venerdì 3 novembre 2023
Il “cantattore” porta in scena “Franciscus” dedicato al Poverello di Assisi: «La sua “follia” ci insegna a costruire la pace nella nostra quotidianità»
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«Da molti mesi ormai vivo fianco a fianco con questo signore vissuto 800 anni fa - racconta Cristicchi - Ho scandagliato la sua vita, ho letto libri che ne hanno interpretato le gesta, ho persino consultato testi di teologia, storia e filosofia per trovare la chiave di questo gigante che ancora oggi ci attrae e ci interpella. Ne ero innamorato prima ancora di saperlo. Ora non so dirvi se ho trovato la chiave, ma con emozione torno in teatro per raccontarvi Franciscus, il mio san Francesco d’Assisi ». È un Simone Cristicchi entusiasta, quello che dal 7 al 13 novembre debutterà al Teatro Sociale di Brescia con la prima nazionale assoluta del musical Franciscus – Il folle che parlava agli uccelli, con testi scritti insieme a Simona Orlando e canzoni inedite dello stesso Cristicchi e della cantautrice Amara, poi in tournée nei teatri italiani fino a primavera. Dopo il grande successo di Happy Next, dopo il musical sul predicatore David Lazzaretti detto “il Cristo dell’Amiata”, e dopo l’immersione nel Paradiso di Dante, il cantattore romano alza ulteriormente l’asticella del suo personale percorso nella spiritualità e si dedica a quello che definisce «il santo più amato al mondo, il fratello universale, la voce più attuale dei nostri giorni».

Com’è nata in lei questa idea?

Da anni frequento il mondo della spiritualità, anche francescana, ho fatto alcune esperienze di ritiri in clausura, ho portato un concerto nel monastero delle Clarisse di Lovere, poi sono approdato al Paradiso di Dante con uno spettacolo che ha avuto un grande riscontro. Nel mio cammino san Francesco è sempre stato nell’ombra ma presente, tanto che la canzone Lo chiederemo agli alberi, che ha avuto un successo straordinario soprattutto tra i più piccoli nelle scuole, è stata definita un canto francescano, e dalla stessa ispirazione poi è nata anche Custodi del mondo, che ha vinto lo Zecchino d’oro due anni fa, sempre parlando del creato, della natura e dell’ambiente. Quello che ora mi premeva non era raccontare la biografia di san Francesco, ma proporre una riflessione sui grandi temi che Francesco mi e ci provoca nel mondo attuale. Per non farmi influenzare non ho voluto vedere nessuno degli spettacoli che i miei colleghi stanno preparando su san Francesco, ho tirato dritto per la mia strada. Invece non nego che illuminante è stata la lettura della Laudato si’ di papa Francesco, un testo che mi ha scosso, emozionato e indignato, e dal quale sono partite le mie riflessioni.

Anche se la forma del musical affronta il tema con una drammaturgia persino divertente.

Con Simona Orlando ci siamo inventati il personaggio di Cencio, uno stracciarolo di Assisi contemporaneo di Francesco. È uno dei due narratori (l’altro sono io, che rivesto entrambi i ruoli), un personaggio grottesco, surreale, spesso comico, che rappresenta la voce critica, il bastian contrario che non capisce Francesco, lo sbeffeggia, pensa che la sua scelta di povertà sia il capriccio di un matto e che tutto il grande movimento che si crea attorno a lui sia solo un grande equivoco. Il cenciaiolo è un antico mestiere, girava a raccogliere gli stracci di lino e canapa che poi rivendeva al mastro cartaio per farne la carta, una lavorazione che sono andato a vedere dal vivo in una cartiera di Bevagna specializzata in tecniche medievali. È un po’ la metafora del salvare ciò che sarebbe da buttare per trasformarlo in qualcos’altro, del trovare la bellezza negli scarti. Diciamo che Cencio serve a porre le domande scomode, mi aiuta a presentare un san Francesco reale, lontano dal santino agiografico che spesso ne abbiamo fatto.

In un tempo in cui comandano gli influencer, spopola «lei che bacia lui che bacia lei che bacia me», e il successo è decretato dai talent, non si sente un po’ fuori dal mondo? La sua “follia” esce dai canoni.

L’ho sempre fatto, non per atteggiarmi, è una mia esigenza. Quando un’idea mi entra in testa è un’urgenza mia, non un’operazione di marketing, non vado mai a pensare se avrò successo. Comunque numerosi altri artisti, anche lontani dalla spiritualità, si stanno confrontando con Francesco in teatro, in letteratura, nell’arte, e questo accade perché è una figura trasversale, appartiene a tutti, anche alle altre religioni. È un personaggio che mette d’accordo tutti, però nello stesso tempo è anche molto equivocato, e con il mio spettacolo voglio ribaltare questa immagine distorta, restituirgli il suo carattere deciso, per nulla mansueto, capace di rivoluzionare la Chiesa da dentro.

