Anastasjia Piliavskji: «La risata di Odessa è minacciata, ma non spenta»
Parla l'antropologa, che con il collettivo Cosmopolis Ucraina difende la pluralità di voci, lingue (russa compresa) che ha storicamente caratterizzato la città sul Mar Nero

Sembrava che Odessa potesse essere tenuta fuori dal conflitto, una sorta di città ponte, quasi come possibilità di quello che potrebbe essere nuovamente l'Ucraina dopo la guerra con la Russia. E invece Odessa vuol dire sbocco al mare, una posizione strategica e si sa quanto nella logica spietata della guerra questo abbia un peso. Ecco allora i morti, i droni russi che annunciano e spargono terrore, il ferimento e l'uccisione di bambini. Anche lì. È l'effetto di una spirale fratricida che non si riesce a fermare e innesca un processo distruttivo per cui la cultura di lingua russa diventa in sé nemica. Vi immaginate Kiev senza Michail Bulgakov?
Odessa e Kiev rappresentano in modi diversi modelli di città che fanno pensare alla coesistenza, a un futuro comune fondato sulle radici che presiedono la loro storia. Ma c'è come uno snaturamento in corso per effetto della guerra. Parlarne con Anastasjia Piliavskji, antropologa sociale, nata e cresciuta a Odessa, laureata in Antropologia e religione alla Boston University, quindi ricercatrice e direttrice degli Studi di antropologia sociale al Girton College di Cambridge, è provare ad andare oltre la superficie con cui si finisce, di fatto, per assistere alla guerra e leggere solo i titoli. «Odessa – spiega – è una città mediterranea per temperamento e origini. Fu fondata grazie all'iniziativa di un napoletano, José o Giuseppe de Ribas, che convinse l'imperatrice russa Caterina della bontà dell'idea di fondare qui una città portuale e, quando lei accettò, si mise febbrilmente al lavoro invitando architetti italiani a costruire una città che, nel corso della sua brevissima vita (non visse più di 50 anni), si trasformò da una minuscola guarnigione ottomana in una città in piena espansione, colma di edifici in stile italiano e di persone provenienti da ogni dove - francesi e italiani, tedeschi e bulgari, greci ed ebrei, in fuga dalla politica di insediamento della Russia e da piccole città e villaggi di tutta la regione - per fare commercio. Questo enorme successo convinse Caterina a far sviluppare la città che tra il 1819 e il 1858 fu un porto franco, esente da tasse. Questa politica la portò a essere, negli anni Sessanta del XIX secolo, la città con la crescita più rapida al mondo».
Sembra, sotto ogni profilo, il prototipo di una città multiculturale...
«Come città dalle caratteristiche in un certo senso mediterranee, prospera, non solo era multiculturale e poliglotta, ma anche intensamente e consapevolmente cosmopolita. Qui si poneva il valore della vita umana e della coesistenza pacifica al di sopra delle differenze etniche, linguistiche o religiose. Gli odessiti ne ridevano: 133 gruppi etnici che non solo vivevano insieme, ma erano orgogliosi di farlo e di farlo bene. Sotto questo profilo rappresenta in piccolo, se così si può dire, la grande Ucraina. Multiregionale, multivocale e ridente. Odessa ha inventato la propria formula di convivenza: la risata, di cui lo scrittore e poi sionista Jabotinsky scrisse splendidamente nel suo romanzo I cinque»
E poi cos'è successo?
«Le guerre e le rivoluzioni hanno portato scompiglio in questo paradiso cosmopolita, riducendo la sua diversità etnica. Durante la rivoluzione russa del 1917 e la guerra civile, il 60 per cento degli odessiti lasciò la città. Durante la seconda guerra mondiale, nella regione di Odessa furono uccisi 100mila ebrei. Se prima della guerra erano 200mila, cioè il 40 per cento della popolazione, dopo erano tra il 10 e il 15 per cento. Ma altre guerre hanno portato anche la diversità a Odessa: negli ultimi decenni le guerre nel Caucaso hanno portato in città molti georgiani e armeni, e dopo il 2014 l'occupazione russa della Crimea ha comportato l'arrivo di migliaia di tatari di Crimea in città, dove tutti sono immigrati, più o meno recenti. A Odessa gli ospiti e gli immigrati si sono sempre sentiti molto più a loro agio rispetto che ad altre parti. Dall'invasione su larga scala della Russia, Odessa ha ospitato un terzo del milione di rifugiati provenienti da Mykolaiv, Kherson, Kharkiv e dal Donbass».
