mercoledì 5 giugno 2019
Gli eventi che ispirarono lo scrittore irlandese: dalla grande carestia del 1845 agli episodi di "zombie" durante il colera del 1832, ai salotti della Londra di fine ’800 fra esoteristi e allucinogeni
Bela Lugosi è il conte Dracula nell’omonimo film del 1931 diretto da Tod Browning (Ap/Universal)

Bela Lugosi è il conte Dracula nell’omonimo film del 1931 diretto da Tod Browning (Ap/Universal)

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Tutto comincia, ma meglio sarebbe dire comincerebbe, con la grande carestia che colpì l’Irlanda fra il 1845 e il 1848 seguita da una violenta epidemia di tifo. Proprio nel cuore di quegli anni, il 1847, considerato il più terribile, nasceva terzo di sette figli a Clontarf, all’epoca un villaggio poco fuori Dublino, Abraham Stoker, l’uomo che passerà alla storia per aver scritto Dracula, una delle opere letterarie più stampate, più conosciute (soprattutto per le tante versioni cinematografiche) e più clonate della storia.

L’uso del “comincia” o del “comincerebbe” dipende dalla scelta di collocare la grande tragedia irlandese, che provocò oltre un milione di morti e altrettanti emigrati, fra le fonti ispirative di Stoker nella stesura del romanzo. Quel che è certo, infatti, è che lo scrittore irlandese, quantunque particolarmente prolifico, lavorò per almeno 8 anni al suo capolavoro in una quasi maniacale ricerca di materiale e di episodi orrorifici che facessero da supporto creativo e allo stesso tempo realistico, alla storia che voleva raccontare.

Con altrettanta certezza sappiamo che la madre di Abraham, Charlotte Blake Thornely, oltre a chiamarlo ben presto col diminutivo Bram col quale lui firmerà tutti i suoi scritti, era appassionata di folklore locale e (come tante mamme dell’epoca) usava intrattenere il figlio con i racconti di lugubri storie quasi tutte ispirate a fatti realmente accaduti. In questi racconti non si parlava solo degli spiriti mangiatori di uomini e succhiatori di sangue tipici della tradizione irlandese, ma anche di truci episodi legati alla grande carestia, all’epidemia di colera del 1832, e a certe misteriose vicende legate alle sepolture dei suicidi ai crocicchi delle strade, uno dei quali e fra i più noti, si trovava vicino alla loro abitazione.

I fatti del 1832, in particolare, risultano fortemente evocativi delle oscure atmosfere "draculiane", non a caso avrebbero ispirato la vampira Carmilla, romanzo breve scritto nel 1872 da Sheridan Le Fanu, conterraneo di Stoker. Di quell’anno, il ’32, si racconta che il terrore del contagio era tale da spingere molte comunità rurali a scavare fosse comuni in cui seppellire i malati ancora vivi. Da qui, probabilmente, i racconti di attacchi alle case portati da gruppi di contagiati: una sorta di anticipazione dei più moderni zombie. La stessa Charlotte, nel raccontare al figlio, si faceva protagonista di una di queste storie, lei quattordicenne, pronta a staccare con un’ascia il braccio di un "incolerito" che voleva entrare in casa.

Tutto questo senza dimenticare che il piccolo Bram soffriva di una non precisata malattia che di tanto in tanto lo portava in punto di morte. Il padre, medico come lo saranno quasi tutti i fratelli di Bram, era prodigo in cure che spesso prevedevano il salasso con le sanguisughe per «buttar fuori il sangue cattivo».

Indagando nella vita di Bram Stoker suggestioni di questo tipo se ne trovano a decine, non solo legate agli episodi dell’infanzia, ma anche alle sue ricerche nella cronaca nera dell’epoca (al di qua e al di là dell’Atlantico), alle amicizie di gioventù e a quelle della maturità, come in seguito ha anche potuto confermare la moglie, Florence Balcombe, famosa per il suo fascino, sposata giovanissima (sembra per sottrarla al corteggiamento dell’amico Oscar Wilde) e poi gelosa tutrice della sua memoria.

Certo non è facile affermare che proprio queste coincidenze e conoscenze, per non dire dei luoghi frequentati, abbiano portato Stoker a scrivere Dracula , ma certo la suggestione è grande, soprattutto se si legge un interessante e iperinformato libro di Franco Pezzini, Il Conte incubo, edito da Odoya (pagine 535, euro 25). Un libro ricchissimo di aneddoti e collegamenti, filtrati attraverso le pagine di Stoker, che ha il pregio di far emergere l’importanza dell’ambiente e delle frequentazioni nella nascita di ogni grande best seller.

E a muoversi fra le tante più o meno famose conoscenze che Stoker matura a Londra, soprattutto dopo essere diventato il factotum del celebre attore Henry Irving, dal fascino magnetico e grande frequentatore di salotti (in cui parlare di occulto e attingere ad allucinogeni come il laudano e non solo erano cose alla moda), c’è davvero da trarre materiale per avvalorare la tesi.

Abbiamo detto di Wilde, autore del non certo “sereno” Ritratto di Dorian Gray. Poi c’è il giovane Yeats, irlandese e cultore di spiritualismo esoterico, c’è Conan Doyle con le atmosfere "buie" del suo Sherlock Holmes consumatore di morfina, Thomas Caine, romanziere al quale Stoker dedica Dracula, noto per essere appassionato di occulto e amico del pittore e occultista Dante Gabriel Rossetti. Così come esoteristi erano: Irving, l’attrice Florence Farr e, naturalmente, il "sulfureo" poeta Aleister Crowley.

Solo per fare un esempio il nome di Rossetti è legato a un singolare episodio. Sua moglie e modella, la bellissima Elisabeth Siddal, si era uccisa nel 1862 col laudano, dal quale era dipendente. Lui, disperato, chiude nella bara anche la raccolta di poesie e di incompiuti a lei dedicati. Sette anni dopo, però, decide di recuperare quegli appunti e con un gruppo di amici, di notte, riapre la tomba trovando il corpo ancora intatto e i capelli ramati che invadevano la bara.

Una vicenda che fa il paio con le misteriose storie di cronaca nera raccolte da Stoker nei tanti viaggi negli States, con disseppellimenti di cadaveri di donne consunte dalla tubercolosi, credute portatrici di vampireschi spiriti malvagi che si potevano sopprimere solo estraendo e bruciandone i cuori. E come non ricordare, quell’ispirazione "romantico-gotica" che portò Mary Shelley, autrice di Frankestein, altro grande mito dell’horror, a conservare fino alla morte il cuore del marito (passione poetica di Yeats) estratto intatto dalla pira in cui arse sulla spiaggia di Viareggio nel 1822.

Coincidenze che passano per le crude ricostruzioni giornalistiche degli squartamenti di Jack, il più famoso dei serial killer, avvenuti nella Londra del 1888. Quella stessa città che sei anni prima vide Stoker tentare di salvare un suicida dalle acque del Tamigi, e portarne il cadavere nel salotto di casa sperando che tornasse in vita...

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