Tolentino: Quattro movimenti per la cultura oggi

Ascolto, immaginazione, cura e alleanza: sono le parole chiave del processo attraverso il quale la cultura accompagna la nostra capacità di essere comunità
December 6, 2025
Tolentino: Quattro movimenti per la cultura oggi
Il cardinale José Tolentino de Mendonça durante l'incontro a Federculture
Proponiamo ampi stralci della lectio magistralis tenuta dal cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’educazione della Santa Sede, mercoledì scorso presso il Palazzo Esposizioni di Roma in occasione dell’incontro “Cultura è comunità” che ha inaugurato i “Dialoghi di Federculture”, un nuovo ciclo di lezioni e testimonianze che vuole offrire stimoli per riflettere sul lavoro quotidiano, sulla sua missione sociale e sull’impegno condiviso nella cura del patrimonio culturale.
Vorrei compiere con voi quattro movimenti – ascolto, immaginazione, cura e alleanza – attraverso cui la cultura e la comunità si intrecciano e si generano a vicenda.

L’ascolto come fondamento culturale

L’ascolto è il primo gesto culturale. Viviamo in un tempo che ci sollecita continuamente a rispondere, a esprimerci, a intervenire: siamo chiamati a dire la nostra su tutto, spesso senza aver davvero ascoltato. Eppure, la cultura nasce esattamente dal contrario: da una sospensione, da un’apertura, da un silenzio che è accoglienza. L’ascolto è la capacità di lasciarsi raggiungere dalle domande dell’altro, dalle inquietudini della città, dai segni a volte sottilissimi che il nostro tempo ci consegna. Nella società della comunicazione c’è un deficit di ascolto: immersi in una valanga di parole, solo una risignificazione del silenzio può aprire lo spazio per un vero ascolto. L’arte di ascoltare è un autentico esercizio di resistenza: costituisce una cesura rispetto al frastuono quotidiano, un gesto critico che interrompe il diluvio di messaggi e crea uno spazio di attenzione. Questo tipo di ascolto profondo è la base stessa di ogni atto culturale significativo.
L’ascolto riguarda anzitutto le persone. Se vogliamo comprendere la cultura di oggi, dobbiamo saper ascoltare le ferite sociali, le attese dei giovani, i bisogni di chi vive ai margini, la solitudine urbana che attraversa le nostre città come un fiume carsico. Fenomeni come la povertà educativa, la crisi della parola, il bisogno di comunità sono esperienze concrete che chiedono di essere riconosciute e accolte. Una cultura che non ascolta le persone rischia di diventare un apparato vuoto; al contrario, una cultura che ascolta diventa una casa, uno spazio abitabile e condiviso.
C’è poi un ascolto dei territori. Ogni luogo possiede una memoria, un genius loci originale, un patrimonio fatto non solo di monumenti ma di abitudini, di tradizioni, di relazioni umane […]. Infine, l’ascolto del tempo che viviamo. Il nostro è un tempo che non può essere compreso con categorie del passato: è attraversato da transizioni epocali – ambientali, digitali, demografiche, spirituali – e segnato da accelerazioni vertiginose ma anche da smarrimenti profondi. La cultura deve costituire uno spazio in cui il cambiamento non viene semplicemente subito, ma viene interpretato, accompagnato, umanizzato. Si tratta di dare al nuovo un’anima e un orientamento, come fa una costellazione che permette al viandante di riconoscere una direzione nella notte. La cultura deve generare nuovi processi; non fissarsi su posizioni acquisite, ma aprire cammini, costruire ponti. L’ascolto è il primo di questi cammini generativi.
Con l’ascolto moltiplichiamo il nostro investimento di fiducia nel mondo […].

Immaginazione come risorsa di speranza

Ma l’ascolto da solo non basta. Una cultura che ascolta, se non immagina, rischia di diventare solo diagnosi. È necessario fare un passo oltre: entrare nel territorio fecondo dell’immaginazione. L’immaginazione è molto più di una facoltà creativa: è una forma di responsabilità verso il futuro. È la capacità di vedere ciò che ancora non c’è, di anticipare un possibile anche quando il reale ci appare chiuso o ostile. Una società che non immagina è come un cielo senza costellazioni: vede le luci, ma non sa dare loro un significato. Nelle società complesse, spesso non mancano le infrastrutture fisiche. Mancano quelle immateriali: visioni condivise, narrazioni unificanti, orientamenti che diano senso al nostro cammino. L’immaginazione, in questo senso, è una risorsa pubblica preziosa.
La cultura è uno dei pochi luoghi in cui l’immaginazione può esercitarsi liberamente, senza essere immediatamente tradotta in utilità economica o in consenso politico. L’arte, la letteratura, il teatro, il cinema, la musica generano futuro perché aprono spiragli nell’esistente, mettono in circolo desideri nuovi, ci allenano alla possibilità. Una società che non immagina è una società che ha perso la speranza. Una città senza immaginazione genera solo traffico; una città con immaginazione genera futuro. L’impoverimento dell’immaginazione significa anche un impoverimento generale della vita. L’immaginazione è il laboratorio segreto dove la speranza prende forma e diventa visione condivisa […].

