sabato 11 gennaio 2014
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C'era una volta il grande sceneggiato in costume, spesso tratto dai classici della letteratura, che, ad ogni puntata, radunava davanti a sé milioni di spettatori. Oggi quel prodotto televisivo non esiste (quasi) più. La fiction italiana, forse anche per motivi economici visto che il costume ha costi di produzione elevati, preferisce storie più semplici, attuali, di appeal immediato, che si possano magari seguire anche in maniera un po’ distratta. E che il pubblico preferisce. O, almeno, così sembra. Lo dimostrano gli ascolti della raffinata Downton Abbey, pluripremiata serie angloamericana che, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti ha conquistato oltre dieci milioni di spettatori, mentre in Italia, trasmessa da Retequattro, ne ha racimolato meno di uno (per la precisione, ottocentomila nell’ultima puntata, trasmessa giovedì scorso, share del 3%). Un risultato che ha scatenato un vero e proprio dibattito sul web tra chi ne attribuisce la colpa alla scarsa sensibilità del pubblico italiano, abituato (purtroppo) a ben altro, e chi invece punta il dito sulla collocazione "a panino" fra due soap opera, Il segreto e Tempesta d’amore, e su un eccesso di spot. Armando Fumagalli, docente di semiotica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, suggerisce una terza via: «Ha fatto bene Retequattro ad assicurarsi Downton Abbey, ma su una rete ammiraglia e più generalista probabilmente, gli ascolti sarebbero andati diversamente». Va dato, però, atto del tentativo di Retequattro di imprimere una virata al proprio stile: «Siamo consapevoli dei rischi, ma è giusto mettere nel palinsesto la qualità alta – dice il direttore Giuseppe Feyles –, perché lasciarla alla pay tv?». Retequattro ci riproverà dal 16 gennaio con la prima tv assoluta per l’Italia di Hatfields & McCoys, miniserie western con Kevin Costner che ha vinto un Emmy e un Golden Globe.In realtà, spiega Fumagalli, prodotti del genere sono «abbastanza difficili per il pubblico italiano che, generalmente, ama le cose con sapore locale come, ad esempio, Montalbano o Don Matteo», reduce quest’ultimo da un debutto trionfale con la nona stagione. Sarà per questo, allora, che in Italia fiction come Downton Abbey non vengono prodotte? O non sarà piuttosto che, trattandosi di prodotti troppo raffinati e, dunque, difficili da scrivere, si preferisce andare sul sicuro sulla strada della scrittura (e dell’appeal) più facile? Non a caso, a breve andrà in onda su Canale 5 I segreti di Borgo Larici, fiction in costume (ambientata ai tempi della Marcia su Roma) salutata come la Downtown Abbey italiana, ovvero un ritorno del feuilleton in televisione, in cui personaggi negativi, trame nascoste, segreti familiari, tradimenti e uno scontato pizzico di sesso non mancano di certo. Fumagalli riprende: «Premesso che non possiamo giudicare Borgo Larici né altri prodotti senza prima averli visti, in linea generale sappiamo che in una sceneggiatura il conflitto è fondamentale ma buoni contro cattivi è solo quello basilare, sicuramente il più facile da scrivere. Julian Fellowes, l’ideatore di Downton Abbey, ha fatto un’altra scelta: dichiarandosi stanco di serie tv in cui personaggi orribili fanno cose orribili, e che nella realtà non sempre esistono, ha creato un gruppo di personaggi positivi, con i loro obiettivi, pur se ciascuno alle prese con i propri conflitti». È questo, per Fumagalli, «uno dei meriti principali della serie: dei suoi personaggi si percepisce l’afflato umano, ci si identifica con loro e con i loro desideri di miglioramento».Certo, l’identificazione può scattare anche nel caso di personaggi più controversi o dichiaratamente negativi, come nel caso di alcuni protagonisti de I segreti di Borgo Larici ma si tratta, comunque, di una strada più semplice, quasi una scorciatoia, perché, conclude Fumagalli, «mettere sesso e tradimenti non sono necessari quando il conflitto è ben delineato». Nel caso specifico, i protagonisti di Borgo Larici sono due giovani, Francesco e Anita, lui ricco lei povera operaia, che si innamorano a dispetto delle differenze sociali e che dovranno lottare duramente per coronare il loro sogno d’amore. Perché la strada che li condurrà alla felicità è lastricata di familiari pronti a tutto pur di difendere i loro interessi, di donne intriganti e di un capofamiglia descritto dagli sceneggiatori come «spietato, privo di scrupoli, spregiudicato e depositario di tutti i segreti, anche quelli più torbidi».
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