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Diretta da Harold Cronk, la pellicola si intitola a sua God’s Not Dead e un paio d’anni fa ha trionfato agli Gma Dove Awards, che rappresentano la versione cristiana dei più conosciuti Grammy Awards. Più conosciuti qui in Europa, andrà aggiunto, perché quello della Christian Music, così come dei Christian Movies e di ogni altra declinazione pop del fatto religioso, è un mercato di tutto rispetto dall’altra parte dell’oceano. Basti dire che God’s Not Dead, costato due milioni di dollari, ne ha incassati più di 60 al botteghino, complici anche una serie di partecipazioni straordinarie di cui daremo conto tra breve. Nel nostro Paese il film arriva per iniziativa della Dominus Production, la stessa casa di distribuzione che nel 2014 ha permesso agli spettatori italiani di conoscere il kolossal Cristiada, incentrato sull’epopea dei cristeros, i cattolici messicani che negli anni Venti insorsero in armi contro la persecuzione. Con God’s Not Dead ci si sposta dalla storia alla cronaca, visto che negli Usa le controversie di natura religiosa sono tutt’altro che infrequenti. Nei titoli di coda del film sono elencati una trentina di casi, che vedono implicate diverse denomi- nazioni confessionali, tutte comunque riconducibili alla galassia del protestantesimo americano. È questo, del resto, il pubblico di riferimento di una produzione cinematografica molto variegata al suo interno, in una gamma di proposte che va dall’epica biblica al dramma familiare. Qualcosa, ogni tanto, arriva anche da noi in proiezioni destinate al dibattito, ma God’s Not Dead è il primo film esplicitamente “cristiano” al quale venga garantita un’ampia circolazione in Italia. Alla trama si è già accennato, anche se la vicenda di Josh (interpretato da Shane Harper, già avvistato nella saga di High School Musical) si intreccia in effetti a molte altre. Una è proprio quella dell’apparentemente arcigno, e in realtà fragilissimo, professor Radisson. Lo impersona Kevin Sorbo, un attore che molti ricorderanno come protagonista dell’Hercules televisivo datato anni Novanta. Il suo personaggio è un laicista incallito, ma Sorbo non fa mistero di professarsi credente, così come un altro suo collega nel cast di God’s Not Dead, Dean Kain, che sul piccolo schermo è stato un non disprezzabile Superman. Non sono, a ogni buon conto, gli unici volti noti di God’s Not Dead. A fare capolino nel film ci sono anche Willie e Korie Robertson, i “buzzurri e bizzarri” del reality tv Duck’s Dinasty (in onda anche in Italia su Discovery Channel). I Robertson hanno costruito un piccolo impero fabbricando richiami per la caccia all’anatra e anche nella trasmissione a loro dedicata non perdono occasione per proclamarsi fedeli alla Bibbia e salvati da Gesù Cristo. Nel film, in particolare, Willie non si sottrae alle scostanti domande di Amy, la blogger di convinzioni progressiste che, di lì a poco, sarà costretta a fronteggiare il mistero del dolore e della morte. La sua è una delle molte conversioni che si susseguono in God’s Not Dead ed è, per certi versi, la più spettacolare. A favorirla è infatti l’incontro con i Newsboys, la band di rock cristiano (nel loro nome la parola news allude alla “buona notizia” del Vangelo) il cui concerto segna l’epilogo del film. Formatisi in Australia negli anni Ottanta, i Newsboys si aggiudicano tra l’altro la miglior battuta della sceneggiatura. Mentre Amy ascolta commossa la testimonianza di uno di loro, Duncan, interviene a metterla scherzosamente in guardia il leader del gruppo, il cantante Michael Tait: «Hai visto? – dice riferendosi a Duncan – E pensare che è solo il batterista...». Non compare fisicamente, ma è evocato in una scena molto importante uno dei predicatori evangelici più influenti degli Stati Uniti, il reverendo Franklin Graham. Mina, la giovane di origine musulmana convertitasi in segreto al cristianesimo, viene scoperta dalla sua famiglia proprio perché ascolta in podcast una delle prediche di Graham, che in tempi non sospetti aveva avuto parole di apprezzamento per un’eventuale candidatura di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Coincidenze a parte, God’s Not Dead evita attentamente identificazioni e schieramenti unilaterali. Nel pieno del confronto intellettuale (e spirituale) con Radisson, per esempio, Josh riceve il conforto del pastore Dave, che svolge il ministero in una chiesa la cui confessione non è identificabile con precisione. Non è una parrocchia cattolica, questo è sicuro, ma per il resto non è difficile trovarsi d’accordo con il reverendo.
Arriva nei prossimi giorni in Italia uno dei più fortunati esempi di "cinema cristiano", espressione della variegata galassia delle confessioni evangeliche statunitensi.
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