giovedì 10 settembre 2020
Inquieta e interroga la pellicola del regista messicano Jorge Cuchi “50” che indaga attraverso i giovani protagonisti Felix ed Elisa la fragilità degli adolescenti sullo sfondo del fenomeno Blue Whale
Félix ed Elisa protagonisti di “50”

Félix ed Elisa protagonisti di “50” - -

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I Romeo e Giulietta del XXI secolo sono due adolescenti tristi e alienati che decidono di morire per un gioco lanciato sul web. Lascia l’amaro in bocca e una stretta al cuore il bel film del regista messicano Jorge Cuchi 50 (o dos balenas se encuentran en la playa) ovvero 50 (o due balene su incontrano sulla spiaggia) presentato al Lido nella Settimana della critica. Le balene in questione sarebbero i due 17enni Félix ed Elisa ( José Antonio Toledano e Karla Coronado) irretiti nella sfida mortale denominata Blue Whale, un fenomeno che ancora non è stato chiarito se reale o fittizio, che consiste in 50 prove autolesionistiche in 50 giorni, inviate da un misterioso amministratore, sempre più spinte: incisioni col rasoio, guardare video horror, salire su una gru, fino al suicidio finale. «Non so se si tratti di leggende metropolitane o di realtà, mi sono solo ispirato a quello che ho letto sui giornali e sul web e credo che molti abbiano voluto copiare l’idea. Anche da padre ho provato a raccontare questo fenomeno attraverso una storia romantica e dark al tempo stesso» spiega Cuchi, che aggiunge: «I giovani sono intensi, nell’amore come nella tristezza. Ma se attraverso i social si confrontano con la tristezza di tanti, questa non fa che aumentare ».

Il regista racconta, con cinepresa asciutta e luci oscure, un mondo di solitudine e di vuoto, con l’inquadratura talora divisa in due per raccontare le vite in parallelo dei due ragazzi nel piccolo mondo delle loro stanze come se si trattasse dello schermo di un cellulare. Félix, un ragazzo di 17 anni, riceve un messaggio su WhatsApp: vuoi giocare alla Blue Whale? Quello in cui alla fine devi ucciderti? È così che incontra Elisa, figlia di una famiglia benestante. I due iniziano a completare le sfide insieme, mancano sei giorni a quella finale. Ma nel frattempo si innamorano, e il loro mondo fatto di dolcezza e durezza, di baci e di tagli sul corpo, di silenzi coi genitori e spari contro le auto ci spiazza, ma ci fa sperare che alla fine qualcosa cambi. L’amore li salverà? La realtá però è più complessa di quello che sembra, e gli adulti non riescono ad entrare nel misterioso mondo di questi due ragazzi con tendenze suicide in cui si scopre anche un gioco dell’uno a manipolare l’altro. A volte si immaginano chissà quali complotti internazionali, quando poi il male banalmente esce fuori da dentro di noi. E può fare molto male anche agli al- tri. I discorsi e le confidenze che Elisa è Félix, seduti gambe penzoloni su pericolosi cornicioni di alti palazzi, ci lasciano attoniti e con un senso di impotenza. Per loro l’idea di procurarsi la morte viene vissuta con un macabro romanticismo, come se desse finalmente senso al vivere. In fondo, anche Romeo e Giulietta erano incompresi dalle loro famiglie, ma lottavano per vivere insieme, non per morire. «Noi adulti dobbiamo stare molto attenti – prosegue il regista –. Quella tristezza va vista prima, perché i ragazzi attraverso questo gioco rischioso sentono la vita. Altrimenti perché dovrebbero partecipare a una sfida che dice di uccidersi?».

Spingendo sempre più in là fino ad esiti drammatici le loro prove, i due ragazzi è come se affrontassero insieme un’avventura che li lega in una complicità crescente contro un mondo a cui si sentono estranei. «Perché vuoi ucciderti?» chiede Elisa a Félix, nome che sottolinea il paradosso. «Non so. Perché sono triste» risponde lui. «Quando le persone decidono di suicidarsi, non è perché vogliono porre fine alla loro vita, ma perché vogliono porre fine alla loro tristezza – sostiene Cochi –. Elisa e Felix sono due bambini che hanno preso vita nella mia testa con un desiderio estremo di finire le loro brevi e corte vite. Due giovani innamorati, circondati dall’assenza del bene e dalla presenza del male, che entrano in un gioco suicida che li spinge a vivere e ad amare con una estrema intensità quello che rimane delle loro vite rovinate». A fare riflettere è anche il fatto che un film ambientato in Messico, ma potrebbe essere qualunque altra parte del mondo, racconti esattamente gli stessi ragazzi delle nostre città, uniti nella globalizzazione dell’infelicitá. Moltissimi i giovani presenti ieri al Lido alla prima proiezione del film ad applaudire convinti il regista che ha ribadito quanto sia comodo per l’informazione liquidare i comportamenti legati al disagio giovanile riversando le colpe solo sugli stessi minori lasciati in balia di se stessi e di un mondo digitale che non fa che acuire la loro solitudine e incomunicabilità: «I genitori e gli insegnanti, cui questi ragazzi sono affidati, devono vigilare molto attentamente e intervenire a monte. Devono essere presenti, perché se sono assenti, come nel film, i ragazzi pensano “se a loro non interessa, neanche a me interessa”. E le conseguenze si pagano».

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