La cultura come cura e inclusione

Siamo così giunti al terzo movimento della nostra riflessione: la cura. Affermare che la cultura è cura può sorprendere chi considera la cultura un lusso o un semplice intrattenimento. Eppure, basta osservare ciò che accade nei musei, nelle biblioteche, nei teatri, nei centri educativi per accorgersi che la cultura – pur non guarendo come una medicina – offre un balsamo sottile alle ferite della comunità. La cultura cura aprendo spazi di incontro, creando possibilità di riscatto, restituendo dignità alle persone. Una comunità che investe in cultura investe nella salute del proprio tessuto sociale. Tra le numerose ragioni che possono portare una persona alla fruizione culturale è spesso presente la ricerca di una guarigione interiore, di un incontro più profondo con sé stesso […]. Parlare di cultura e comunità significa allora chiedersi con onestà: chi manca? Chi rimane escluso o ai margini della partecipazione culturale? Quali barriere impediscono ancora oggi a molte persone di accedere ai beni culturali, all’istruzione, alla bellezza condivisa? Una costellazione non si costruisce solo con le stelle più brillanti: conta anche la luminosità fragile, marginale, periferica. È spesso da quelle luci minute che dipende la forma complessiva. Le politiche culturali devono diventare sempre più inclusive, capaci di coinvolgere attivamente chi spesso resta fuori: gli anziani isolati, i giovani delle periferie, le persone con disabilità, chi vive in solitudine o in povertà. Una comunità si misura anche dalla qualità delle sue porte: porte aperte, accessibili, accoglienti a tutti […].

Alleanza: intelligenza collettiva e dialogo

Il quarto movimento che desidero condividere è quello dell’alleanza. È interessante ascoltare l’etimologia latina della parola comunità (communitas). Combinando due termini, cum e munus, spiega che i membri di una comunità non sono uniti da una radice casuale. Sono legati da un munus, cioè da un dovere comune, da un compito condiviso. Qual è questo compito? Qual è il primo compito di una comunità? Prendersi cura della vita e riabilitare il patto comunitario che è la nostra radice. Nessuna istituzione, nessun ente, nessuna comunità locale può affrontare da sola la complessità delle sfide culturali contemporanee. Nessuna realtà culturale può vivere da sola: come le stelle, che solo insieme diventano costellazione, anche le istituzioni hanno bisogno di legarsi, confrontarsi, cooperare. L’alleanza è una forma di intelligenza collettiva che riconosce la necessità di una rete luminosa: è la consapevolezza che il bene comune non si costruisce in solitudine, ma unendo forze, competenze, creatività diverse [...].
Le alleanze devono manifestarsi a vari livelli: istituzionali, educativi, sociali […]. Ed esiste anche una dimensione spirituale dell’alleanza culturale. La cultura custodisce domande di senso, desideri di bellezza, la nostalgia di profondità che abita ogni essere umano. In un mondo secolarizzato, gli spazi culturali (una sala da concerto, una galleria d’arte, una biblioteca) diventano spesso soglie in cui l’umano si apre alla ricerca di ciò che lo trascende. Si tratta, qui, di riconoscere umilmente che nell’esperienza culturale è all’opera anche questa apertura al mistero, questo desiderio di un senso ultimo. Un concerto che commuove, una poesia che ci interroga nel profondo, un dipinto che ci rapisce – sono esperienze in cui ci sentiamo parte di qualcosa di più grande, di una bellezza che ci supera e ci convoca. Custodire questa dimensione spirituale della cultura significa permettere a ogni membro della comunità di ritrovare, nell’incontro con l’arte e il pensiero, un frammento di luce per il proprio cammino […].

Conclusione: l’arte della convivenza

Dopo aver evocato l’ascolto, l’immaginazione, la cura e l’alleanza, che cosa significa oggi, in concreto, parlare di cultura e comunità? Significa anzitutto riconoscere che viviamo in un tempo di forti polarizzazioni. È un tempo in cui è fin troppo facile creare fratture, mentre è molto più difficile costruire convergenze. Ma la nostra sfida non è realizzare società perfette e uniformi: è quella di costruire società abitabili, dove valga la pena di vivere insieme; mirare a convivenze intelligenti, in cui l’unità non annulla la diversità, ma la valorizza. La cultura diventa allora la capacità di vivere insieme senza rinunciare alla nostra singolarità, come le stelle che compongono una costellazione: ciascuna unica, eppure parte di una figura più grande.
La cultura è, in questo senso, l’arte della convivenza. È lo spazio in cui impariamo a vivere insieme senza rinunciare alla nostra singolarità. È il luogo in cui le comunità si raccontano, si interpretano, si trasformano, trovando un senso comune che mette o volti in relazione senza alterarli o cancellarli. La cultura offre il respiro lungo di cui abbiamo bisogno in un’epoca dominata dall’immediatezza e dalla reazione istantanea.
Vorrei concludere con un’immagine semplice. Quando entriamo in una biblioteca, ciò che ci colpisce sono gli scaffali colmi di libri, certo, ma pure il silenzio condiviso. Un silenzio che non isola, ma unisce. Ogni persona è lì con la propria storia, con le proprie domande; eppure, quel silenzio, lungi dall’essere vuoto, diventa comunità. È una costellazione di presenze raccolte, ciascuna immersa nella propria ricerca, ma tutte orientate da un medesimo cielo. È una comunità senza uniformità, fatta di presenze reciproche nel rispetto. Ecco, la cultura dovrebbe essere questo: uno spazio in cui le differenze possono stare insieme senza paura, un laboratorio di fiducia reciproca, una casa aperta a tutti.
Se c’è un compito che la cultura può assumere oggi è proprio questo: prendersi cura della nostra capacità di essere comunità, rigenerarla ogni giorno, mantenerci uniti come una costellazione. Custodirla, nutrirla, ogni giorno. Perché la comunità è, in fondo, la più grande opera d’arte che possiamo creare insieme.

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