Quando ha iniziato a lavorare al musical non sapeva che sarebbe scoppiata la guerra in Palestina. Proprio san Francesco durante le Crociate in Terra Santa si era recato, disarmato, dal sultano d’Egitto Malek al-Kamel per parlare di pace. Un’attualità drammatica…

C’è un importante messaggio nello spettacolo che riguarda proprio la costruzione della pace, ma nella nostra quotidianità. A un certo punto cito un aforisma di Rumi, il grande poeta mistico dell’islam contemporaneo del frate di Assisi, chiamato proprio “il san Francesco sufi” per le sue poesie dedicate al creato: «Prima ero intelligente e volevo cambiare il mondo, ora sono saggio e voglio cambiare me stesso». Secondo me dobbiamo partire da noi stessi, dalla guerra che abbiamo dentro, se non siamo noi in pace non possiamo riverberarla al di fuori. Lo spettacolo insiste sulle assonanze quasi perfette tra il fenomeno mistico dell’islam che è il sufismo e il francescanesimo, a partire dalla parola suf, la lana della tonaca indossata dai sufi e dai francescani, per arrivare al saluto salam aleikum, la pace sia con voi, come se avessero una radice comune. Io credo molto nell’ecumenismo che accomuna le religioni: anche quelle più lontane, nella mistica parlano la stessa lingua di pace e questo è straordinario, vuol dire che a un livello più alto l’umanità attinge alle stesse grandi intuizioni. Un po’ come oggi avviene con la fisica quantistica, che sta scoprendo scientificamente ciò che la mistica sapeva da millenni. C’è un altro bellissimo aforisma di un anonimo che dice: «Quando lo scienziato salirà sulla vetta della montagna, troverà il mistico ad aspettarlo». La fisica quantistica oggi afferma che la materia non esiste, esiste invece una immensa energia che tiene insieme le cose, «l’Amor che move il sole e l’altre stelle» con cui Dante conclude il Paradiso. Non è stupendo? Oggi molte scoperte scientifiche vanno a convergere con la spiritualità, la quale aspettava sulla vetta da molti secoli...

Se oggi Francesco fosse tra noi, come lo immaginerebbe?

In tournée con il suo spettacolo, che è il Vangelo, a ingresso libero, in piazze sempre gremite. Francesco era un poeta e un istrione, per ascoltare le sue parole rivoluzionarie e gioiose si radunavano in migliaia. Scopriva la bellezza ovunque, anche in sorella morte, riportava tutto all’armonia con il creato e quindi con il divino, era il “folle” che da ricchissimo che era sceglieva di farsi povero.

Ha approfondito questi temi con don Luigi Verdi della Comunità di Romena, suo grande amico?

Romena è stata fondamentale in generale nella mia visione, è un cristianesimo che torna alla sua nudità e quando sei nella nudità percepisci più forte il messaggio: nello sfarzo e nell’oro è più difficile lasciarsi attrarre da Cristo. Però devo tanto anche a padre Guidalberto Bormolini dei “Ricostruttori nella preghiera”, cui mi lega una grande amicizia, con lui abbiamo parlato della povertà, che non è la miseria: la miseria è la mancanza del necessario, invece Francesco invita alla povertà, che è la mancanza del superfluo. Farsi poveri significa abbandonare tutto ciò che non ci serve, che ci appesantisce. Un recente studio americano ha scoperto che in ogni nostra casa in media accumuliamo 300mila oggetti e molti di questi non li utilizziamo, a volte ce ne scordiamo persino e li ricompriamo, senza accorgerci affoghiamo in un girone consumistico fatto di ammennicoli che ci impediscono di muoverci, anche nel pensiero. Della vita del santo, qual è l’episodio che più l’ha colpita? Nonostante lo spettacolo abbia un taglio laico, non è possibile prescindere da un evento soprannaturale che è la visita di Dio, la vocazione, quella che nella mistica è chiamata “la grazia infusa straordinaria”. Non ci sono parole più belle per dirlo, “la grazia infusa straordinaria”, quel momento in cui nella sua vita accade qualcosa che lo trasforma completamente, l’episodio chiave che ho messo in scena con pathos particolare, perché da lì poi cambia tutto, cambia la sua esistenza, cambiano le persone intorno a lui, cambia il mondo, attraverso Francesco. Per questo dopo 800 anni siamo ancora tutti così dolcemente attratti da lui, nella modernità affamata di senso e nelle promesse tradite dal progresso.

In quale aspetto di san Francesco si riconosce di più?

Umilmente, mi rivedo nella gioia che lo contraddistingue. Nei miei spettacoli, nonostante abbia affrontato temi drammatici come le Foibe o la Seconda guerra mondiale, così come nella vita, cerco di essere una persona lieta, di mettere anch’io “la perfetta letizia” al primo posto. E poi cerco di utilizzare l’arte come strumento di elevazione, di me stesso prima di tutto, di usare il teatro per migliorarmi come essere umano. Per questo non mi interessa il marketing e non baratterei mai la mia libertà di artista con un primo posto in classifica o uno stadio pieno: metaforicamente, io gioco in un altro campionato, se con quello che faccio riesco non dico a cambiare le persone, ma a instillare qualche riflessione da portarsi a casa, penso di aver assolto a quello che nel mio piccolo è una missione, non un mestiere. E in quale aspetto si discosta? Dentro la Regola di san Francesco, che lui chiama libertà, ci sono tante restrizioni. Ad esempio, paradossalmente proprio lui che inaugurava la letteratura italiana con il primo capolavoro in volgare, il Cantico delle Creature, non amava i colti e vietava i libri, tranne quelli utili a recitare l’ufficio, in quanto amenità intellettuali. E poi io sono tutt’altro che ferreo, sono anzi un indisciplinato, ma comprendo che è una mia debolezza. Sul profilo WhatsApp la sua immagine è “L’occhio di Dio”, la più affascinante delle nebulose. Viene da dire che lei va sempre a parare lì... da ragazzo lo avrebbe mai immaginato? Noi siamo distratti da mille banalità, ma poi se ci guardiamo nel profondo siamo tutti affamati di infinito. Dovremmo fare come Francesco, a lui non bastava la ricchezza enorme che possedeva, non gli bastavano la gloria e i privilegi in grandi quantità, aveva fame di qualcosa che andava oltre. Appena ti accorgi che esiste “qualcosa” di più importante da cercare, subito ti trovi in pace. Anche con le tue ombre.

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