sabato 24 maggio 2025
Premiato il film “A simple accident” del regista Jafar Panahi: «Nessuno ha il diritto di dirci cosa fare. Ora è importante la pace del mio Paese»
Il regista iraniano Jafar Panahi

Il regista iraniano Jafar Panahi - Reuters

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Non riusciva neppure ad alzarsi dalla sua poltrona, sovrastato dalla gioia e dall’emozione, quando Cate Blanchet, ha pronunciato il suo nome annunciando il vincitore della Palma d’oro. Il miglior film del 78esimo Festival di Cannes è A simple accident dell’iraniano Jafar Panahi, che per troppi anni ha lasciato la sua sedia vuota a Cannes e a Venezia. Il suo lavoro (in Italia con Lucky Red) è un durissimo, coraggioso ed esplicito atto d’accusa contro la violenza del regime di Teheran, che a lungo ha impedito al regista di lavorare e viaggiare per accompagnare i suoi film, realizzati illegalmente. Prima di rivelare il trionfatore di questa edizione la Presidente di Giuria, la francese Juliette Binoche, aveva anticipato che la Palma non sarebbe stata un premio politico perché il cinema ha a che fare con la compassione, con l’energia creativa e la possibilità di portarsi dalla tenebre alla luce e alla speranza. E quando ha parlato di libertà ritrovata, era chiaro che sul palco del Palais du Cinema sarebbe salito Panahi, autore di un film dal grandissimo valore artistico oltre che politico, e di profonda integrità morale, che invita a non rispondere alla violenza con la violenza e a rinunciare alla vendetta.

Quando è finalmente riuscito a lasciare la poltrona il regista, che qualche giorno fa si era detto pronto a tornare in Iran nonostante i rischi, ha chiamato con sé i suoi attori, tutti in lacrime. «Non è facile parlare ora, ma voglio ringraziare la mia famiglia e tutta la mia troupe, così profondamente coinvolta, senza la quale sarebbe stato impossibile fare un film così. È arrivato il momento di chiedere a tutti gli iraniani, anche quelli che vivono nel mondo, di mettere da parte differenze e divisioni perché la cosa più importante ora è la libertà del nostro Paese. Attendo il momento in cui nessuno ci dica più come vestirci e comportarci. Il cinema è una società e nessuno può dirmi come realizzare un film».

Il prestigioso Grand Prix è per il bellissimo Sentimental Value del norvegese Joachim Trier (da noi con Teodora e Lucky Red), film bergmaniano che ha incantato la platea con la storia del difficile rapporto tra un padre, un celebre regista e le sue due figlie, prima che i conflitti si sciolgano nella realizzazione di una pellicola capace di guarire le ferite del passato e traghettare i protagonisti in un futuro di serenità e riconciliazione.

Claude Lelouch ha consegnato la Palma per la migliore regia al brasiliano Kleber Mendoça Filho per O Agente Secreto, solida e apprezzatissima spy story ambientata in un Paese stritolato dalla dittatura militare. Il film ha vinto anche per il migliore attore, Wagner Moura, che sullo schermo attraversa diversi anni cambiando identità e aspetto fisico. Un momento d’oro, dunque, per il cinema brasiliano che già l’anno scorso si era fatto notare con Io sono ancora qui di Walter Salles, alla Mostra di Venezia.

La migliore attrice è invece la francese Nadia Melliti, protagonista di La petire dernière di Hafsia Herzi, dove interpreta una giovane donna che rivendica con forza e coraggio il diritto a costruire la propria identità sessuale. Emozionata, l’attrice si è rivolta alla madre: «Spero tu sia contenta e fiera di me», ha detto.

Doppio il Premio della Giuria, che va sia a Sirat dello spagnolo Oliver Laxe, dramma esistenziale su un padre alla ricerca con il figlioletto della figlia maggiore, perduta nel deserto marocchino, che a The Sound of Falling della tedesca Mascha SchIlinski (con I Wonder Pictures), che flirta con il tema della morte attraverso la storia di diverse generazioni susseguitesi nella stessa casa.

Jean-Pierre e Luc Dardenne, vecchi leoni del Festival di Cannes, dove hanno già conquistato due Palme d’oro, ottengono il riconoscimento per la migliore sceneggiatura di Jeunes mères (in Italia con Lucky Red e Bim) ma lo donano idealmente alle giovanissime attrici che hanno interpretato questo toccante film su ragazze madri alle prese con grandi responsabilità arrivate per loro troppo presto. Prima di consegnare il premio, uno scanzonato John C. Reilly ha cantato La vie en rose, ironizzando sul black out che per diverse ore ieri, a causa di un incendio doloso, ha bloccato la città di Cannes, mettendo in difficoltà il Festival, capace però di fare brillantemente fronte all’emergenza. Prima della cerimonia un blackout, dovuto ad un sabotaggio, durato circa sei ore aveva infatti lasciato al buio la cittadina e zone limitrofe delle Alpi Marittime, creato disagi ai turisti e ai festivalieri ma il Palais du festival dotato di elettricità da generatore autonomo ha proseguito ogni attività.

Un premio speciale, che in ogni edizione la giuria si riserva il diritto di attribuire, è andato al visionario e onirico Resurrection del cinese Bi Gan (I Wonder Pictures), che ha ricordato le difficoltà nel realizzarlo e ha dedicato il premio ai figli, mentre sono due anche le opere prime premiate dalla giuria presieduta da Alice Rohrwacher, ed entrambe vedono protagonisti dei bambini. Una menzione speciale va infatti a My Father’s Shadow di Akinola Davies Jr, dove un bambino viaggia attraverso il turbolento Nigeria con il fantasma del padre assassinato, mentre la Camera d’or va a The President's Cake di Hasan Hadi che, ambientato nell’Iraq di Saddam Hussein, racconta di una ragazzina decisa a preparare una torta per il compleanno del Presidente. Il film, che ha vinto anche il Premio del Pubblico alla Quinzaine des Cineastes, arriverà nelle nostre sale con Lucky Red. I Am Glad You Are Dead Now di Tawfeek Barhom è infine il miglior cortometraggio.

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