venerdì 13 settembre 2019
Il noto imprenditore della ristorazione italiana nel mondo esce a 50 anni con il suo primo disco "Aka Joe". "È la mia vera passione". Nei brani la sua infanzia di immigrato, la povertà, i temi sociali
Bastianich: «Divento musicista grazie a mia nonna istriana»
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"Mi do alla musica, la mia vera passione. Smetterò con la tivù e la cucina per un certo periodo... forse per sempre, chissà: l'idea è quella, però poi devo anche pagare l'affitto!". Scherza ma non troppo, Joe Bastianich, classe 1968, nato negli Usa in una famiglia povera e doppiamente emigrata, prima dall'Istria durante l'occupazione di Tito nel dopoguerra, poi di nuovo oltreoceano, in cerca di fortuna. Dai tempi in cui i suoi genitori comprarono nel Queens il primo piccolo ristorante e si lanciarono con successo crescente nell'avventura del buon gusto "made in Italy", ne è passata di acqua sotto i ponti e oggi il figlio di immigrati è un volto notissimo della ristorazione e del piccolo schermo... È dunque del tutto inedito il Bastianich che oggi a Milano ha presentato il suo primo disco, Aka Joe, raccolta di 12 brani musicali in inglese di cui è esecutore e autore, in uscita venerdì prossimo per la Decca. "La responsabile di questo disco? È nonna Erminia", racconta, "perché è lei che mi ha sempre detto 'Giuseppino, ricordati che tu puoi diventare tutto quello che vuoi', e io le ho pure creduto. A 50 anni! Sono sempre stato circondato da donne forti, che portavano sulle spalle storie forti, l'esodo dall'Istria, la povertà, il viaggio in America, i valori... I valori della famiglia sono stati fondamentali per diventare la persona che sono oggi".


"Canto il bambino povero e immigrato che ero"

È un Bastianich conscio di dover entrare in punta di piedi in un mondo che non è il suo, almeno non lo era fino ad oggi: "Io non sono un musicista professionista - ammette nel suo italiano molto americano -, Aka Joe non è un album fatto in pochi mesi, l'ho creato nello spazio di un decennio e ogni brano racconta un momento della mia storia. Però la musica è sempre stata la mia vera passione e fin da piccolo ho fatto parte di varie band, ho iniziato a 13 anni con quattro amici in un garage. Dopo tanti anni di televisione, la cosa che so fare davvero bene e che mi piace è raccontare storie, la parola narrata per me è fondamentale, ora l'ho accompagnata con la musica che è la mia ambizione, così ho unito le due cose che amo davvero". Registrato a Los Angeles, Aka Joe propone un sound dinamico tra rock, blues, funky e melodie. Le storie che vi narra, autobiografiche, sono quelle di un ragazzo cresciuto tra gli immigrati italoamericani a New York, "che era povero e non voleva esserlo, che si sentiva sempre un diverso e voleva essere come gli altri, che non era considerato americano e voleva essere americano. Mi sentivo sempre di seconda classe, in Italia questa realtà voi non la conoscete, sono cose che ti restano addosso per tutta la vita...", successo o non successo. I brani trattano di amori conquistati e persi, ma anche di temi sociali, della violenza sui bambini, della piaga delle armi che in America sono alla portata di tutti: "Qualche anno fa venti bambini dai tre anni in su sono stati uccisi da un folle in una scuola vicino a casa mia. I miei tre bambini mi hanno chiesto perchè. La canzone Twenty snowflakes, venti fiocchi di neve, è la risposta a quella domanda. È una responsabilità piuttosto pesante, come padre".


