martedì 30 gennaio 2018
Effetto nomination per “Chiamami col tuo nome” costruito ad hoc per strizzare l’occhio a Hollywood: appena uscito nelle sale è stato tra i più visti del weekend
Guadagnino, la grande debolezza di un film da Oscar
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Effetto nomination. Il quattro volte candidato agli Oscar Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, al suo debutto nelle sale, è risultato nel weekend il film con la più alta media, incassando 781mila euro su 143 sale. Meglio del debutto di Ligabue, primo con un milione 411mila euro, ma su 430 schermi.

Effetto, appunto, delle candidature agli Oscar del prossimo 4 marzo e risultato di una oculata strategia industriale hollywoodiana, visto che dietro a questo film ci sono due produttori americani detentori dei diritti del libro da cui il film è tratto, Call me by your name, dello scrittore ebreo statunitense André Aciman. Co-sceneggiato da James Ivory, un film made in Italy più che italiano. Un tipico prodotto da esportazione che piace tanto agli americani andati in brodo di giuggiole per La grande bellezza di Paolo Sorrentino. E americano è il 24enne Oliver (l’attore Armie Hammer) che, alle prese con una tesi di post dottorato, si ritrova nell’estate dell’83 per sei settimane nell’asfissiante calura padana ospite della settecentesca verdeggiante villa di campagna del professor Lyle Perlman (Michael Stuhlbarg), poliglotta professore d’arte classica anch’egli di origine ebraica. Con lui la cosmopolita e nullafacente consorte, le pazienti e nostrane donne di casa e un contadino factotum vecchio stampo.

La frescura di quella bucolica dimora pervade ogni scena. Suggestiva la fotografia, ma a tratti persino stucchevole. Soltanto nell’animo e nei tempestosi e caotici sensi del loro 17enne figlio Elio (il giovane Timothée Chalamet) si insinuano turbolente e insidiose mosche. Reali e simboliche. Come quella che nel finale zampetta sulla sua camicia. Il protagonista è davanti al camino acceso, fuori c’è la neve, ma il gelo dell’inverno è soprattutto nel suo cuore, mentre sta piangendo. Un insistito primo piano sul volto enigmatico di Elio. Ma Guadagnino non vuole approfondire. Elio guarda i tizzoni ardere, forse come la sua giovinezza bruciata in un’estate fuori dal tempo. Sei settimane in cui il regista ha costruito il racconto di un’adolescenziale passione. Lui, Elio, ipersensibile, poliallergico e soggetto ad epistassi, chiamato ad esibirsi al pianoforte quando i suoi un po’ stralunati genitori hanno ospiti ancora più improbabili di loro, s’innamora di Oliver. E l’americano, più grande, si crogiola nella complice e intrigante regressione emotiva a cui è invitato. L’onanismo adolescenziale si sdoppia. «Chiamami col tuo nome» arrivano appunto a dirsi i due giovani nel più emblematico dei tanti, inutilmente troppi, momenti di enfasi amorosa.

Elio cerca anche di portare avanti un flirt con una ragazza. Ma invano. Il rapimento omosessuale è prepotente. Elio ha crisi, ma non trova strumenti abbastanza validi, né in sé né attorno a sé (i genitori) per focalizzare e interpretare queste pulsionali e caotiche dinamiche psico-fisiche. Così si lascia travolgere e non fa altro che assecondarle, forse più anarchicamente che liberamente. «Sono malato» arriva a dire. Il padre, per tutto il film perlopiù attento alla sensualità delle forme dei suoi reperti archeologici, si accorge di tutto questo. E asseconda, concedendo anche ai due giovani un finale viaggio in solitudine. Una “comprensione” che anziché atto irresponsabile vorrebbe essere consapevole realismo, se non addirittura supposto paterno amore. Spazio ai sensi e all’estetica, latita l’etica.

E la eventuale “spiritualità”, che in persone simili potrebbe essere almeno minimamente presente, si riduce a compiacimento e a teatrali affettuosità familiari. Una sera, poi, Oliver euforico sente un suo amato pezzo uscire da un’autoradio e si mette a ballare davanti al sagrato di una chiesa. L’ipersensibile Elio si siede e ha un conato di vomito. Forse il suo istinto d’amore panico ha avuto un brusco stop. O forse desidera altro. Ma è sempre il corpo a parlare. Tace anche davanti alle fiamme e alle ceneri di quel camino, quando l’estate con i suoi miraggi d’amore è diventata un sepolto ricordo. E un rimpianto.

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