Il testo di Alver Metalli che anticipiamo in questa pagina è tratto dalla prefazione al volume Il Papa e il Filosofo edito da Cantagalli. Il filosofo è Alberto Methol Ferré, pensatore uruguayano molto ascoltato da Jorge María Bergoglio che nel libro si racconta in una lunga intervista col giornalista Metalli (pagine 232, euro 15; il libro viene presentato domani alle 18,45 nella Sala Marconi di Radio Vaticana: piazza Pia, 3 a Roma, da J.C. Scannone, G. Carriquiry Lecour, M. Borghesi e F. Lombardi). Nei giorni in cui si attendeva l’elezione di Benedetto XVI, Methol Ferré era certo che il tempo per un Papa giunto «dalla fine del mondo» non fosse ancora maturo ma sarebbe arrivato presto. Pero, forse, non poteva immaginare che il Papa argentino tanto atteso sarebbe stato qualcuno che conosceva bene. L’amicizia tra Bergoglio e Methol Ferrè ha radici lontane: si conobbero negli anni 70, durante i preparativi della terza Conferenza dell’episcopato latinoamericano, per parlare della responsabilità della Chiesa in America Latina. La cultura, la religiosità popolare, i poveri, la teologia della liberazione erano gli argomenti caldi. Nell’intervista con Alver Metalli, Methol Ferré ripercorre il fervore di quegli incontri.Il rapporto tra Bergoglio e Alberto Methol Ferré viene da lontano. Elbio Lopez, un amico uruguayano, sostiene che i due si siano conosciuti “intellettualmente” negli anni Settanta, «quando, tra le altre cose, l’offensiva antiromana scuoteva le fondamenta dell’autorità petrina e metteva in discussione le basi ecclesiologiche del Concilio Vaticano II». Vis à vis , invece, si sono incontrati per la prima volta nel 1978, sull’onda dello slancio che entrambi cercavano di imprimere anche in Argentina al dibattito preparatorio per la Terza Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano già annunciata a Puebla de los Angeles, in Messico. Francisco Piñon, rettore dell’Università del Salvador negli anni 1975-1980, ricorda bene quel momento. «L’occasione fu un pranzo a tre, che ebbe luogo nel Collegio Maximo di San Miguel, allora sede pontificia della Facoltà di filosofia e teologia dei gesuiti, parte dell’Università del Salvador. Si parlò del momento storico dell’America Latina, e della responsabilità della Chiesa in quel frangente. Era uno sguardo cattolico quello che si portava sulla situazione del continente alla vigilia dell’incontro di Puebla. Il tema della cultura, come si stava delineando nelle fasi preparatorie della Conferenza in cui Methol Ferré aveva parte attiva, quello della religiosità popolare, lo stesso tema della Teologia della liberazione… Argomenti tutti che entrarono nella conversazione con molta vivacità». In Argentina si era formato un nucleo, una linea teologica, che poneva l’accento sull’esistenziale, sulla religiosità e sulla cultura popolare. Più sulla storia e il popolo, cioè, che sulla sociologia e le classi sociali. Ne facevano parte, tra altri, gli argentini Lucio Gera, Gerardo Farrell, Juan Carlos Scannone, tutti nomi conosciuti e frequentati tanto da Bergoglio che da Methol Ferré. Gera, amico personale di Bergoglio, non accettava l’impostazione sociologica di Gutierrez e Boff. Cercava, invece, di assimilare il tema della liberazione all’interno della tradizione sociale della Chiesa. Methol Ferré sintetizzava così la critica di fondo mossa alla teologia della liberazione: «Molti di noi, e in anni non sospetti, hanno rimproverato alla teologia della liberazione la sua dipendenza di fondo dalla logica marxista. In tanti esponenti di questa corrente – non in tutti, si badi bene – il cristianesimo si assoggettava a una concezione totalizzante di origine diversa e contraddittoria con il cristianesimo, e non l’inverso. I fatti successivi hanno verificato la bontà di questa critica». Con una postilla che dimostrava la grande indipendenza intellettuale di Methol Ferré: «Condivido l’intenzionalità profonda della teologia della liberazione, anche se le mie