giovedì 25 novembre 2010
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Tre settimane prima della marcia su Roma, il 7 ottobre 1922, Il popolo d’Italia annuncia in un breve trafiletto la nascita della casa editrice del Partito fascista, "Imperia", con sede a Milano e direttore Dino Grandi. La finalità è quella di formare la classe dirigente di cui Mussolini ancora non dispone. In un’intervista una settimana dopo, Grandi si dice preoccupato del fatto che i fascisti abbiano solo le doti del soldato, ma non siano pienamente coscienti del «tormento di pensiero e intelletto» che è all’origine del movimento. «Stiamo attenti che lo squadrismo non mangi il fascismo», gli aveva confidato Benito Mussolini. «Occorre invece una classe dirigente, matura, consapevole, preparata a risolvere i formidabili problemi che ci attendono», spiega Grandi. L’occhio è rivolto ai "fascisti nello spirito", che non hanno aderito al partito perché spaventati dalla predominante militarizzazione. Ma ecco che questi "fascisti di spirito" fanno la loro comparsa nell’elenco dei finanziatori della casa editrice: Federico Cerasola, Pietro Giovanni Bottini, Cesare Goldmann, Vittorio Nugoli, Ferruccio Bolchini e Alberto Redenti. Tutti massoni di palazzo Giustiniani. Rappresenteranno la maggioranza nel consiglio di amministrazione dall’Imperia e anche nei collegi sindacali. Dunque un’operazione politica in grande stile, avvenuta con il placet del gran maestro. Così elenco dopo elenco, distinta dopo distinta, Gerardo Padulo, storico che si è cimentato già con acribia e successo su importanti temi (Nitti e il suo rapporto tra gli industriali, la fascistizzazione della stampa, la massoneria), fa saltare la tesi di Renzo De Felice, già criticata da Ernesto Rossi, secondo cui non vi sarebbe stato nessun nesso stretto e organico tra mondo industriale e fascismo, qualificato come «fenomeno di ceti medi». Padulo nel documentatissimo saggio "I finanziatori del fascismo", comparso in Le Carte della Storia (quaderno n.1), dimostra la sua tesi grazie al ritrovamento di un nuovo elenco di finanziatori del movimento di Mussolini (riportato nel saggio), che si aggiunge a quello già conosciuto da De Felice. La nuova lista contiene le oblazioni ottenute tra il 13 giugno 1919 e il 9 gennaio 1920. Che il rapporto con gli industriali ci fosse, lo dimostra quanto scritto significativamente dall’agenzia Volta, tre giorni dopo la marcia su Roma: «Negli ambienti industriali l’avvento del ministero Mussolini è accolto con viva simpatia e con grande fiducia. La Confederazione generale dell’industria, che, pur essendo un’organizzazione economica e sindacale, non potrebbe nei momenti più gravi della vita del Paese non assolvere funzioni squisitamente politiche, ha preso parte attiva allo sviluppo della crisi nazionale e ha esercitato un’influenza diretta e pressante a favore della soluzione Mussolini». Tra i finanziatori del fascismo si trovano Lorenzo Allievi e Giacinto Motta, uomini rappresentativi dell’industria elettrica. Max Bondi, uno dei "pescecani" finanziari che operarono durante la guerra. E anche Giovanni Agnelli. Naturalmente questi flussi di denaro rimasero occulti all’opinione pubblica altrimenti al fascismo non sarebbe stato possibile sostenere di essere tanto antisocialista quanto anticapitalista. D’altra parte, i sostenitori anche i più borghesi non si lasciano impressionare per nulla dai programmi sovversivi sbandierati dal primo fascismo, mentre il ministro dell’Interno è in ogni momento perfettamente informato della ragnatela dei finanziamenti.Quanto alla massoneria, Padulo sottolinea: «È stata un oggetto estraneo per molti anni alle ricerche storiche. Negli ultimi tempi, è stata affrontata da molti - talvolta con eleganza, spesso con leggerezza - in modo comunque da sfocarne la presenza e la forza». Lo storico richiama carte e testimonianze da lui fornite «dalle quali risulta che la massoneria è il soggetto politico più forte e incisivo nella storia dell’Italia unita fino al fascismo». E più avanti ribadisce: «Senza la massoneria non si spiegano né la nascita del fascismo e il suo avvento al potere né molte altre questioni della storia dell’Italia unita». Secondo Padulo il finanziamento ad Imperia è per la massoneria «uno degli ultimi e vani tentativi di cavalcare e ammansire il fascismo». Inversamente per Mussolini l’obiettivo è quello di neutralizzare le logge. Ma si arriverà al novembre del 1923 quando il gran consiglio dichiarò l’incompatibilità tra fascismo e massoneria. «Atto di ingratitudine», commentò il massone Germano Torsello opera della «sua stessa progenie».
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