venerdì 30 maggio 2025
A Padova l’annuncio. il critico Bertoni: «Nella narrativa italiana di oggi c’è troppa uniformità: leggi una frase e sai già che cosa verrà dopo»
I finalisti del Campiello 2025

I finalisti del Campiello 2025 - Ansa

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Decisa questa mattina a Padova la cinquina del finalisti del premio Campiello 2025. Sono entrati in prima votazione Wanda Marasco, Di spalle a questo mondo (Neri Pozza, 7 voti), Fabio Stassi, Babelplatz (Sellerio, 6 v.), Monica Pareschi, Inverness (Polidoro, 6 v.). È servito un secondo giro per decretare l’ingresso di Marco Belpoliti, Nord Nord (Einaudi, 6 voti), mentre ci si è incagliati a lungo sul quinto nome, finché con ulteriori tre votazioni è stato trovato un accordo su Alberto Prunetti, Troncamacchioni (Feltrinelli, 6 v.). A decidere è stata la cosiddetta “giuria dei letterati”, composta da 11 esperti e presieduta quest’anno dal giornalista Giorgio Zanchini, riunitasi in sessione pubblica nell’aula magna dell’Ateneo patavino. Prima della votazione, è stato annunciato anche il vincitore del Campiello opera prima: Antonio Galetta, Pietà (Einaudi).

Libri diversi, quelli selezionati, che nel loro insieme offrono uno spaccato significativo (e tutto sommato rappresentativo) dell’odierno panorama letterario. Romanzo di luci e di ombre, in cui l’amore riesce a sanare in parte l’infelicità, quello di Marasco. Stassi indaga il tema dei roghi di libri decretati dal nazismo, concentrandosi in particolare su cinque autori italiani i cui libri furono dati alle fiamme nella Germania hitleriana: Pietro Aretino, Giuseppe Antonio Borgese, Emilio Salgari, Ignazio Silone e Maria Volpi. Racconti di amore e odio, incontri fatali e paure antiche quelli di Pareschi. Belpoliti, emiliano trapiantato a Bergamo, conduce invece il lettore in un Nord Italia dai confini incerti, in cui la curiosità umana e intellettuale dell’autore si confronta con le voci di alcuni fotografi, artisti e amici scrittori. Racconto di uomini e donne “non conformi” (anarchici, banditi, disertori, comunisti) nell’Alta Maremma agli albori del fascismo il libro di Prunetti. Commedia agrodolce dai toni grotteschi ambientata in un anonimo paesino del Sud, infine, l’opera prima di Galetta.

Prima della votazione vera e propria è toccato al membro della giuria di più lungo corso, Federico Bertoni (docente di Critica letteraria e letterature comparate all’Università di Bologna), tracciare un bilancio dell’ultima annata letteraria, ma più in generale delle tendenze in atto nell’attuale produzione narrativa italiana. Lo studioso ha individuato soprattutto due problematiche. La prima è la questione della qualità. «A fronte di una produzione sterminata di opere, la tessitura delle pagine rivela troppo spesso una sostanziale uniformità. Ciò riguarda innanzitutto l’aspetto stilistico: leggi una frase e sai già che cosa verrà dopo. Pagine, insomma, che non sanno sorprendere, che non sono in grado di favorire uno scarto nella percezione. Ma il problema concerne anche i temi: si ha l’impressione che l’industria editoriale ricerchi temi facili, di moda». Le cose, del resto, non vanno meglio neanche con i libri che si potrebbero definire sperimentali: «Quando c’è una sperimentazione, un lavoro di ricerca, l’aspirazione a sottrarsi al mainstream, troppo spesso si percepisce un esercizio fatto a tavolino, uno sforzo volontaristico, si sente insomma il rumore degli ingranaggi». La questione non è nuova: le case editrici sono spesso convinte che bisogni proporre libri “facili”, ma in questo modo il gusto dei lettori si appiattisce perché si assuefanno sempre più a prodotti banali. È un cane che si morde la coda. «L’offerta», sintetizza Bertoni, «finisce in tal modo per plasmare la domanda». Non tutto però è così fosco. «Ci sono anche scrittori», aggiunge, «che vanno in controtendenza: lottano contro i luoghi comuni, i cliché, l’uso standardizzato della lingua, cercano di mettere in campo una voce autentica, provano a dire qualcosa che non è mai stato detto con quelle parole».

Il secondo problema concerne i rapporti tra individuo e società. «C’è una difficoltà», continua il critico, «a trovare un punto di connessione organico tra individuo e politica, tra destini dei singoli e destini collettivi». È questo, del resto, un sintomo di ciò che viviamo quotidianamente nel mondo reale: dalla chiusura nel privato alla crisi della politica e della partecipazione. Ancora Bertoni: «I prodotti librari commercialmente vincenti, come i gialli e i noir, l’autofiction e la non fiction, le biografie di grandi personaggi, segnalano una crisi dell’immaginario narrativo: manca la capacità di inventare storie e personaggi capaci di interpretare il nostro mondo».

Il quadro, insomma, non sembra dei migliori. Forse è per questo che la votazione dei giurati non è stata preceduta, come tradizionalmente avveniva negli scorsi anni, da dichiarazioni di voto un minimo articolate, che contribuivano a vivacizzare la discussione. Questa volta, invece, si è preferito limitarsi all’espressione dei suffragi.

Ora la parola passa alla giuria popolare dei 300 lettori, che all’interno della cinquina decreteranno il vincitore assoluto di quello che, insieme allo Strega, rimane il premio letterario italiano più ambito. L’appuntamento è a sabato 13 settembre a Venezia, quando, al Teatro La Fenice, verrà scelto il libro vincente della sessantatreesima edizione del Premio voluto e finanziato da Confindustria Veneto.

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