venerdì 4 luglio 2025
Dietro di lui Elisabetta Rasy con "Perduto è questo mare" (Rizzoli), e a seguire Nadia Terranova con "Quello che so di te" (Guanda), poi Paolo Nori e Michele Ruol
Andrea Bajani vince il Premio Strega

Andrea Bajani vince il Premio Strega - ANSA

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Andrea Bajani con L'anniversario, pubblicato da Feltrinelli, vince la 79 ª edizione del Premio Strega. Lo scrittore - che aveva già partecipato al riconoscimento nel 2021 entrando in cinquina con Il libro delle case, sempre con Feltrinelli - era dato da settimane come favorito e non ha tradito le attese. Dietro ai suoi 194 voti, la classifica ha visto arrivare seconda Elisabetta Rasy con Perduto è questo mare (Rizzoli), e a seguire Nadia Terranova con Quello che so di te (Guanda), Paolo Nori con Chiudo la porta e urlo (Mondadori) e Michele Ruol con Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia (TerraRossa).

«Dedico questo Premio – ha detto Bajani - ai libri, alla letteratura, contro la semplificazione. Siamo in un momento di grande violenza diffusa, e alla violenza si risponde spesso con la semplificazione. I libri possono restituire la complessità delle cose, e credo che di questo abbiamo bisogno».

«Auspico – ha proseguito - che i lettori affrontino anche i tabù, come quello radicato nella nostra cultura per cui alcuni uomini credono di poter comandare per diritto di genere: a loro deve arrivare un messaggio chiaro, perché da loro deve partire un cambiamento. Il diritto a sentirsi al sicuro è un diritto di tutti, dentro e fuori dalle famiglie. Viviamo in un Paese dove, se un rapporto familiare è violento o non funziona, si pensa che debba rimanere chiuso e taciuto. Questo è un problema culturale, politico e linguistico che dobbiamo affrontare».

Riportiamo di seguito la recensione che Lisa Ginzburg aveva fatto su "Avvenire" del libro di Bajani, in un pezzo intitolato “Famiglie lacerate, l’inferno domestico”

Il romanzo, ci dice Andrea Bajani nel doloroso e bellissimo L’anniversario (Feltrinelli, pagine 128, euro 16,00) possiede una "forza brutale di compensazione". Ovvero, l’immaginazione arriva in soccorso là dove vi sono lacune della memoria, cavità vuote del trauma di una ferita che la scrittura potrà suturare sempre solo in parte. Come un grande occhio che tutto vede e tutto registra, il Romanzo, quasi fosse personaggio esso stesso, è allora dispositivo immaginifico che fa da contrappeso "in levare" a una storia altrimenti troppo vera, e troppo intessuta di sofferenza, per poter essere narrata.

Il racconto di Bajani, la cui lettura colpisce dritto al cuore per come lo stile è scabro, nitido e lucido, se pure usato per esprimere sentimenti molto intensi e duri da scandagliare, non è "autofiction", ma qualcosa di più profondo, di più affilato e coinvolgente. Non "autofiction", bensì memoria cui viene in soccorso il Romanzo, quando quella esiti o incespichi perché addentratasi a rivisitare lampi di ricordo che non è in grado di sostenere.

La vicenda, triste in modo straziante, è quella dell’addio di un figlio ai suoi genitori, la sua definitiva partenza dalla casa di famiglia dopo quarant’anni di un inferno domestico che è stato concentrazionario, per come le dinamiche tossiche, nel loro ripetersi e acuirsi, sono risultate coercitive negli effetti. Il legame disfunzionale tra i genitori si è cementato in una dinamica impossibile a scardinarsi.

Il padre tiranneggia moglie e figli costringendo la consorte a una deriva fatta di violenza, possesso, mortificazione; e i figli, obbligati spettatori, loro anche sono oggetto delle feroci richieste di conferme di questo adulto imploso, che sempre oscilla tra vittimismo e furia, che di continuo procede sul filo dell’ambivalenza tra richiesta e dominio. Di contro, una madre che della propria abnegazione ha fatto una forma di non esistenza, di non vita. Una donna che pur di non essere vista, lei per prima non si guarda, preda di una distrazione distruttiva. Qualcuno il cui autosabotaggio è rinuncia a stare nel mondo, una rinuncia che passa per una sorta di incrollabile sfiducia, un grado tale di disillusione da quasi toglierle umanità. Per desolazione, e per troppo subire, questa madre non ha paura di nulla, e ciò la rende capace di una cieca forma di determinazione, buia come buio e sventurato è lo stallo del nucleo famigliare nell’isolamento e il malamore.

Dei due, padre e madre, non ci sono descrizioni fisiche, non fosse per un polpaccio troppo sottile della madre che da bambina ha avuto la poliomielite. Eppure vediamo tutto, prima e dopo le violenze domestiche, attraverso l’oggetto di un telefono arrivato in casa troppo tardi e le cui intermittenze dell’accesso alla linea (decretate dal padre) dicono tutta la nevrosi di un ménage avvelenato e velenoso. Anche, vediamo tutto (di nuovo senza disporre di descrizioni) di una geografia italiana che è paesaggio di una rotta migratoria anomala, da Roma al Piemonte spostandosi dalla grande città a frazioni di paesi sotto alle Alpi, via via più romiti, abitati dal "silenzio della disperazione". Bajani ci accompagna con maturità di narratore, rendendo l’invivibile visibile e dicibile.

Accade così che una materia narrativa estremamente densa e difficile trovi ritmo in un tono pacatissimo. È la calma la cifra di un distacco che solo lo stacco temporale e un tenace lavoro interiore hanno potuto generare. I dieci anni di silenzio con i genitori e la sorella, dieci anni di strappo dalla radice, come si trattasse di un’orfanezza datasi da solo per troppo avere patito e subìto le malapiante di stessa radice, Bajani li celebra con questo libro/anniversario, autobiografico ma senza niente di ombelicale, dove racconta la sua storia ma senza indugiare in un eccesso di auto-indulgente sentimentalismo: mai. Parole misurate e precise, dolenti come fossero quelle di un lungo canto, di congedo e di sopravvivenza, ma anche di consolazione, quella che la letteratura può regalare se si fa esperienza. Leggere L’anniversario è davvero un’esperienza. Un attraversamento che ci tocca e ci trasforma.

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