lunedì 3 luglio 2017
L'attore è morto in una clinica romana a 84 anni. Nel famoso goffo Ragioniere ironia e graffiante sarcasmo. Leone d'oro alla carriera, lavorò con i più grandi registi da Fellini a Olmi a Monicelli
Addio a Paolo Villaggio, maschera italiana con il suo Fantozzi
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Se ne è andato Paolo Villaggio, aveva 84 anni. Era ricoverato da giorni in una clinica privata di Roma, Paideia, dove è morto per complicanze del diabete di cui soffriva da tempo. A spiegarlo i due figli Elisabetta e Pierfrancesco. "Aveva il diabete e si è curato poco e male" ha detto la figlia, aggiungendo che il padre era stato ricoverato prima al Gemelli dal 14 maggio al 9 giugno, e poi trasferito nella struttura di Collina Fleming. "Un mese e mezzo fa abbiamo fatto una serata a Capodistria ha ricordato il figlio Pierfrancesco, poi ha avuto una forte infezione determinata dal diabete".

Come Alberto Sordi, ma assai meno ampiamente, anche Paolo Villaggio ha raccontato al cinema gli italiani, con le loro maschere quotidiane, le bassezze, le meschinità, le quotidiane miserie. Per farlo si è calato con la penna (ha scritto una trentina di libri) e nel piccolo e grande schermo, incarnando per decenni il suo personaggio per antonomasia, il ragionier Ugo Fantozzi, la maschera italiana più famosa degli anni 70 e 80. «La gente mi incontra per strada e mi dice grazie: con Fantozzi ci ha insegnato molte cose, prima di tutto ad accettarci» amava ricordare l’attore genovese. È nel 1971 che Rizzoli pubblica i suoi racconti su Fantozzi, già usciti sull’"Europeo". Il successo è immediato e quattro anni dopo arriva il primo di una celebre e fortunata serie di film, quel "Fantozzi" del 1975 diretto dal non meno caustico Luciano Salce.


La fenomenologia di Fantozzi è satira pura: la totale assenza di qualità, la sua Bianchina da postumo boom economico, la derelitta moglie Pina (interpretata dalla grande Milena Vukotic) e la loro orrenda figlia Mariangela (a vestirne i panni era un uomo, l’attore Plinio Fernando). «Fantozzi all’inizio ci faceva ridere, veniva considerato un vicino di casa cretino – diceva della sua creatura Villaggio due anni fa in occasione del ritorno in sala, per il quarantennale, del primo dei dieci film della serie – . Poi lentamente noi italiani ci siamo scoperti, proprio come lui, almeno per l’80% incapaci di essere competitivi e per una buona parte purtroppo anche dei falliti rispetto alle proprie aspirazioni. In tempi di esodati e di Jobs Act, Fantozzi è un tragicomico leader. Un bel paradosso». In quei film Villaggio sfoderava tutto il sarcasmo e la cattiveria di una società e di un mondo del lavoro in cui gli ingranaggi finiscono con lo stritolare soprattutto gli ultimi. Una fotografia anche dei vizi e dei tic di una società ipocrita e stereotipata.


Ma la carriera di Villaggio comincia con la televisione alla fine degli anni 60, a "Quelli della domenica" dove debuttano i personaggi del Professor Krantz e di Giandomenico Fracchia, altro tragicomico impiegato, sorta di antenato di Fantozzi, che sprofondava nella poltrona “Sacco” mentre davanti al grande capo (Gianni Agus) gli si intrecciavano i “diti”. Poi "Canzonissima" e, alla radio, la domenica mattina, "Gran Varietà". Con lui autori e compagni di strada come Enrico Vaime, Cochi e Renato, Ric e Gian. Arriva il momento d’oro di Villaggio che gira con Mario Monicelli "Brancaleone alle crociate" e recita per Pupi Avati e Nanni Loy. Per lui in tutto una settantina di film in carriera tra cui spiccano, per qualità interpretativa e prestigio di firma, "La voce della luna" in coppia con Benigni (l’ultimo film di Federico Fellini), "Il segreto del bosco vecchio" di Olmi (tratto da un racconto Dino Buzzati) e "Io speriamo che me la cavo" di Lina Wertmuller (tratto dal libro di Marcello d’Orta).

Nel 1992 arriva il Leone d’oro alla carriera, poi il David di Donatello e nel 2000 il Pardo d’onore a Locarno. Ma Villaggio non è stato solo attore e scrittore. Del resto nel suo Fantozzi si può percepire una sorta di critica a un modello sociale e politico-industriale, frutto anche della sua giovanile esperienza lavorativa come impiegato all’Italsider. Villaggio si tuffò così anche nella politica (passando dal Pci al Movimento 5Stelle), candidandosi persino un paio di volte, ma senza successo, nelle file di Democrazia proletaria nell’87 e dei Radicali nel ’94.

Innumerevoli per tutta la giornata di ieri gli omaggi delle istituzioni («attore di talento che ha saputo raccontare con acume ed efficacia vizi e virtù degli italiani» ha scritto il presidente Mattarella), del mondo sindacale («ha interpretato le frustrazioni e la voglia di emancipazione di tanti italiani» ha detto il segretario della Cisl, Annamaria Furlan), dei media (compreso l’Osservatore Romano) e dello spettacolo, a partire dal suo talent scout Maurizio Costanzo. «Un giorno – racconta –, consigliato da Squarzina, vidi in un teatrino questo impiegato dell’Italsider. Impazzii: con Villaggio ci vedemmo a cena e lui firmò su un tovagliolo un contratto per il cabaret che stavo lanciando in quel periodo a Roma, "Sette per Otto". Venne e fece il botto: il botteghino apriva alle 17, alle 17,20 era già esaurito. Lo videro gli alti dirigenti della Rai e lo portarono a Milano per "Quelli della domenica".

«Ciao papà, ora sei di nuovo libero di volare», ha scritto ieri con un post su facebook, la figlia Elisabetta che, recentemente, aveva accusato il mondo del cinema di averlo dimenticato. Per tutta la giornata di ieri, insieme al fratello e alla loro mamma Maura, ha accolto gli amici alla clinica dove l’attore è morto all’alba. Entrambi hanno ammesso di aver avuto con il padre «un rapporto complesso». «Non è stato un rapporto facile, perché mio padre era assente, come molti di quelli che fanno questo mestiere – ha spiegato Pierfrancesco –. Ma ultimamente ho avuto occasione di stare vicino a lui, perché abbiamo lavorato insieme. E questo ci ha permesso di instaurare un rapporto che non c’era mai stato». Domani l’ultimo saluto, con la camera ardente in Campidoglio e una cerimonia laica. Ma a ricordarlo sarà presto soprattutto un film postumo intitolato "La voce di Fantozzi" con la regia di Mario Sesti. È l’opera testamentaria per la quale lo stesso Villaggio ha anche scritto nuovi dialoghi. Nel film anche le testimonianze, tra gli altri, di Benigni, Dario Fo, Lino Banfi, Fiorello, Renzo Arbore e Costanzo. Nell’inquadratura, realizzata a casa sua, che chiude "La voce di Fantozzi", Villaggio tiene in mano il ciak del film.

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