mercoledì 9 marzo 2016
Il diciannovenne azzurro, fresco campione del mondo di inseguimento: «Sono ancora incredulo per l’impresa di Londra. Però penso anche di essere un predestinato: correrò su strada e su pista, a Tokyo 2020 voglio esserci».
Luigi Ganna: il ciclista volonte
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Da inseguitore a inseguito, questo è il prezzo della popolarità. In pochi giorni la vita di Filippo Ganna è cambiata radicalmente, non solo perché a soli diciannove anni, tra lo stupore e la meraviglia generale, ha conquistato il titolo mondiale dell’inseguimento sulla pista di Londra davanti ad oltre seimila persone che l’hanno letteralmente adottato e incitato dal primo all’ultimo minuto, ma perché il suo cellulare ha cominciato a suonare con costanza regolare, ad un ritmo forsennato pari alla frequenza delle sue pedalate. «Lo ammetto, sono stato colto di sorpresa - ci dice ancora frastornato e incredulo per quello che è riuscito a realizzare in così poco tempo -: non mi sarei mai immaginato di poter tornare da questi mondiali della pista con la maglia iridata sulle spalle, ma nemmeno che in Italia ci fossero così tanti giornalisti che si interessassero di ciclismo». Beh, quello è davvero merito suo. Sa che ha risvegliato le coscienze di molti? «E questo mi fa piacere, forse è davvero la gratificazione più bella che potessi avere, anche se non c’ero abituato e francamente ad un certo punto non sapevo nemmeno più come fare a rispondere a tutti». Vorrebbe tornare a prima di venerdì scorso: preferirebbe l’oblio? «No, lo ripeto, sono felicissimo di quanto sono riuscito a ottenere. Per me, per la mia famiglia, per le mie Carlotte, mia sorella e la mia fidanzata. E poi spero d’ora in poi di ricordarmi sempre tutto. Devi sapere che da ragazzino, in occasione della mia seconda seduta in pista al velodromo di San Francesco vicino a Torino, mi ribaltai: trauma cranico. Ho perso almeno due ore della mia vita. Non ricordo più nulla». Per uno che è abituato a lottare sul filo dei secondi, perdere due ore non è il massimo… «Lei ci scherza, ma è andata proprio così». Sa che il suo cognome ha fatto la storia del cicli- smo, in particolare quella del Giro d’Italia? «Certo che lo so, non mi chiedono altro. So che Luigi Ganna ha vinto la prima edizione della corsa rosa, era un muratore varesino, ma io sono piemontese. Forse siamo parenti, ma molto alla lontana». Piemontese di dove? «Vivo a Vignone, vicino a Verbania, con papà Marco, che lavora per la Guardia di Finanza di mare, mamma Daniela che è casalinga e mia sorella minore Carlotta [ha 16 anni, ndr]. La mia famiglia è fondamentale, mi ha sempre supportato fin da quando ho cominciato a muovere le prime pedalate e ancora oggi è il mio punto di riferimento per tutto». Lei cosa hai provato a vincere il mondiale? «Una gioia infinita. Mi sembrava davvero di esplodere dalla felicità. Comunque per fortuna mia, oggi, le selle sono molto più comode di quelle dei tempi di Luigi Ganna». Campione del mondo dell’inseguimento come Fausto Coppi nel 1947 e nel ’49, iridato quarant’anni dopo Francesco Moser… «Mi chiamo Ganna, arrivo dopo Coppi e Moser e a fine stagione andrò a correre come professionista per la Lampre-Merida di Beppe Saronni: beh, non sono messo male…». Chi è il campione dei suoi sogni? «Fabian Cancellara. Fisicamente ci assomigliamo (Filippo pesa 82 chili distribuiti su 193 centimetri, ndr), e mi piacerebbe vincere anche solo un quinto di quello che ha vinto lui. La corsa dei sogni? La Parigi-Roubaix». Lei pensa di essere un predestinato? «Un po’ sì. È da tanti anni che mi dicono che ho talento e che sono dotato, che in bicicletta faccio vedere cose non comuni, ma questo mi serve solo per crescere e migliorarmi. Marco Villa, il mio tecnico azzurro della pista, al quale devo davvero tantissimo sotto tutti i punti di vista, me lo ripete sempre: “Se lavori bene, con le doti che hai diventi un grande, se ti adagi resterai poca cosa”. A me le cose non devi mai ripeterle due volte. Lavoro sodo, punto ». È vero che ha stressato all’inverosimile Elia Viviani tutto il tempo? «Povero Elia, devo ringraziarlo tantissimo. Per noi lui è un punto di riferimento, uno stimolo e un esempio. È vero, lo stressato come non mai per chiedergli consiglio su tutto. Gli è sfuggita la medaglia per un niente, ma da parte mia Elia merita il titolo mondiale della pazienza». Cosa le piace fare quando scende dalla bicicletta? «Stare con i miei amici, con mia sorella e la mia fidanzata. Sono un tipo tranquillo. Non amo molto il calcio giocato, preferisco “praticarlo” alla playstation. Fifa mi rilassa tantissimo: io sono il Barcellona, mi diverto con Messi. Poi quando ho del tempo libero e non devo preparare delle gare particolari aiuto papà nel giardinaggio o a tagliare la legna per l’inverno». Il difetto maggiore di Filippo Ganna? «Se mi fanno arrabbiare perdo facilmente la pazienza, ma generalmente sono un tipo molto tranquillo. Però sì il difetto su cui devo lavorare è che sono ancora troppo impulsivo e spesso reagisco senza pensarci su». Parliamo dei pregi... «Sono molto determinato: se ho ben chiaro in mente dove voglio arrivare ci arrivo e se qualcuno mi mette i bastoni tra le ruote, tiro fuori gli artigli. In ogni caso tra i miei pregi ci metto anche il fatto che se mi accorgo di essermi sbagliato, chiedo subito scusa e quasi sempre imparo dagli errori commessi». Com’è nata la passione per il ciclismo? «Da bambino ho praticato vari sport di squadra, soprattutto pallavolo e pallacanestro ma non mi piacevano. Ho iniziato a pedalare perché mio padre un giorno ha deciso di organizzare una gara di ciclocross nel nostro paese. Nessuno in casa lo praticava, papà si dilettava con la canoa (ha preso parte anche alle Olimpiadi di Los Angeles) e mamma con lo sci nautico'. In futuro la vedremo in gara sia su strada che su pista? «Assolutamente sì, perché alle prossime olimpiadi di Tokyo 2020 vorrei proprio esserci ». Siamo al traguardo: crede in Dio? «Sì, ma come per la scuola che ho deciso di accantonare per non essere bocciato per le continue assenze, frequento poco la chiesa. Ma so che con il buon Dio - con il quale mi trovo a parlare spesso - non perderò l’anno».
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