
Il Ponte Emilio, note anche come “ponte rotto”, e l’isola tiberina a Roma - WikiCommons
Chi ha detto che il fascino dell’antica Roma sia oggi destinato a ispirare quasi esclusivamente i sogni neoimperiali di governi e potentati d’Occidente e non solo, talora a cavallo fra dirigismo politico e volontà di potenza economica? In realtà, anche al di là della sfera giuridica, la civiltà nata sulle sponde tiberine può ancora rivelarsi esemplare pure su tanti altri versanti, come l’ingegnosità e il pragmatismo nel prevenire o nell’affrontare emergenze rimaste, ai giorni nostri, di grande attualità.
Un esempio eloquente giunge dalla Francia, dove l’Università di Caen, in Normandia, propone da un decennio cicli divulgativi appassionanti e seguitissimi anche su aspetti della civiltà romana molto in risonanza con i bisogni e le priorità del XXI secolo. Nell’anno accademico in corso, in particolare, le soluzioni escogitate a Roma per fare i conti con il Tevere in piena: un tema che fa pensare subito alla vulnerabilità delle nostre città europee di fronte a corsi d’acqua pronti a trasformarsi repentinamente in “mostri” incontrollabili. A evidenziarlo ancora una volta drammaticamente, lo scorso autunno, il cataclisma alluvionale di Valencia.
Cosa può insegnarci dunque in proposito la civiltà romana, celebre pure per la perizia nelle opere idrauliche? «Pragmatismo e rispetto sono le parole chiave per comprendere l’atteggiamento di Roma verso le inondazioni del Tevere. Lo si evince dall’insieme delle fonti testuali, archeologiche e iconografiche», ricorda il professor Philippe Fleury, responsabile a Caen del gruppo di ricercatori sull’urbanistica di Roma presso il Centro interdisciplinare sulla realtà virtuale (Cireve).
In effetti, è anche attraverso pazienti e spettacolari ricostruzioni in 3D della Roma del IV secolo, all’epoca chiave dell’imperatore Costantino e del riconoscimento del cristianesimo, che l’Università di Caen è riuscita ad attirare un vasto pubblico ancor oggi molto sensibile al debito storico europeo verso l’Urbs Aeterna. I cicli delle “Conferenze notturne sulla Mappa di Roma” hanno risposto proprio a una diffusa sete intellettuale attorno alle matrici culturali grazie a cui l’Europa “si è fatta le ossa”, per così dire.
Ancor più di tante altre, la questione dell’atteggiamento di Roma verso il Tevere ha sorpreso per la sua consonanza con un dibattito al centro delle preoccupazioni odierne. Una problematizzazione che a Caen non ha eluso il ruolo giocato dagli atteggiamenti verso la trascendenza e in particolare dalla tradizionale sacralizzazione del fiume: «È possibile, anzi probabile, che questa scia religiosa abbia impedito la realizzazione di opere troppo vincolanti sul letto del fiume», sottolinea Fleury, ricordando che la pur potentissima Roma si mostrò sempre alquanto umile nella propria relazione con l’elemento naturale fluviale, privilegiando in primis un monitoraggio accurato e costante dei rischi d’inondazione. Fra i curatores, non mancavano quelli via via incaricati di sorvegliare le rive e l’alveo tiberini, in modo da garantire la manutenzione delle sponde, assicurandosi pure dell’assenza di ostacoli, ostruzioni e strutture abusive in uno spazio pubblico dichiarato non edificabile. Tutt’altro che funzionari subalterni, trattandosi al contrario di un grado elevato del cursus honorum senatoriale.
Certamente, nell’insieme, di che far riflettere in un’Europa odierna pronta spesso solo dopo tragedie come quella di Valencia ad ammettere d’aver chiuso a lungo più di un occhio su “ecomostri”, abusivismo edilizio e cementificazioni scriteriate dei corsi d’acqua. Nonostante i danni ciclici dovuti alle inondazioni, l’Urbs per eccellenza sembrò non smarrire mai il senso di una sorta di riconoscenza verso ciò che il Tevere garantiva, fra l’altro in termini di navigabilità e fertilizzazione delle campagne. Concretamente, con prudenza, piuttosto che “ingabbiare” a oltranza il corso del fiume, come sarebbe stato tecnicamente possibile, si preferì lavorare sulla sopraelevazione degli edifici più a rischio o importanti, ma anche sulla solidità delle fondamenta, come con il Colosseo o il Pantheon, in modo anche da evitare i danni legati al ristagno delle acque, minimizzati grazie pure al drenaggio garantito dalla Cloaca maxima e in generale dall’ingegnoso sistema idraulico di canalizzazioni.
«I romani sembrano oggi ricordarci quanto sia utile evolvere a tu per tu con la dimensione naturale e non contro», riassume Sophie Madeleine, la direttrice del Cireve, evidenziando in proposito pure la sorprendente «resilienza» di Roma anche nel corso delle inondazioni: «Ai giorni nostri, durante questi eventi, vanno spesso in tilt la rete elettrica ma pure quella dell’acqua potabile. Grazie ai suoi acquedotti, invece, Roma poteva ancora ricevere acqua fresca durante un’inondazione. Un flusso costante che permetteva fra l’altro di ripulire più in fretta la città».
Nell’Europa oggi potenzialmente più vulnerabile sul piano idrogeologico per via del cambiamento climatico, non si può dunque escludere l’ipotesi di una riconsiderazione crescente in futuro pure di atteggiamenti e prassi risalenti alla Roma antica. E questo pur tenendo conto, naturalmente, della particolare complessità e delle dimensioni talora molto estese delle maggiori conurbazioni contemporanee.
Di certo, come mostra l’iniziativa dell’Università di Caen, per nulla isolata, simili prospettive potrebbero essere favorite dall’aura che l’antica Roma conserva nell’immaginario europeo, ben al di là delle frontiere italiane. «È stato un impero immenso su una durata colossale. Nella storia occidentale, la civiltà romana ha imposto così i propri modelli urbani e amministrativi, oltre alla propria lingua. Non dimentichiamo che fino all’Ottocento si costruivano monumenti secondo i canoni romani. Tutto ciò continuerà a orientare non poco verso Roma le nostre ricerche delle radici», ricorda Fleury. Da parte sua, Madeleine enfatizza in particolare l’inalterato potere di seduzione dell’architettura romana: «Alle nostre longitudini, se si pensa all’antichità, forse solo le Piramidi impressionano tanto quanto un capolavoro come il Colosseo. Già solo questa materialità capace di traversare i millenni non smetterà mai d’affascinarci».