Firenze in dialogo con l'arte dell'Europa illuminista

Oltre 150 opere tra cui capolavori di Goya, Canaletto, Tiepolo e Kauffmann illustrano e mostrano la trasformazione del gusto, raccontando un secolo di cambiamenti in una mostra agli Uffizi
July 29, 2025
Firenze in dialogo con l'arte dell'Europa illuminista
Uffizi | Jean-Etienne Liotard, “Maria Adelaide di Francia vestita alla turca”, 1753
Quando nel 1786 il giovane ufficiale Napoleone Bonaparte giunge in licenza ad Ajaccio porta con sé due valigie, una delle quali - pesantissima - è piena di libri. Sono traduzioni in francese di Platone, Cicerone, Tito Livio, Tacito, Plutarco. Sono scritti di Rousseau, Montesquieu, Voltaire. E ancora opere di Montaigne e tragedie di Racine e Corneille. Il futuro imperatore reca appresso le fonti a cui tutta la sua epoca attinge per sostenere quella poderosa trasformazione del regime politico, delle forme sociali, dello stile di vita, che sta alla base dell’Europa. Queste fonti sono gli scrittori classici, nel senso originario di “autori di prima classe”: i migliori cioè per estrazione e per stile, da prendere come modello. Sono gli Illuministi che nel Settecento hanno diffuso l’idea dell’utilità dell’arte, del suo potere comunicativo, del suo valore didattico. E parallelamente, nel campo dell’arte, vediamo realizzarsi il concetto oraziano dell’ut pictura poesis, in cui invenzione pittorica e creazione poetica convergono e si intuisce come la conclamata battaglia contro la stravaganza e la lascivia barocca non solo inizi alla fine del Seicento, ma si ponga sotto l’egida di una sottile e affascinante unitarietà nella diversità, appellandosi ai precetti di un ricreato classicismo che attraversano incontrastati un ambito tanto esteso e un arco temporale di così lunga durata. Le grandi direttrici dell’arte europea sono segnate dai nomi di Watteau, Chardin, Boucher, Fragonard da una parte e dall’altra di Tiepolo, Piazzetta, Longhi e da alcune personalità eccezionali ma del tutto eccentriche come per esempio Goya, Liotard o Füssli. Ed è attraverso oltre centocinquanta opere di questi e altri artisti, insieme a mobili, porcellane, stampe, arazzi, che la mostra “Firenze e l’Europa. Arti del Settecento agli Uffizi” (fino al 28 novembre) intende dare conto del “Secolo dei Lumi”, un’epoca di cambiamenti cruciali per il pensiero, l’estetica, il gusto occidentale e anche per gli stessi Uffizi che nel Settecento si trasfor-mano compiutamente da scrigno dinastico di collezioni reali nel primo museo moderno d’Europa, che oggi può contare su circa cinquemila opere. Tale lungimirante impresa si deve all’iniziativa dell’ultima discendente dei Medici, Anna Maria Luisa, che certificando nel 1737 la fine della dinastia, volle vincolare lo sterminato giacimento di opere che possedeva alla città di Firenze «per ornamento dello Stato, per utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri». Questo consentì ai cittadini, a partire dal 1769, per volere di Pietro Leopoldo, Granduca di Toscana, di visitare liberamente il museo trasformando la città e gli Uffizi in un microcosmo capace di intercettare il clima nuovo del Continente. La mostra, curata da Simone Verde e Alessandra Griffo, nel cui percorso espositivo si può assistere “in diretta” al restauro del Matrimonio mistico di Santa Caterina de’ Ricci, opera di Pierre Subleyras di recente acquisizione, prende le mosse dalla produzione artistica degli ultimi Medici. Ovvero quando ancora si avverte lontano l’afflato modernizzatore che permea la cultura europea e nella società fiorentina prevale una pittura di genere e una ritrattistica a fini apologetici: lo si capisce dalle commissioni affidate a grandi maestri quali Giovani Battista Foggini con i ritratti di Cosimo III e di Giangastone de’ Medici, quest’ultimo oggetto anche dell’olio su tela di Franz Ferdinand Richter, e di Sebastiano Ricci con opere a tema sacro. Quando sopravvengono i Lorena è il momento in cui inizia ad affermarsi una sensibilità di stampo illuministico e il ritratto, per secoli privilegio accessibile a una élite circoscritta e cioè salvo rare eccezioni alla nobiltà e al clero, ora diventa un modello di autorappresentazione dei nuovi protagonisti della società borghese. Ecco allora il Ritratto di Maria Teresa di Vallabriga a cavallo di Goya e il Ritratto della poetessa Fortunata Sulgher di Angelika Kauffmann, gli autoritratti di Anton Raphael Mengs e di Joshua Reynolds. Nella seconda metà del Settecento, quando si vede emergere l’interesse per le scuole pittoriche venete ed emiliane documentate da capolavori di Canaletto, Guardi, Giuseppe Maria Crespi, comincia a intravedersi il passaggio verso la cultura del secolo successivo con l’apparizione della nuova categoria estetica del Sublime. Il “bello” è superato da un senso di stupore e sgomento, dapprima scaturito da iconografie di picchi innevati, rovine, scroscianti cascate (Claude Joseph Vernet, Naufragio nella tempesta) e in seguito messosi al servizio di una sensibilità del tutto nuova, più inquieta, che contribuisce alla nascita del Romanticismo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Temi