giovedì 16 gennaio 2025
Scomparso a 78 anni il rivoluzionario regista Usa, che con il suo sguardo sospeso fra visionarietà, mistero e cruda realtà ha ricreato l'immaginario con cult-movie come "Twin Peaks" e "Velluto blu"
Il regista e sceneggiatore statunitense David Lynch

Il regista e sceneggiatore statunitense David Lynch - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

«C’è un grande vuoto nel mondo ora che non è più con noi. Ma, come avrebbe detto, guardate la ciambella e non il buco». Con queste parole la moglie Emily e i suoi quattro figli hanno dato l’annuncio della morte del regista e sceneggiatore David Lynch, autore di film le cui storie sono sempre un intreccio di noir e surrealismo, opere dallo stile visionario come i film Velluto blu, Mulholland Drive e Strade perdute e serie televisive come Twin Peaks che hanno lasciato il segno per la loro originalità e per l’impatto emotivo, non solo negli spettatori amanti del genere. La notizia, partita ieri sera con un post su Facebook, dove si chiedeva pure di rispettare la privacy della famiglia, ha fatto presto il giro del mondo. Il cineasta americano (era nato a Missoula, nel Montana) aveva 78 anni ed era affetto da un enfisema polmonare (era un incallito fumatore) che da qualche tempo gli impediva di lavorare sul set come avrebbe voluto. Il cinema, l’arte tutta, ha perso un gigante.

Lynch è stato anche un pittore e musicista, attività che hanno senz’altro influito nell’impegno rivolto al cinema, cominciato nel 1977 con Eraserhead, opera sperimentale e simbolista che già rappresentava una sintesi del suo modo di concepire la Settima Arte: atmosfere inquietanti e oniriche, musiche potenti. Mel Brooks produttore lo ingaggiò nel 1980 per scrivere i dialoghi e dirigere The Elefant Man, la commovente e vera storia ambientata nell’Inghilterra vittoriana di un uomo deforme malato di elefantiasi che diventò celebre: il film ottenne otto candidature all’Oscar tra cui la prima come miglior regista. Creava film costituiti della stessa materia di cui sono fatti gli incubi. Nel 1990 scrive e dirige Cuore selvaggio, con Nicolas Cage e Laura Dern, tratto dall’omonimo romanzo di Barry Gifford, che vinse la Palma d’oro come miglior film a Cannes: un thriller grottesco che si muove sul filo della commedia sentimentale. Ancora una volta generi che si mescolano e catturano l’attenzione del pubblico proprio per la complessità narrativa: i due protagonisti, Sailor e Lula, in perenne fuga da una costa all’altra degli Stati Uniti e lo sguardo deformante della macchina da presa lascia emergere un mondo fiabesco e crudele al tempo stesso, che scorre al ritmo frenetico del montaggio e della musica italo-americano di Angelo Badalamenti, diventato uno dei collaboratori fissi di Lynch.

Nel 2005 David Lynch comincia a realizzare un altro film innovativo, Inland Empire - L’impero della mente, con Laura Dern, Harry Dean Stanton, Justin Theroux e Jeremy Irons: è girato in parte a Los Angeles e in Polonia, interamente con la tecnica del digitale. Ne parlava come «un mistero su una donna in pericolo», senza spiegare di più. Secondo il regista si tratta di un nuovo esperimento girato senza un copione, solo un canovaccio di idee, costruendo le scene all’impronta, una dopo l’altra, come fossero la conseguenza delle precedenti. Presentato alla 63ª Mostra internazionale di Venezia nel 2006, fu l’occasione per assegnare alk regista il Leone d’Oro alla carriera. Ma Lynch fece bizzarri esperimenti seriali che finirono distribuiti solo su Internet: si tratta di Rabbits e Dumbland.

A causa della malattia, che gli impediva di uscire, si era prospettata per lui la possibilità della direzione virtuale di un film, a distanza, dalla sua abitazione, ma si rifiutò: «Non lo sopporterei, per me la macchina da presa è tutta la vita».


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: