giovedì 12 marzo 2015
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Si è letto che gli autori delle stragi di gennaio a Parigi avevano ricevuto una normale "educazione francese". E che il jihadista dell’Is dal perfetto accento inglese specialista in sgozzamenti è laureato in programmazione informatica all’University of Westminster. Questi immigrati di seconda generazione, divenuti cittadini europei, si sarebbero potuti definire, nel gergo scolastico odierno, casi di "successo formativo". Poiché però la loro integrazione è clamorosamente fallita, sorge il sospetto che qualche passaggio educativo non abbia funzionato a dovere. Più di un sospetto, se si scopre che sono circa 3/5000 i giovani cresciuti ed educati in Europa partiti per combattere a fianco del Califfato. È sufficiente imputare un tale fenomeno solo a responsabilità specifiche e a condizioni individuali, o ai "cattivi maestri" incontrati in moschea o sul web? Se poi dai sondaggi risulta che il 14% di tutti i giovani britannici tra i 18 e i 24 anni esprime sostegno per l’Is, un sostegno che tra i coetanei francesi arriva ad uno sconcertante 27% (vedi Il califfato del terrore di Maurizio Molinari), è inevitabile dedurne che siamo in presenza di carenze sistemiche delle istituzioni educative europee. Altrimenti, come spiegare che menti di giovani uomini e donne siano tanto sprovvedute da piegarsi alle più assurde follie, da lasciarsi schiacciare su alcuni passaggi di un testo sacro ridotto a testo unico, e davvero neppure più letto, né tanto meno interpretato e contestualizzato - nella assoluta mancanza di qualsiasi punto di riferimento esterno, critico o storico - ma semplicemente manipolato, strumentalizzato?E laddove il fenomeno è più macroscopico, più evidenti ne traspaiono anche le cause. Nei Paesi mediorientali il continuo accrescersi di schiere di combattenti fanatici è sicuramente favorito da un’ignoranza diffusa. Milioni di giovani non sanno che cosa sia un’educazione aperta e libera: si vedano le sconfortanti statistiche Unesco, non tanto sull’alfabetizzazione, quanto sulla diffusione di libri e traduzioni dall’estero in  Medio Oriente e nell’Africa centro-settentrionale: a parte Turchia ed Iran, Paesi peraltro non arabi, vi è una sola presenza nei primi 50 posti (al 49°), quella dell’Egitto. La breccia attraverso cui si infiltrano i predicatori estremisti del jihad è il vuoto educativo. Noi europei siamo coscienti di questa falla pericolosa? Non abbastanza: in alcuni Paesi ci si limita a curare il danno a posteriori, con assistenti sociali, psicologi e docenti invitati a segnalare casi individuali e già patenti di indottrinamento. Ben più importante sarebbe tuttavia prevenirlo. Ma come colmare in anticipo quella carenza di cultura, di sapere, di conoscenza che agevola il contagio di ideologie tanto devastanti per sé e per il prossimo? Purtroppo non ci aiuteranno più scienze o tecnologie, e neppure una maggiore padronanza dell’inglese veicolare e di quelle strumentazioni informatiche anzi ben sfruttate a fini mediatici dagli apostoli del terrore. Invece, ciò che la neo-affiliata succursale nigeriana dell’Is dichiara di aborrire fin dal suo nome (Boko Haram: «l’educazione occidentale è peccato»), ciò da cui gli indottrinatori desiderano tenere alla larga i propri adepti è piuttosto quell’humanitas che sino a qualche decennio fa era la base della tradizione educativa europea. La capacità di rispettare e riconoscere l’uomo nell’altro da sé, nel nemico come nell’infedele, nell’avversario come nello straniero, è uno dei nuclei culturali fondanti sviluppatisi tra la classicità ed il cristianesimo e trasmessi quindi al mondo civile moderno; ma purtroppo è anche l’area disciplinare che in Europa da decenni stiamo sventatamente smantellando, sostituendola con un addestramento utilitaristico e strumentale. La furia distruttiva degli incappucciati su statue e rilievi mesopotamici di Mosul è a tal proposito rivelatrice. Non è certo il timore di una rinascita di antiche divinità a suscitare tanta frenesia iconoclasta, ma un ancestrale rifiuto dell’immagine, di ogni immagine, in particolare quella dell’uomo: nella quale non si vuole, non si sa - forse si teme - di riconoscere ed ammirare dignità e bellezza dell’umanità intera. Allo stesso modo, un tempo, accanite opposizioni aborrivano del cristianesimo soprattutto l’immanenza spiazzante del divino, o la compresenza di due nature - umana e divina - in una stessa incarnazione.Ci sarebbe bisogno allora, nella nostra scuola europea ed italiana, di più classici e grandi autori, di più epica, poesia, teatro e storia: del pensiero, delle istituzioni politiche, delle civiltà. Oltre che dell’educazione civica. E questo è possibile indipendentemente dalle religioni di ciascuno, che vanno rispettate e andrebbero anzi fatte conoscere a tutti, almeno storicamente. È ripristinando spazi adeguati alle conoscenze e all’humanitas che vinceremo la battaglia contro il proselitismo fanatico.
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