martedì 8 gennaio 2013
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​«Una notte che ero molto malata, improvvisamente, aprii gli occhi e vidi di spalle, una figura umana. Pensai sgomenta: hanno fatto del male a quest’Uomo... Era al di là di un’inferriata. Lentamente volse il capo e mi guardò. Lo riconobbi: era Gesù flagellato. Il suo volto raccoglieva tutto il dolore del mondo... Da quello sguardo è scaturito Morte di Adamo». È il racconto commosso di questa grande “signora dimenticata” della letteratura italiana che è Elena Bono. Una scrittrice da 91 anni «in ascolto della "Voce"», si definisce. «È quella “Voce” che mi presenta i personaggi dei miei libri e io ho solo il compito di decifrare i loro pensieri, le diverse lingue in cui si esprimono per poi trascriverle». Quella “Voce”, soprattutto lo sguardo penetrante di quel Volto mai più dimenticato, ha cominciato a dialogare con lei da Morte d’Adamo, il suo «capolavoro assoluto. In cui c’è qualcosa che va al di là del linguaggio capace delle più strane, labili evocazioni», come ebbe a scrivere recensendolo Emilio Cecchi. Romanzo edito da Garzanti nel 1956, «vent’anni in anticipo sul Quinto Evangelio di Mario Pomilio (pubblicato nel 1975) e su tutto il filone da esso discendente delle riscritture della Buona Novella», spiega la sua mentore, Stefania Venturino, incessantemente attiva per la riscoperta e la valorizzazione dell’opera omnia di Elena Bono la cui pubblicazione, a partire dagli anni ’80 ad oggi, si deve interamente a Francangelo Scapolla e alla sua casa editrice Le Mani, di Recco. Morte di Adamo, è stato l’inizio del riconoscimento popolare, a livello europeo, della scrittrice laziale (nata a Sonnino), ligure di adozione. Un clamore però prontamente sedato, dall’oblìo ingiusto e pilotato da una critica estremamente politicizzata e poco attenta allo stile sensibile e alla voce, in questo caso narrativa, fuori dal coro della Bono. Ora a distanza di oltre mezzo secolo, nella sua casa-museo di Chiavari, ogni giorno coltiva quello che considera «l’ultimo grande desiderio di una vita»: portare quel romanzo sul grande schermo. «Prima di morire ho voluto lasciare delle tracce per un film che si doveva fare tanto tempo fa, ma poi...», si ferma un attimo sconsolata, poi riprende il racconto con il solito piglio battagliero della “poetessa della Resistenza” che sull’Appennino ligure correva in soccorso degli amici partigiani. «Quando al Teatro dei Satiri di Roma andò in scena con successo La grande e la piccola morte, un mio dramma su Giovanna d’Arco, il regista Paolo Paoloni mi chiese di scrivere la sceneggiatura per un film tratto da un racconto pubblicato in Morte di Adamo. Doveva diventare un film, da intitolarsi La moglie del procuratore. Cominciai a lavorarci su, poi mi fermai, forse perché ancora molto scottata dalla fine che aveva fatta un altro mio dramma, l’Ippolito. Il commediografo Vittorio Calvino anche di quello voleva farne un film e mi assicurò che avrei avuto il diritto di revisione sulla sceneggiatura una volta terminata. Ma non vidi mai nulla. Eppure alla fine da quel mio testo la Lux Film portò sul grande schermo Il lupo della Sila, con Amedeo Nazzari e Silvana Mangano». Film che non ebbe un grande successo di critica, ma che al botteghino si segnalò come il terzo per incassi dell’anno 1949. «Beh – sorride disincantata la Bono – come sempre non ne ricavai neppure un centesimo, ma solo la mia buona dose di amarezza e di rimpianto. Un giorno poi Luchino Visconti mi disse di essersi ispirato a l’Ippolito per Rocco e i suoi fratelli». E se non è mai riuscita ad essere profeta in patria, anche in Inghilterra le cose non andarono meglio. «Quando venne pubblicata l’edizione in inglese di Morte di Adamo, The widow of Pilate, la traduttrice, Isabel Quigly, una delle maggiori critiche cinematografiche di allora nel Regno Unito, pure lei mi propose di ricavarne un film. Addirittura si parlò di un cast faraonico con Laurence Olivier nella parte di Pilato, Vivien Leigh in quella della moglie Claudia Serena e Alec Guinness nei panni di Seneca. Ancora una volta mi ammalai gravemente e l’incontro fissato a Londra sfumò...». La Bono però non si è ancora data per vinta. Da molti mesi, ogni mattina puntuale al suo scrittoio, nonostante la cecità che la costringe a dettare le ultime opere ad un’altra preziosissima collaboratrice, Elvira Landò, lavora a una sceneggiatura che con orgoglio annuncia: «L’ho appena completata con 26 scene e i suoi 24 personaggi». Ora però viene la parte più ardua, riuscire a trovare un produttore che finanzi il progetto troppe volte saltato. «Non vorrei passare per una presuntuosa, ma invito produttori, registi ed attori che ancora non lo conoscono a leggersi Morte di Adamo e poi capiranno perché in un tempo d’odio e di crisi, prima di tutto morale, come quello che stiamo vivendo, sarebbe importante farlo diventare un film, da mostrare a tutti e in particolare ai giovani». Per la versione cinematografica del suo romanzo ha le idee molto chiare, a cominciare dal cast. «Vorrei tanto ci fosse Alessandro Gassmann nella parte di Gesù, Beppe Fiorello in quella del Procuratore Pilato. Sergio Castellitto sarebbe perfetto per il mio Centurione. Quanto a Claudia Serena, il mio sogno è Sophia Loren. Alla regia vedrei bene quattro grandi maestri che sicuramente saprebbero darne una lettura profondamente spirituale: penso a Ermanno Olmi, Pupi Avati, Franco Zeffirelli e Giorgio Albertazzi. Sto esagerando?. No che non esagero...». Mentre il film rimane un desiderio, il suo Storia di un padre e di due figli è diventato un musical per la regia di Claudia Koll con i ragazzi della “Star Rose Academy” di Roma. «La regista Gabriella Bairo Puccetti sta lavorando da tempo alla realizzazione di un film sulla Bono, mentre dall’Università Cattolica di Milano, grazie al prof. Giuseppe Langella e la ricercatrice Stefania Segatori, è stato avviato un progetto di riedizione critica dell’opera omnia, a cominciare proprio da <+corsivo>Morte di Adamo<+tondo>, spiega la Venturino. E in Spagna, all’Università di Siviglia, è in fase conclusiva un testo scritto a più mani, da docenti italiani e spagnoli, per un volume monografico che raccoglierà l’intera produzione letteraria. «Tutto ciò mi riempie d’orgoglio – conclude la Bono – . Ma è quel film che vorrei tanto vedere con questi occhi stanchi... Dopo di che, il mio disegno di donna e di scrittrice si sarà davvero compiuto».
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