mercoledì 11 maggio 2011
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La mano criminale che impugna una Browning calibro 9 sopra le teste ondeggianti della folla e spara con intenzione omicida al Vicario di Cristo è una delle immagini più sconvolgenti del secolo scorso. Sono passati trent’anni da quel drammatico 13 maggio 1981 ma l’attentato a Giovanni Paolo II resta, parafrasando il famoso detto di Churchill sull’Urss, «un enigma avvolto in un mistero». Nel suo senso più profondo il mistero del male troverà spiegazione durante il Grande Giubileo del 2000, quando venne svelato il terzo segreto di Fatima sul «vescovo vestito di bianco che cammina faticosamente verso la Croce e cade a terra come morto». Oggi, dopo la beatificazione di Papa Wojtyla, possiamo affermare che il suo sangue versato sul luogo del martirio dei primi cristiani si è rivelato straordinariamente fecondo per la Chiesa e per il mondo.  Resta però l’enigma che non ha ancora trovato soluzione. Chi e perché voleva uccidere il Papa polacco? Alì Agca, il killer turco arrestato con la pistola fumante subito dopo gli spari in piazza San Pietro, è tornato ad essere un libero cittadino nel gennaio 2010, dopo 29 anni di prigione trascorsi prima in Italia e poi in Turchia (per un omicidio compiuto ad Istanbul nel 1979). Lui stesso si è vantato d’aver fornito diverse decine di versioni sull’attentato, in un miscuglio di verità e menzogne che ha recitato atteggiandosi di volta in volta a pazzo, profeta, messia. Due giornalisti, il vaticanista del quotidiano la Repubblica, Marco Ansaldo, e la corrispondente di un quotidiano turco in Italia, Yasemin Taskin, l’hanno incontrato più volte e lui all’ennesima, insistente domanda sull’attentato al Papa ha risposto che «non è poi così complicato, è una faccenda semplice». Ma che ne è allora dell’intricato groviglio di fatti, coincidenze, ipotesi e depistaggi che neppure tre inchieste giudiziarie nel corso di 16 anni sono riuscite a dipanare? Ansaldo e Taskin si sono inoltrati in questa foresta fitta e impenetrabile, hanno esaminato dossier riservati, hanno interpellato giudici, prelati, spie e trafficanti d’armi, e ci offrono la loro risposta nel libro, uscito qualche giorno fa, Uccidete il Papa. La verità sull’attentato a Giovanni Paolo II (Rizzoli). Una verità molto semplice, forse troppo: l’attentato più clamoroso della storia «è un’idea concepita, nella sua lucida follia, dentro la mente di Agca che l’ha portata a termine con l’aiuto dei complici e dei suoi superiori turchi». Si tratterebbe insomma di un progetto circoscritto all’ambiente dei "Lupi grigi", il gruppo ultra-nazionalista cui apparteneva Alì Agca, e non di un intrigo internazionale o di un complotto ordito da potenze straniere. L’intenzione, evidente fin dalle prime pagine del libro-inchiesta, è quella di smontare la cosiddetta pista bulgara, «una formula fortunata che è rimasta nell’immaginario collettivo». Il coinvolgimento dei servizi segreti del Paese comunista più obbediente all’Unione Sovietica non sarebbe altro che un’invenzione della Cia. Ma ci sono dei fatti incontestabili, pesanti come macigni, che non è facile rimuovere. Alì Agca trascorse due mesi a Sofia nell’estate del 1980. Un soggiorno che, secondo Marco Ansaldo, «servì a introdurlo nel mondo vischioso composto dai contrabbandieri turchi con gli uomini d’affari bulgari, esperti nel commercio d’armi e stupefacenti». Ma nella Bulgaria comunista non c’era traffico sporco che potesse venir realizzato al di fuori delle connivenze con i servizi segreti del regime. Dunque, il killer che avrebbe attentato alla vita di Giovanni Paolo II se la intendeva con gli emissari di un potere che considerava il Papa polacco il nemico numero uno. Fu una vicinanza puramente casuale, senza conseguenze operative? Difficile crederlo. «La pista bulgara rimane la più realistica», ribadisce ancora oggi Ilario Martella, il giudice istruttore che condusse le indagini su Antonov, il capo-scalo della Balkan Air a Roma, e su altri due cittadini bulgari. Il processo si concluse con la loro assoluzione per insufficienza di prove, dopo la ritrattazione di Alì Agca che in un primo tempo aveva accusato i servizi segreti di Sofia, longa manus dei sovietici. «A loro carico sono emerse prove di responsabilità, ma non sufficienti per emettere un giudizio di colpevolezza», scrive l’ex giudice nel libro appena pubblicato 13 maggio ’81: tre spari contro il Papa (Ponte alle Grazie). Il titolo riflette l’idea d’Ilario Martella secondo cui in piazza San Pietro c’era un complice di Agca, il turco Oral Celik, che avrebbe partecipato alla sparatoria. Nessun mistero dunque sull’esistenza di un terzo proiettile. L’attentato al Papa fu sicuramente un complotto. Lo stesso Giovanni Paolo II nel suo ultimo libro Memoria e identità espresse la convinzione che «non fu un’iniziativa di Alì Agca: fu qualcun altro a idearlo e commissionarlo» per poi spiegare che si trattò di «una delle ultime convulsioni delle ideologie della prepotenza scatenatesi nel XX secolo». Qui il Pontefice ricorda fascismo, nazismo e comunismo. Ma nel 1981 era quest’ultima ideologia a tenere in scacco il mondo. Adesso c’è chi sostiene che i mandanti siano da ricercare esclusivamente negli ambienti del fondamentalismo islamico. Lo aveva già detto Gorbaciov, lo ha ripetuto recentemente Jaruzelski. Entrambi non si dicono più comunisti ma, nel tentativo d’allontanare il terribile sospetto dal sistema di potere che hanno esercitato in passato, accomunano l’attentato in piazza San Pietro a quello delle Torri Gemelle. Però i "Lupi grigi" erano un gruppo molto nazionalista e ben poco islamista a quell’epoca. Non erano certo gli antesignani di al-Qaeda. Viviamo tempi di accanito revisionismo storico. Però, francamente, equiparare Alì Agca a Bin Laden ci sembra un po’ troppo.
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