
Il pianista e compositore jazz Stefano Bollani - Foto di Azzurra Primavera
Provate a immaginare le migliori stelle del jazz italiano tutte insieme la stessa sera sullo stesso palco: il pianista e compositore Stefano Bollani, il trombettista Enrico Rava, il trombettista e docente Paolo Fresu, il contrabbasista Ares Tavolazzi, il batterista Roberto Gatto, il fisarmonicista e pianista Antonello Salis, il sassofonista Daniele Sepe. Più i giovanissimi di talento, la pianista Frida Bollani, e i chitarristi Christian Mascetta e Matteo Mancuso. Il sogno di ogni appassionato della nobile arte del jazz, ora è realtà per lanciare un messaggio di fratellanza e dialogo attraverso la musica. Si avvicina il via al progetto Ponte a NordEst, curato da Euritmica per GO!2025 che riporterà a Gorizia e in regione il meglio del jazz italiano con la “Stefano Bollani All Stars”.
Il progetto per la prima volta unisce i massimi esponenti che la scena jazz italiana ha espresso da oltre cinquant’anni: le grandi stelle del jazz si riuniranno in una residenza artistica che si terrà a Gorizia dal 13 al 16 febbraio 2025 in occasione della prima Capitale culturale transfrontaliera d’Europa, per un lavoro congiunto e specifico. Ognuno dei protagonisti porterà con sé suggestioni ed atmosfere della tradizione musicale di un popolo del mondo e il progetto sfocerà nel concerto di lunedì 17 febbraio alle ore 20.45 al Politeama Rossetti come spiega ad Avvenire Stefano Bollani.
Stefano Bollani, qual è il senso più profondo di questa straordinaria parata di stelle del jazz a Gorizia, capitale europea della cultura, e Trieste?
«Fare le prove Gorizia dove c’era una città divisa in due è una grande metafora. Ci sono vari modi di intendere questo concerto. Una unione di amici, tutti insieme sul palco come non si è mai visto, ma anche un incontro tra improvvisatori di generazioni differenti, da Enrico Rava che ha 85 anni a mia figlia Frida che ne ha 20. La musica crea ponti non solo geografici, ma anche temporali. Io, ad esempio, mi sento molto legato a Chopin e Ravel.»
Trovarvi in una terra di confine, ma al centro d’Europa, ha un significato particolare?
«La musica crea ponti e li lancia dal Nord Est. Abbiamo tentato di utilizzate tutto materiale inedito per noi: lavoreremo al concerto su canti popolari antichi dei popoli del mondo, improvviseremo sul canto italiano, turco, rumeno, argentino… E’ importantissimo creare un ponte coi popoli ora e lo è sempre stato. La musica è un elemento unificatore, se si seguissero i principi della musica alta, sarebbe improbabile che si scatenassero dei conflitti. La musica è una disciplina in cui tutto è pacifico: la musica si fa in collaborazione con qualcuno per cercare di andare verso la bellezza, tutti vincono se si sta insieme».
Inoltre il jazz è il genere senza confini per eccellenza.
«La fucina è l’America del Nord, ma molti jazzisti erano italoamericani e italiani emigrati, oltre ovviamente a quelli afroamericani. Il jazz nasce come insieme di culture e tale rimane. Il jazz europeo è un caso raro e molto novecentesco di musica meticcia. I musicisti un tempo stavano fermi, il jazz è musica che nasce da gente che viaggia, è sempre in fermento, si sposa col rock, con l’orchestra sinfonica, con l’elettronica…».
Sul palco di Trieste sarete in dieci artisti: come interagirete?
«Nel jazz ci conosciamo tutti, siamo una grande famiglia, con molti abbiamo già suonato insieme, ci stimiano, cosa che è difficile in altri campi come il rock. Siccome saremo tanti ci divideremo anche a piccoli gruppi fino al gran finale tutti insieme. Io sto preparando un repertorio che ho trovato parlando coi musicisti. Si costruisce un concerto improvvisando. Non abbiamo le regole della radiofonia, nel mondo del jazz mi è capitato di fare concerti in cui si suona un’ora senza fermarsi. Sperimentiamo cose che non si sono mai viste, ci confronteremo con tradizioni musicali e culturali differenti, cercheremo di prenderle per mano e portarle nel presente».
Cosa prova papà Stefano quando condivide il palco con sua figlia Frida?
«L’orgoglio per mia figlia è notevole: mi sento quasi uno spettatore, ho assistito a questo processo di crescita di una spontaneità e velocità sorprendenti. Io ho iniziato a suonare a 6 anni e a 15 facevo la professione, ma non avevo la lucidità e l’apertura di Frida: alla sua età volevo fare solo il jazz, non il rock né il pop. Lei ha una grande maturità: sceglie in base alla musica che le piace o non le piace, lei utilizza tutto da Chopin a Billie Ellish con voracità e curiosità. Nel mondo di oggi è una cosa difficile da trovare perché tutto è suddiviso in generi musicali, ma è un processo logico nostro che Frida riesce a scardinare».
Come definirebbe con una parola i colleghi che suoneranno nella “Stefano Bollani All Stars”?
«Difficile ma ci provo. Rava e Fresu, due poeti; Ares e Gatto, una sicurezza, una sezione ritmica non solo solida ma sempre in ascolto con le orecchie aperte che nell’improvvisazione è importante; Sepe e Salis, due cavalli pazzi come i sovvertitori dell’ordine che a noi piacciono molto; i giovani Mancuso, Mascetta e Frida impressionanti per maturità. Bollani? Direttore artistico, io ho la tendenza a dare suggestioni».
Lei è anche un apprezzato divulgatore tv.
«Siamo in onda su Rai3 con Via dei matti n.0 che ci sta dando molte soddisfazioni. La cosa meravigliosa è che incontriamo persone che ci ringraziano, bambini che decidono di suonare uno strumento dopo averci visti, famiglie che guardano tutte insieme il programma in un momento di serenità. C’è un rischio grosso che si corre: dimenticare che la musica è anche gioia, perché molta musica, anche nelle melodie e nei testi, dovrebbe essere gioia. In Via dei matti la musica è cura, comunicazioni col divino, gioia».
Altri progetti?
«Sono usciti da poco 18 Preludi per pianoforte, un libro di spartiti pubblicato da Hal Leonard Europe scritti da me nota per nota. Sono nati perché avevo voglia di scrivere musica che suonassero altri. E fra febbraio e marzo parte un tour per piano solo dove suonerò anche i Preludi».