venerdì 15 giugno 2018
Un libro-inchiesta di due ricercatori, che hanno potuto studiare in Russia i pochi resti del Führer scampati alla cremazione ordinata nel 1970 dal Kgb: nei denti la conferma del suicidio
La verità sulle ultime ore di Hitler
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Ancora oggi, persistenti leggende storiche seguitano ad accreditare la tesi secondo la quale Adolf Hitler non sarebbe morto, suicida, il 30 aprile 1945, insieme alla moglie Eva Braun, ma riuscì a mettersi in salvo, trovando rifugio in qualche sperduta landa del pianeta, in Brasile, in Giappone o sulle Ande argentine. Il primo a essere non del tutto persuaso di avere messo le mani sui resti carbonizzati del Führer, fu lo stesso Stalin, i cui soldati si erano impossessati dei macabri trofei di guerra della cancelleria, compresa l’intera famiglia Goebbels. L’autocrate del Cremlino credette, o finse di credere, alla versione secondo cui Hitler avrebbe clamorosamente beffato i nemici, facendo trovare il cadavere di un sosia.

La verità è ben altra, e, grazie a una tenace indagine condotta negli archivi ex sovietici, in particolare in quelli del Kgb, conservati nel tristemente noto Palazzo della Lubjanka, nel cuore di Mosca, due documentaristi, il francese Jean-Christophe Brisard, e la russa Lana Parshina, hanno trovato le prove scientifiche del fatto che Hitler si uccise davvero nella sua ultima 'tana'. Hanno così scritto l’avvincente libro-inchiesta L’ultimo mistero di Hitler. Il 4 maggio 1945, i sovietici rinvennero, nel luogo in cui erano già stati scoperti i resti dei Goebbels, nelle immediate vicinanze degli accessi esterni al bunker della Cancelleria, i corpi combusti di due altre persone, che vennero identificate come Hitler ed Eva Braun. I russi, compiendo la ricognizione sulle spoglie del despota nazista, notarono che mancava circa un quarto della calotta cranica.

Un anno dopo, nel maggio del 1946, Stalin, proprio per accertarsi della sicura morte del Führer, ordinò una contro-inchiesta che portò al fortunoso rinvenimento, a una profondità di 60 centimetri, nello stesso punto in cui erano stati trovati i corpi bruciati di Hitler e della moglie, di alcuni pezzi di cranio. Questi reperti ossei, che rappresentano la parte posteriore sinistra del teschio (due frammenti parietali e uno occipitale), paradossalmente, sono gli unici resti organici tuttora esistenti del dittatore, insieme alla dentatura, peraltro quasi interamente protesica: e ciò per la semplice ragione che sono giunti a Mosca per essere conservati. Che fine fecero invece i corpi carbonizzati trovati davanti al bunker? I sovietici, li seppellirono segretamente in varie località della zona tedesca sottoposta al loro controllo: dapprima, in un boschetto nei dintorni di Rathenow, 80 chilometri a Ovest di Berlino, nella regione di Brandeburgo; in seguito, dal febbraio del 1946, nella città di Magdeburgo.

Nell’aprile del 1970, il colpo di scena. Per decisione di Jurij Andropov, allora capo del Kgb (e futuro leader del Cremlino), il gruppo dei corpi già semicarbonizzati, venne incenerito, in una pira notturna, alla periferia di Magdeburgo (a quel tempo territorio della Repubblica democratica tedesca), e gettato nel fiume Biderin. Appare quindi evidente che ai sovietici importava poco stabilire che quelli erano veramente i resti di Hitler, della moglie e dei fedelissimi. Avvalendosi della consulenza di un luminare della medicina legale, il professor Philippe Charlier, gli autori dell’indagine odierna si sono spinti fin dove possibile, per attribuire un’appartenenza certa a quelle sparute ossa. Venendo a patti con la rigidità degli attuali apparati statali russi, che hanno cercato in tutti i modi di frenare il corso dell’inchiesta (autorizzando esclusivamente esami ottici), ma soprattutto grazie a una decisiva dose di fortuna, i ricercatori hanno ricondotto con certezza la superstite dentatura alla persona di Hitler, aggiungendo preziose informazioni a quanto era già noto (le documentazioni radiografiche del volto del dittatore, i racconti e le cartelle cliniche del suo odontoiatra personale).

Frammenti infinitesimali di tartaro staccatisi dai denti durante i test effettuati a Mosca sotto lo sguardo arcigno dei burocrati di Putin, e rimasti tra i materiali di lavoro del professor Charlier, hanno permesso di svelare che si trattava di residui organici riconducibili a un’alimentazione esclusivamente vegetariana: proprio come quella seguita dal Führer, che aborriva la dieta animale fino al punto di chiamare, sprezzantemente, il brodo di carne, «tè di cadaveri ». Inoltre, l’assenza, sul medesimo tartaro, di tracce di elementi chimici rilasciati da uno sparo, permettono di escludere che Hitler si sia suicidato con un colpo in bocca. Infine, la presenza, sulla dentatura, di tracce di colorazione blu di Prussia, ha riportato in primo piano l’ipotesi che il tiranno avesse ingerito una letale fiala di cianuro, prima di ricorrere all’arma da fuoco. Quanto al pezzo di cranio, che i russi conservano, con senso dell’umorismo un po’ grossolano, in un banale contenitore per floppy disk, Charlier non ha potuto stabilire con assoluta certezza che si tratti di quello di Hitler. Ma ha smentito in parte un suo collega americano, che, nel 2009 l’aveva attribuito a individuo di sesso femminile, e di giovane età. Esso invece «appartiene a una persona adulta – ha sostenuto Charlier – ma è impossibile determinarne il sesso con un’analisi semplicemente ottica». Però tutto lascia ritenere che il frammento sia proprio del Führer. Il foro di uscita del proiettile, sulla sommità del cranio, è infatti compatibile con i racconti dei testimoni: costoro hanno infatti riferito di un unico colpo che Hitler si sparò alla tempia destra.

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