giovedì 28 febbraio 2013
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​Aporre la domanda in modo diretto è il monaco Enzo Bianchi: «I cristiani, oggi, sono ancora consapevoli di vivere nel tempo dell’attesa? La prospettiva escatologica ha ancora importanza per i credenti oppure il discorso sulla fine è qualcosa che, in definitiva, pensiamo non ci riguardi?». Interrogativi che nascono dall’intervista – pubblicata ieri su «Avvenire» – in cui il filosofo Massimo Cacciari presenta i temi del suo nuovo libro, Il potere che frena, in uscita da Adelphi. Una riflessione sul katechon, la misteriosa entità evocata da Paolo nella Seconda lettera ai Tessalonicesi (2,6-7) alla quale è deputato il compito di «trattenere» l’Anticristo, ritardandone la vittoria. «È una prospettiva ben nota all’apocalittica giudaica – sottolinea Bianchi –, nella quale si incontrano spesso figure di falsi messia, le cui sembianze sono ingannevolmente simili a quelle del Figlio di Dio. È la stessa dinamica per cui, nell’Apocalisse di Giovanni, la Bestia del potere imperiale assume la stessa forma dell’Agnello e pretende una liturgia che ricorda quella che all’Agnello stesso sarebbe dovuta. Il che non significa che, per i credenti, il potere partecipi necessariamente di questa natura diabolica. Il cristianesimo, nel suo manifestarsi storico, rifugge dall’anarchia e predilige un ordine statale ben delineato. Nel contempo, però, occorre vigilare affinché lo Stato non si travesta da angelo di luce, in modo da dissimulare il volto della Bestia». Sì, ma il katechon quale ruolo gioca? «Misterioso, secondo Paolo. E qui dobbiamo fermarci – suggerisce Bianchi –. Del resto, è l’atteggiamento tenuto dalle Chiese orientali, che non hanno mai mostrato eccessiva curiosità per questa categoria. Il dibattito sulla Seconda lettera ai Tessalonicesi si è sviluppato più che altro in Occidente, determinando una serie di identificazioni storiche e politiche non di rado influenzate dall’ideologia del momento».«A partire da quei due versetti si può dire di tutto e tutto, in effetti, è stato detto», avverte Marco Rizzi, lo studioso di letteratura cristiana antica che, insieme con Gian Luca Potestà, sta curando per la Fondazione Valla la raccolta di testi patristici e medievali sull’Anticristo. «L’orizzonte – prosegue Rizzi – è quello del prolungarsi dell’attesa. Lo stesso Paolo, che nella Prima lettera ai Tessalonicesi, si è detto convinto dell’ormai imminente ritorno del Signore, deve fare i conti con un ritardo che rischia di apparire inspiegabile. Da qui il riferimento al katechon come forza che, in quel preciso momento, contribuisce a rallentare il disegno divino. L’accenno appartiene a un contesto sovrabbondante di immagini oscure, com’è normale nel genere letterario dell’apocalittica. Paolo, insomma, non mira alla precisione, gli basta trasmettere ai suoi lettori l’impressione e la consapevolezza che il loro presente è un tempo fortemente connotato in senso escatologico. Si tratta di suggestioni che più tardi confluiranno nell’opera di Ireneo di Lione, al quale dobbiamo la prima trattazione sistematica sulla figura dell’Anticristo. Ma del katechon, di fatto, Ireneo non si occupa e perfino Agostino affermerà di non comprendere quali fossero le intenzioni di Paolo».A proporre una possibile interpretazione di questo che, ripete, resta un passaggio fra i i più complessi dell’epistolario paolino è il teologo Giacomo Canobbio: «Tra le tante ipotesi sembra avere una qualche plausibilità l’annuncio del Vangelo – osserva –. Nella storia si riscontra una contrapposizione tra il potere del Vangelo e le forze del male, già presente nella vicenda di Gesù. Tuttavia il cristianesimo ha sempre respinto ogni forma di dualismo di sapore manicheo. L’ostacolo al trionfo dell’Anticristo sta dunque nell’azione di Dio quale si è manifestata in Gesù, che in quanto risorto diventa il segno e l’esemplare della vittoria sul male. In tal senso, comunque si identifichi l’Anticristo, esso è radicalmente depotenziato: nel mondo, nonostante la percezione di un’accresciuta virulenza del male, opera la forza di Gesù risorto, che si identifica con lo Spirito al quale va ascritto l’annuncio del Vangelo. Nessun potere “mondano” pertanto pare possa essere identificato con il katechon, neppure il potere della Chiesa quando questo fosse inteso nel senso “mondano”. Ovvio che non si può immaginare un annuncio del Vangelo senza un soggetto che lo annunci e quindi che metta in conto dinamiche anche di potere, purché questo sia da intendere nel senso indicato da Gesù». In ogni caso, sostiene Canobbio, una dimensione “politica” è in una certa misura connaturata alla teologia. «La forza critica del Vangelo vale nei confronti di tutti i poteri – spiega –.  Ciò non significa che si debba negare il valore del potere nella società e nella Chiesa. Significa piuttosto che il potere diventa una funzione per qualcosa d’altro. In riferimento al katechon, ogni potere potrebbe essere pensato come ostacolo al male, la cui virulenza a volte è accresciuta dal potere stesso quando dimentica la sua originaria funzione (sia nella società civile sia nella Chiesa). Una teologia politica diventa legittima quando, in nome del Vangelo, diventa smascheramento dell’uso ideologico delle categorie teologiche».
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