giovedì 24 aprile 2025
Il maestro ha suonato in piazza San Pietro, ma negli ultimi tempi attraverso il dolore della malattia, ha sentito ancora più vicina la figura di Francesco. Il compositore lotta contro un mieloma
Giovanni Allevi in udienza da papa Francesco

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Il maestro Giovanni Allevi per papa Francesco ha suonato in piazza San Pietro, ma negli ultimi tempi attraverso il dolore della malattia, ha sentito ancora più vicina la sua figura. Il compositore filosofo, che sta lottando contro un mieloma multiplo senza rinunciare alla bellezza della musica, condivide con Avvenire i suoi sentimenti di gratitudine più profonda per Francesco.

Giovanni Allevi, in quale occasione lei ha incontrato papa Francesco? E quali ricordi personali ha?

«Dopo un mio intervento musicale in un concerto nell’immensa ed eterna Piazza San Pietro, dove il pianoforte sembrava un puntino appoggiato sul sagrato, non avevo fatto ancora in tempo a riprendermi dalle emozioni che mi fu detto che avrei potuto incontrare di persona Papa Francesco. Nella confusione del momento non c’è stato il tempo per uno scambio verbale, ma quel sorriso non posso dimenticarlo».

La sua sofferenza personale l’ha connessa maggiormente a quella di Papa Francesco?

«Nulla ti dona la consapevolezza della sacralità della vita come la sofferenza. Papa Francesco ha sempre regalato al mondo la limpidezza delle allodole che si slanciano nel cielo del mattino, come intuisce Baudelaire in Elevazione. Eppure nell’ultima parte della sua vita Francesco ha fatto esperienza del dolore. Questo lo ha connesso maggiormente non solo a me, ma a tutte le persone che soffrono. E’ la fragilità il nucleo più profondo ed autentico dell’essere umano».

Ha sottolineato di recente la portata rivoluzionaria di questo Papa capace di connettere il vertice della Chiesa con il popolo. Ci spiega il suo punto di vista?

«Come in una immensa proiezione Junghiana, ognuno ha riconosciuto in lui un aspetto della propria anima. A me ha fatto tenerezza quel suo essere apparentemente distante dai ruoli istituzionali, dai cerimoniali, dalle ritualità. Un’attitudine diametralmente opposta a quella di tanti potenti della terra, preoccupati invece di mantenere il proprio status. Questa è la rivoluzione di cui l’umanità ha bisogno: essere vicini ai deboli, ai malati, ai più piccoli, agli emarginati. In genere le personalità che sovvertono le gerarchie in questo modo sono sempre osteggiate ma Papa Francesco ha potuto contare da subito sull’affetto della gente, che ha riconosciuto nelle sue parole una luce, una speranza».

La musica è ponte di pace ed anche le parole di papa Francesco lo sono specie in questo difficile periodo storico. Quanto mancherà la sua voce?

«La sua voce continuerà a parlarci, come un’opera d’arte che non esaurisce mai la propria bellezza nel tempo. “Chi sono io per giudicare?” oppure “le pareti degli ospedali hanno ascoltato più preghiere sincere di molte chiese”, sono lampi di umiltà, che prendono per mano il genere umano e lo conducono verso una nuova spiritualità».

Che cosa lascerà questo Papa nella gente e nella storia della Chiesa?

«Per il momento lascia un grande vuoto. Il mondo è impazzito, la società non contempla la solidarietà, protratta più che mai verso la competizione estrema e la ricerca del successo esteriore. Tante persone non ce la fanno a reggere un tale ritmo. Chi pensa a loro? Chi amplifica la loro voce e la voglia di pace e di giustizia? Papa Francesco sapeva farlo e col suo esempio ha tracciato una rotta per la Chiesa del futuro».

Giovanni Allevi mentre dirige un concerto

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Lei ha partecipato allo speciale di Rai 1 “Notte di Natale” lo scorso 24 dicembre in apertura del Giubileo della speranza: che cosa è la speranza per Giovanni Allevi?

«Anche se molti filosofi laici vorrebbero evidenziare un sottile inganno insito nella parola speranza, resta per me uno stato dello spirito necessario, del quale non posso fare a meno. E’ solo cambiato il suo significato. Cosa spero? Di guarire? Le statistiche dicono di no. Di non sentire dolore? Ormai è un mio inseparabile compagno di viaggio. Spero allora di vivere intensamente ogni secondo senza sprecare la minima goccia di bellezza che la vita mi dona. Spero di continuare a stupirmi, a sorridere, ad emozionarmi. Spero di avere la forza di portare avanti nella musica la stessa missione che Francesco ha assunto sulle sue spalle: mettere in contatto cielo e terra, spirito e corpo, buio e luce».

E cosa spera per il mondo oggi?

«Spero soprattutto che i giovani possano ricominciare a vedere il futuro non come una minaccia ma come l’avventura entusiasmante di realizzazione dei propri sogni. Si tratta di un moto che viene dal cuore e non ha nulla a che fare con il riconoscimento esterno».

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