Reinventarsi a 50 anni

Non è un musicista professionista, lo ripete più volte, e cita passione e umiltà. "La mia non è l'operazione cinica di una persona che sfrutta la sua notorietà per sfondare nella musica - sottolinea -, qui dentro c'è tutto me stesso ma so anche che non è il mio terreno e questo mi rende umile. In Italia per fortuna c'è una cultura che ti permette anche a 50 anni di fare cose diverse, di cambiare strada, invece in America è molto più difficile che alla mia età ti accettino come musicista. Speriamo di conquistare anche il mercato statunitense, ma è molto dura". I primi live di Bastianich partiranno questo inverno e lui pensa già a un tour organizzato per l'estate. Nel frattempo il pubblico potrà ascoltarlo dal vivo ad "Amici Celebrities" dove, da giudice televisivo, passerà sul banco dei giudicati: "Accanto alle cover porterò i miei brani. Sono terrorizzato all'idea di stare dall'altra parte del palco, non so cosa aspettarmi ma è ovvio che spero di vincere".

Nonna Erminia, 97 anni, la sua maggiore fan

Gli esami non finiscono mai, diceva Eduardo, e nonna Erminia, 97 anni suonati e tempra da vendere, glielo ripete ogni giorno: "Giuseppino, puoi farcela". È a lei che Joe dedica uno dei brani a lui più cari, Nonna (97 years). In fondo tutto è nato da lei e dal suo coraggio di donna istriana: "I nonni sono scappati dopo la guerra a New York e hanno vissuto un periodo molto difficile, la povertà, i campi profughi con gli altri esuli, ma hanno costruito un'altra vita... io faccio parte di quell'altra vita. Lei mi ha cresciuto con questi valori di Italia, di famiglia, di immigrazione, che sono fondamentali per la persona che sono oggi. Infatti questo disco è molto introspettivo, io sono convinto del valore del passato, ciò che siamo oggi è la somma delle esperienze. Nonna (97 years) è una canzone bitter/sweet, amara e dolce, perché lì affronti il problema che il tempo stringe, apprezzi le memorie e i momenti che hai ancora da vivere insieme, ma anche temi molto pesanti".


"La sera con la fisarmonica cantavamo le canzoni di Pola"

Come pesanti possono essere le memorie per chi, in tempo ormai di pace, ha dovuto lasciare tutto e fuggire in modo rocambolesco di fronte alle persecuzioni anti italiane nella Jugoslavia di Tito: "Nel mondo gli istriani sono molto legati tra loro, anche dalle tradizioni di cibo e musica, due cose che diventano molto importanti nelle famiglie. La sera i nonni e i miei genitori cantavano le canzoni di casa, 'Una notte ho lasciato la mia terra, l'America è lontana e di là non la vedrò mai più...'. Mio padre in particolare era molto..." (si commuove e non finisce la frase). Papà Felice Bastianich era esule da Albona, nel cuore dell'Istria, la madre Lidia, nata Matticchio, era di Pola. Nonna Erminia, come tanti italiani, era scappata portandosi nella valigia una pietra dell'Arena di Pola. "Quella degli istriani è una storia molto potente e poco raccontata, gente che lascia per sempre il proprio paese ma comunque proprio per questo resta ancora più legata a quel luogo che non esiste più: mia nonna e mia mamma sono sempre state molto legate alla loro terra - continua - così portavano avanti le tradizioni con la musica e in cucina, perché non c'era un posto dove poter tornare. La nonna raccontava di quella pietra portata via, ma anche tante altre storie, e ogni domenica in casa ci si riuniva, si portava la fisarmonica e si cantavano le canzoni istriane".


L'Istria, un sogno a metà

I nonni paterni invece erano "rimasti", alla loro età non si parte in cerca di fortuna e libertà, così Joe da bambino nelle estati degli anni '70 e '80 andava a trovarli. "Ho vissuto da vicino la Jugoslavia di Tito, ma anche in quel periodo nonostante si fosse sotto la Jugoslavia tutto era ancora più italiano che altro. La gente parlava italiano. Anche oggi, sì, ma sempre meno...". Nelle sue parole Pola ha il sapore di un paradiso perduto, "lì ho vissuto un'infanzia di musica, di spiaggie, di famiglia - ricorda -... Ma comunque era sempre un regalo non completamente regalato, perché non era più la loro terra: si andava, si vivevano i momenti, le memorie, ma in qualche maniera non c'era più quello che c'era una volta". Un sogno struggente e bellissimo, ma un sogno a metà.

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