sabato 26 novembre 2016
In campo Lorenzo Bernardi ha fatto la storia con la Nazionale dei “fenomeni”, ora da mister è tornato in Italia e sta rilanciando Perugia: io, fan di papa Wojtyla, devo tutti i successi alla famiglia
Bernardi, il «magnifico Lorenzo»
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Se parliamo di pallavolo, “Lorenzo il Magnifico” di cognome fa Bernardi. «Il giocatore più forte del XX secolo», come fu acclamato dalla Federazione internazionale nel 2001, può vantare una carriera da urlo. 199 centimetri di potenza ed elevazione l’hanno reso schiacciatore implacabile di quella Nazionale dei fenomeni che da Velasco in poi dominò nel mondo per tutti gli anni Novanta. In maglia azzurra, dal 1986 al 2001, il trentino Bernardi ha messo in bacheca venti medaglie tra cui due titoli mondiali e due titoli europei e l’amaro benché prestigioso argento olimpico (Atlanta 1996).

Un bottino altrettanto “esagerato” con i club, con il record di nove scudetti conquistati e un palmarès dove spiccano anche quattro Coppe dei Campioni. Non ha fatto in tempo a togliersi i panni da giocatore che nel 2007 era già in panchina. Una sfida che ha abbracciato partendo dal basso portando la Nazionale juniores alla medaglia d’oro ai Giochi del Mediterraneo e misurandosi per sette anni come allenatore nei massimi campionati di Polonia e Turchia. Fino al 10 novembre scorso quando è tornato in Italia come nuovo tecnico della Sir Safety Conad Perugia. A “mister secolo”, che oggi ha 48 anni, sono bastate poche partite per rilanciare un ambiente e far sognare i tifosi.


Dove può arrivare Perugia?

«Gli obiettivi sono giustamente ambiziosi. Possiamo puntare allo scudetto e andare lontano in tutte le competizioni. La squadra ha un potenziale elevato, ora tocca a me farla rendere al massimo. È stato un sogno rientrare in Italia».

Negli ultimi due anni ha guidato con successo la squadra della capitale turca, l’Halkbank Ankara, affrontando non solo gli avversari in campo, ma anche le bombe fuori…

«È stata un’esperienza molto forte. Quando sei distante non ti rendi conto di cosa significhi convivere ogni giorno con gli attentati. È pazzesco pensare che per ben due volte mi son trovato lì a pochi chilometri o nello stesso luogo delle esplosioni poche ore prima. Era normale aver paura anche di andare a far la spesa. Devi saperti adattare a una cultura e una religione che regna e impone regole. Ma avevo preso un impegno e sono contento di aver vinto tutto ad Ankara».

Come ha trovato la pallavolo in Italia?

«Il nostro campionato è da sempre tra i più belli ed equilibrati con cinque o sei squadre che lottano per il titolo. Poi quest’anno grazie alla Nazionale abbiamo un ritorno mediatico e un’affluenza nei palazzetti straordinaria. In squadra ho Zaytsev, Atanasijevic o il capitano azzurro Birarelli che hanno un “appeal” incredibile. I risultati dell’Italia negli ultimi due anni (argento alla Coppa del Mondo, bronzo all’Europeo e argento alle Olimpiadi) sono stati super».

Che cosa manca oggi alla Nazionale per aprire un ciclo leggendario come la sua di un tempo?

«Noi riuscimmo ad imporci grazie a uno smisurato spirito di sacrificio. Credo sia qualcosa di irripetibile riuscire a vincere per così tanti anni. Ma oggi la Nazionale ha giocatori forti che possono garantire la continuità».

Quanto le è pesato non vincere l’oro olimpico?

«L’abbiamo inseguito per anni. E anche io come i miei compagni per un po’ non ho voluto vedere quell’argento del 1996. Nel tempo ho maturato la consapevolezza che dovevamo essere contenti perché avevamo dato tutto noi stessi».

Di quella Nazionale faceva parte anche un suo grande amico, lo sfortunato Vigor Bovolenta (scomparso dopo un malore in campo a 37 anni nel 2012).

«Parlare di lui è sempre una pugnalata al cuore. Eravamo grandi amici, abbiamo trascorso tante vacanze insieme con le famiglie. Ma è inutile dire frasi fatte. Voglio ricordarlo per quella sua allegria innata, anche nei momenti di delusione per una sconfitta lui riusciva con una battuta a riportare l’entusiasmo nel gruppo».

Molti di quella generazione di fenomeni oggi siedono in panchina come lei.

«Non è detto che un grande giocatore possa poi diventare un grande allenatore. Certo abbiamo l’esperienza che può essere d’aiuto ai giocatori. Ma oggi un tecnico deve esser bravo a leggere la partita, aggiornarsi e apprendere il meglio dai suoi colleghi. Per ora sono molto soddisfatto, ho sempre allenato squadre importanti. Anche in Polonia con lo Jastrzebski Wegiel siamo arrivati due volte alle final four di Coppa dei Campioni».

Come si fa invece a diventare “giocatore del secolo”?

«Ho una passione viscerale per questo sport. E ho avuto la fortuna di giocare con grandissimi campioni. Da solo non ci sarei mai riuscito. Ma fondamentale è stata sia la mia famiglia d’origine che mi è stata vicino sin da quando sono andato via di casa per giocare a sedici anni. E sia oggi mio figlio e mia moglie. Solo una donna col suo carattere poteva sopportarmi e starmi vicino nei momenti di difficoltà»

Suo figlio però ha “tradito” per il basket…

«Ha seguito la mamma che giocava a pallacanestro. Ha scelto lui e io in sincerità ho tirato un sospiro di sollievo. Non so se sarebbe diventato forte a pallavolo ma di sicuro avrebbe avuto una maglietta pesante...».

Lei è un “tifoso” dichiarato di questo Papa.

«Mi piace il suo modo semplice di stare vicino alla gente. Anche se da sempre sono un fan di papa Wojtyla che rimarrà unico. Un giorno mi piacerebbe trasferire il mio bagaglio sportivo in altri campi, come il volontariato e la formazione. Vorrei aiutare gli altri trasmettendo le stesse emozioni che ho provato io»

Quale quella più grande? «Potrei elencare tutte le mie vittorie. Ma penso che per un uomo diventare papà sia un’emozione immensa. Il regalo più bello della mia vita me l’ha fatto mia moglie».

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