L'invasione russa ha cambiato tutto.
«La guerra non fa ridere. Non uccide solo le persone, uccide anche le libertà e questo in una città come Odessa e in un Paese come l'Ucraina rappresenta una minaccia esistenziale. La guerra ha anche permesso la diffusione di una narrativa precedentemente marginale che toglie a milioni di ucraini la libertà - anzi il diritto - alla propria lingua madre. Secondo questa narrazione la lingua russa e tutti quelli che la parlano (vivi o morti) rappresentano una minaccia esistenziale per la nazione ucraina; che la lingua russa è un contenitore della sadica conquista di Putin, che la lingua “attira le bombe russe”».
È un messaggio che ha avuto successo?
«La maggior parte degli ucraini è ora riluttante a minare l'unità del Paese o teme di essere sospettata di slealtà, ma questa narrazione, che rivendica il monopolio del patriottismo, è proliferata fino a poco tempo fa con scarse reazioni nello spazio pubblico (attirando invece molte critiche in privato). In tre anni, questa narrazione un tempo marginale, che è così estranea alla maggior parte della cultura ucraina polietnica e multilingue, è penetrata negli ambienti culturali ed educativi dell'Ucraina. Un gruppo di attivisti culturali ha recentemente lanciato una “Offensiva culturale”, una sedicente guerra culturale contro “la lingua, la letteratura e la musica russa”, che si dice essere “una minaccia alla sicurezza nazionale”. Il gruppo sostiene la cancellazione di tutta la letteratura, la musica e le borse di studio russofone e brucia i libri in lingua russa. Questa narrazione è penetrata ulteriormente nelle legislature statali. Dal 2022, i politici eletti per proteggere il multiculturalismo ucraino hanno approvato una serie di leggi che privano i russofoni dell'Ucraina dei loro diritti fondamentali. Nelle scuole e nelle università il russo è scomparso non solo come mezzo di comunicazione, ma persino come materia. Non si possono più spedire per posta libri in lingua russa, compresi quelli di scrittori ucraini come Gogol e Babel; sono attualmente all'esame del Parlamento proposte di legge che mettono al bando le fonti scientifiche russofone e il discorso in russo nei corridoi delle scuole».
Però la lingua russa fa parte della storia ucraina.
«Il problema è che il russo, una lingua che ha origini nell'antica Rus' - con sede a Kiev - è parlato da milioni di ucraini, compresi molti (probabilmente la maggior parte) dei soldati e certamente la stragrande maggioranza delle vittime dell'aggressione russa: gli ucraini russofoni che sono stati sfollati, mutilati e uccisi dai russi nel nord, nel sud e nell'est del Paese. Tra questi c'è Odessa, dove da 150 anni il russo è e rimane la lingua franca, che vanta un'orgogliosa tradizione letteraria, in gran parte in lingua russa, che le è valsa il riconoscimento di Città della Letteratura Unesco».
Ma c'è chi resiste a questa tendenza?
«Odessa rimane il baluardo del multiculturalismo, della poliglossia e della libertà culturale che sono stati il fondamento della pace sociale in un Paese grande, multiregionale, polietnico, multireligioso e poliglotta come l'Ucraina. È qui che si sono levate le prime voci che hanno osato opporsi a questa tendenza sciovinista, tra cui scrittori e artisti, attori e uomini d'affari, nonché soldati in servizio e veterani della guerra russo-ucraina. A loro si sono aggiunte voci liberali da tutta l'Ucraina, da Kharkiv a Kyiv e Lviv, che hanno formato il collettivo culturale di cui faccio parte, chiamato “Cosmopolis Ucraina”. Questo collettivo sostiene un'Ucraina polivocale, pluralista e tollerante, che siamo convinti sia l'unica ad avere la possibilità di un futuro europeo socialmente pacifico, libero e democratico. In definitiva, sostenere le voci odessite - e quelle ucraine in senso lato - che si esprimono a favore della conservazione delle libertà culturali di base è fondamentale per evitare la catastrofe sociale nell'Ucraina del dopoguerra, sia essa l'ascesa dell'autoritarismo o la guerra civile. Entrambe cose che l'Europa - per non parlare dell'Ucraina devastata dalla guerra - non si può permettere».
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