione dei canti profani «noti al volgo» mutati in «laudi spirituali». Pellizzari ne ha trovati due, ora pubblicati, per la prima volta, da Morelli. Si può verificare così, non senza divertimento, come «un canto metaforicamente erotico, dedicato a una donna bellissima ma "rigida e frigida"», in pieno Seicento sia diventato una lauda spirituale in cui si ricorda la notte «rigida e frigida» in cui nacque Gesù. «Donna ritrosa», è il titolo del primo, con incipit «O Clorinda»; «Lode del Santo Natale al Bambino Gesù», il titolo del secondo, con incipit «O angeli correte subito». «Le varie e poetiche esortazioni lanciate dallo spasimante all’indirizzo di questa "ninfa bellissima" affinché possa godersi finalmente "la stagion florida" non rimanendo "durissima e asprissima"», presenti nella canzonetta profana, «le ritroviamo trasformate nella lauda in delicate richieste agli angeli del cielo per accudire amabilmente il Bambino Gesù», scrive Morelli. Sì, ne hanno fatta davvero tanta, di strada, i canti della Stella, da quando – per dirla con Edoardo Bennato – erano «solo canzonette»...

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