mercoledì 3 agosto 2016
 Guardini e Maritain, maestri di dialogo e di vera libertà
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Fondamentali nella vita di Romano Guardini sono stati i soggiorni, per lo più estivi, da lui trascorsi nel Castello di Rothenfels, così come fondamentali per Jacques Maritain sono stati i soggiorni, sempre estivi, trascorsi nel Castello di Kolbstein. Per entrambi sono stati giorni di riflessioni, di conversazioni, di dialogo ed anche di preghiera e di studio, in luoghi dove c’era armonia con la natura e che invitavano all’infinito, dando il giusto valore al finito. Romano Guardini si recò per la prima volta nel Castello di Rothenfels, che è una piccola città della Bassa Franconia in Baviera, nel 1920. Il Castello si eleva su una roccia, domina tutto il territorio circostante e guarda sul sottostante fiume Reno. Nel febbraio del 1919 era stato acquistato dal Movimento giovanile «Quickborn», fondato in Slesia, nel 1909, da tre sacerdoti, e ne era diventato la sede. Romano Guardini ritornò al Castello nell’agosto dello stesso 1920, in occasione del secondo convegno del «Quickborn», al quale era stato invitato da Hermann Hoffman, uno dei tre fondatori del Movimento.   

 

E fu di nuovo attratto da quel che lì avveniva: nessuno vi comandava eppur l’ordine era perfetto. «Vi si lavorava e vi si celebrava, ma tutto veniva dalle persone stesse che ne facevano parte; i giovani e le ragazze erano insieme, nella serenità e nella letizia, ma tutto si svolgeva in modo pulito e onesto». Mentre, accanto al Movimento giovanile, si sviluppava anche un Movimento culturale, Romano Guardini diventò l’affascinante guida del Castello, portando alla riscoperta dei valori più profondi dell’essere umano, alla riscoperta dell’animo, alla riscoperta dell’unicità della persona e del suo obbligo verso la società. Sempre ricordando come è la fede che rende veramente liberi. Continuò la sua opera al Castello fino al 7 agosto 1939, quando esso fu improvvisamente occupato e requisito dal governo nazista.

 

Al Castello restò spiritualmente legato per tutto il resto della vita. Spesso lo sognava. Lo riteneva il simbolo della fede, della libertà, della responsabilità di realizzare tutto ciò che è degno di venir realizzato, nella consapevolezza di dover rispondere a Dio delle proprie azioni. Jacques Maritain con la moglie Raïssa e la cognata Vera aveva fatto della sua casa di Versailles e poi, dal 1923, di quella di Meudon, nei pressi di Parigi, un luogo aperto a tutti, da qualunque parte venissero, per incontrarsi in una comune amicizia alla ricerca della verità. Le frequentarono, fra tanti altri, Julien Green, Cocteau, Reverdy, Mauriac, Journet, Mounier, Bernanos. Nelle loro case ospitavano anche i Circoli tomistici che avevano fondato, e che consistevano in riunioni di studi e di libere discussioni, durante le quali si confrontava il pensiero di San Tommaso d’Aquino con i grandi problemi fondamentali del tempo. Nell’estate del 1931, Jacques Maritain visitò il Castello di Kolbestein, un villaggio dell’Alsazia Lorena non lontano da Salisburgo, dove aveva svolto una conferenza. Con la sua terrazza, che guarda sul parco e sulla piana dell’Alsazia, il Castello gli apparve subito un luogo dal quale si vede il mondo senza essere del mondo, un luogo ideale per la vita contemplativa. Con la collaborazione dei proprietari Alexandre e Antoinette Grunelius, che da protestanti diventarono cattolici e che avevano «già fatto della loro casa un luogo più privilegiato d’incontro», nelle estati degli anni seguenti, con Raïssa e Vera, qui organizzò i convegni annuali dei Circoli tomistici che, sospesi nel 1939, furono ripresi alla fine della Guerra ed il loro ritorno dagli Stati Uniti. Dopo la morte di Raïssa, avvenuta nel 1960, sepolta proprio nel piccolo cimitero di Kolbstein, Jacques Maritain si ritirò presso i Piccoli Fratelli a Tolosa, vivendo in una baracca di legno, ma trascorreva l’estate nel Castello di Kolbstein, nel cui cimitero anche lui è stato sepolto, dopo la sua scomparsa avvenuta il 28 aprile 1973.

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