posizioni differiscono. Questa teologia ha prestato un inestimabile servizio ripensando la politica in funzione del bene comune, e quindi in relazione stretta con l’opzione preferenziale per i poveri e la giustizia». A questa linea teologica e di pensiero faceva riferimento Bergoglio, una corrente che in Argentina è stata più forte che in altri Paesi dell’America Latina, articolandosi in giornate, pubblicazioni, riviste, tra le quali merita di essere ricordata Nexo , iniziata e diretta da Methol Ferré. Bergoglio era un lettore assiduo di «Nexo». Un suo connazionale, Guzmán Carriquiry, lo evidenzia in una lettera scritta di recente al figlio di Methol Ferré, Marcos: «Seguiva con molto interesse e profitto tutti i suoi scritti, soprattutto quelli della rivista Nexo . Bergoglio, padre, vescovo e cardinale avvertiva in tuo padre un profondo amore alla Chiesa e una sor- prendente intelligenza cattolica riguardo gli ultimi pontificati». Ancora Elbio Lopez riferisce che i legami personali tra Bergoglio e Methol Ferré «si sono intensificati con la mediazione dell’allora arcivescovo di Buenos Aires» Quarracino, discendente di italiani come Bergoglio. Tra i due, Methol Ferré e Bergoglio, «cominciano ad evidenziarsi affinità esplicite, sempre all’interno di un rapporto cordiale e molto rispettoso». A partire dal 1998 Bergoglio diventa arcivescovo di Buenos Aires. «Anche allora – assicura Elbio Lopez che afferma di essere stato testimone – il rapporto tra i due non si è mai interrotto ». Methol Ferré nelle sue frequenti visite a Buenos Aires imbocca spesso il portone di viale Rivadavia n. 415 e sale al secondo piano. Erano visite a cui teneva, che si prolungavano ben oltre i tempi protocollari, peraltro così poco rispettati anche dal suo interlocutore. Soddisfazione reciproca. Il 16 maggio 2009 Bergoglio accetta di presentare il libro-intervista a Methol Ferré L’America Latina del XXI secolo nell’auditorium di viale Santa Fé, a Buenos Aires. Il salone è gremito, con il vicepresidente della Repubblica Daniel Scioli sul palco. Bergoglio prese la parola per primo, parlò del libro come di un testo «di profonda metafisica». Proseguì dicendo che «Methol Ferré è cosciente dell’oscurità dell’antropologia moderna e, per questo, recupera quello che c’è di più genuino nell’antropologia cristiana». Methol Ferré, disse Bergoglio, «mostra che il problema di Dio non si può porre al di fuori di un popolo». Ci sono affinità di pensiero, concordanze spontanee tra Bergoglio e Methol Ferré, «un comune odor di popolo» lo chiama il vescovo uruguayano Pablo Galimberti, ed altre che Bergoglio ha condiviso e fatto proprie, peculiari nella visione del filosofo uruguayano. A poco meno di un anno dalla morte di Methol Ferré organizzammo un simposio per ricordarne la figura. L’incontro si realizzò nel mese di giugno 2010 nel Centro Culturale Borges, nell’Università nazionale 3 de febrero di Buenos Aires. Bergoglio, allora arcivescovo, inviò una lettera di suo pugno. Invitava a ricordare Methol Ferré come «un grande uomo che tanto bene ha fatto alla coscienza latinoamericana e alla Chiesa». Scolpì in poche parole un elogio che può ben essere posto in un libro di storia dell’America Latina. «Il suo pensiero acuto e creativo sapeva guardare con prospettiva tanto alle radici come verso le utopie, e questo lo convertiva in un uomo fedele alla realtà dei popoli». Bergoglio seguì con partecipazione gli ultimi mesi della malattia di Methol Ferré. Varie volte chiese informazioni sul suo stato di salute. Voleva conferirgli un riconoscimento, forse la stessa laurea honoris causa , nell’Università cattolica di cui era Gran Cancelliere. Purtroppo le cose non andarono così, nel novembre 2009 Methol Ferré morì. Ma Bergoglio non lo ha dimenticato. Già Papa, in più di una occasione ha accennato all’amico uruguayano. Nel settembre del 2011 è stata costituita l’Associazione civile «Alberto Methol Ferré», di cui Bergoglio è socio onorario.