«Timore e tremore»: risuona potente la domanda etica di Kierkegaard

Morcelliana pubblica una nuova, importante traduzione sull’edizione critica del capolavoro del filosofo danese, ispirato dall'episodio biblico del sacrificio di Isacco chiesto da Dio ad Abramo
August 25, 2025
«Timore e tremore»: risuona potente la domanda etica di Kierkegaard
WikiCommons | Monumento a Søren Kierkegaard, Copenhagen
Per quanti sforzi siano stati fatti da una certa teologia, mi riferisco soprattutto al teologo tedesco Rudolf Bultmann, la riduzione della maggior parte del testo biblico a mito e quindi alla conseguente necessità di procedere alla sua demitizzazione per cogliere il kerygma, quel nocciolo di verità che costituisce il senso ultimo del messaggio biblico, non è operazione applicabile a tutto il testo. Il sacrificio di Isacco, ad esempio – sia il comando divino di sacrificare il figlio sia il suo successivo intervento che impedisce il realizzarsi del sacrificio – è un topos con ben pochi tratti mitologici. Ci troviamo nel cuore dell’etica. Di ciò che è giusto o ingiusto fare. Sacrificare il proprio, unico, figlio, e che figlio, a lungo atteso e infine concesso da Dio, è un vero e proprio abominio. Il Dio che lo chiede e lo esige mostra nell’episodio i tratti di un essere che come tanto può dare altrettanto può togliere. Prima di emanare l’inaudito comando Dio ha già dato prova di poter togliere la vita distruggendo Sodoma. Colui che ha il potere di sottrarre così tanta vita ha anche il potere di darla. Nel sacrificio di Isacco Dio ha mostrato la sequenza inversa: prima dà la vita e ora ordina ad Abramo di ridargliela. È evidente l’immensa portata del racconto biblico. Non poteva non finire tra le attenzioni di Kierkegaard. E che attenzione! Ne tratteggia con la sobrietà dell’autentico studioso, oltre che del traduttore, Dario Borso nella nuova versione che ha fornito per Morcelliana di Timore e tremore. Lirica dialettica di Johannes de Silentio (pagine 139, euro 18,00), basata sull’ultima versione critica. Morcelliana si candida, dopo questa edizione, a fornire qualcosa come un’edizione completa delle opere del grande danese. Sarebbe opera meritoria per la cultura italiana, oltre che per attraversare l’attuale deserto teologico per restituire «alla fede il suo statuto di passione eccedente», oggi che di eccedente abbiamo solo forme deteriorate e spettacolarizzate di passioni tristi e violente. Non c’è possibilità alcuna di recuperare in poche righe la densità della pagina kierkegaardiana senza far torto a questo o a quell’aspetto del suo pensiero che procede, come indica con finezza di storico della filosofia Dario Borso, «con serrata logica inferenziale che deve molto agli Stoici», ai margini della ragione e ai limiti del paradosso. La tradizione ebraica usa per indicare il sacrificio di Isacco il termine ‘aqedah, che significa “legatura”, il momento in cui il sacrificante deve per forza di cose imbrigliare il vivente che deve essere sacrificato. È sufficiente questa indicazione a riassumere e rilanciare l’enormità morale dell’azione richiesta da Dio ad Abramo. Il quale procede fino in fondo ad apparecchiare il sacrificio, un vero e proprio omicidio, fino a quando Dio non gli grida: “Non stendere la mano contro il ragazzo”. La tragedia si ferma in una riga. La tensione si scioglie e a noi rimane aperta la domanda fondamentale: può Dio sacrificare le sue creature? Può l’uomo essere sacrificato in nome di Dio? L'uomo è sacrificabile per effetto dell’estensione della potenza divina all’intero vivente creato? È legittima la pretesa dell’uomo di arrogarsi la stessa potenza di Dio nel sacrificare l’uomo alla propria potenza acquisita e strappata al creato? Se questo è possibile allora non c’è più nessuna fede in Dio, nessuna fede possibile in Dio. In altre parole, se l’uomo, per l’uomo stesso, è sacrificabile, la stessa possibilità di questo pensiero annullerebbe ogni fede in Dio. Tanto il racconto biblico si avvale di un’economia narrativa eccezionale, oltre che di grande sottigliezza psicologica, tanto più il commento di Kierkegaard acquista la sua vera portata nel riconoscere la dimensione universale dell’etica e nello stesso tempo, e paradossalmente, nel ricondurla alla dimensione del singolo e del prossimo. È lì, e solo lì, che nasce, si sviluppa e si scioglie il dramma dell’etica. Vero che «il dovere diviene dovere col venire ricondotto a Dio, ma nel dovere non entro in rapporto con Dio ma con il mio prossimo». Timore e tremore, scritto nel 1843, non è solo una delle opere più importanti di Kierkegaard ma anche la porta di ingresso principale alla riflessione sulla vera condizione etica dell’uomo contemporaneo.
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