Semeraro: i martiri d’Algeria c’illuminano due volte

«A Tibhirine abbiamo visto in pienezza l’esemplarità dei profeti di dialogo e di fraternità». La riflessione del cardinale Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi
August 9, 2025
Semeraro: i martiri d’Algeria c’illuminano due volte
Corbis Sygma | I monaci della comunità di Tibhirine
“Chiamati due volte. I martiri d’Algeria”: questo il titolo della mostra che Libreria Editrice Vaticana e Fondazione Oasis presentano al Meeting di Rimini. Attraverso interviste video inedite, fotografie d’epoca, oggetti personali degli stessi martiri, la mostra è un grande affresco per conoscere da vicino i 19 religiosi e religiose vittime della violenza nel Decennio Nero che insanguinò l’Algeria (1992-2001). Tra il 1994 e il 1996 restarono uccisi 19 tra suore, preti, fratelli, monaci e un vescovo, monsignor Pierre Claverie, vescovo di Orano. Il testo qui pubblicato a firma del cardinale Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, è la prefazione di Chiamati due volte. I martiri d’Algeria (Libreria Editrice Vaticana, pagine 176, euro 17,00), catalogo della mostra a cura di Lorenzo Fazzini e Chiara Pellegrino.
Chiamati due volte: il titolo scelto per questa pubblicazione ha subito attratto la mia attenzione. Mi ha richiamato, infatti, una profonda affermazione di san John Henry Newman il quale, in un sermone predicato nel periodo in cui era ancora anglicano, si soffermò sul tema delle chiamate, o vocazioni divine. Richiamando diversi esempi bWiblici espose questo principio: «In verità, noi non siamo mai chiamati una volta soltanto, ma molte volte; per tutta la nostra vita Dio ci chiama…» (Parochial and Plain Sermons VIII, 2). Ciò può applicarsi pure al martirio: anch’esso, difatti, è una vocazione. Continua Newman: «Dio ci chiama sempre di nuovo, per giustificarci sempre di nuovo, e sempre di più, per santificarci e glorificarci».
È respirando queste parole, così intense e così vere, che mi sono accostato a questo testo che rappresenta il corredo editoriale alla mostra Chiamati due volte. I martiri d’Algeria allestita in occasione del Meeting per l’amicizia tra i popoli di Rimini, dedicata ai diciannove beati uccisi nel Paese nordafricano tra il 1994 e il 1996. Figure luminose di fedeltà a Dio e alla storia, i beati d’Algeria: proprio questo doppio tratto – di radicale affidamento al Signore da un lato e di totale donazione ai fratelli e sorelle in umanità, nella quasi totalità musulmani, dall’altro – è l’elemento che spicca con continuità e originalità nel corso della ricerca dei curatori e degli autori, ai quali va il mio sentito grazie. Infatti, il presente testo, anche tramite un lavoro certosino sul piano iconografico, ci offre una panoramica coinvolgente ed esaustiva di questa che è una delle vicende di santità cristiana che più ha avuto eco negli ultimi anni. In questo, anche grazie alla risonanza mediatica che la storia dei monaci di Tibhirine ha ottenuto tramite il film-capolavoro Uomini di Dio del regista Xavier Beauvois.
In queste mie righe di presentazione vorrei sottolineare, come un fil rouge sottile ma ben presente, il legame che è andato intessendosi nel corso degli anni tra gli ultimi Pontefici e i martiri d’Algeria. San Giovanni Paolo II, anzitutto, durante il cui pontificato avvenne il martirio dei diciannove beati e che della loro fama di martirio può essere ritenuto un autentico “artigiano”. Ne parlò apertamente, difatti, in molti suoi interventi. Incontrando i vescovi della Conferenza Episcopale regionale del Nordafrica giunti in visita ad limina il 22 febbraio 2003, ricordò loro che la Chiesa ha sempre considerato il dono dei martiri come una testimonianza eloquente e una fonte feconda per la vita dei cristiani. Fu, oltretutto, proprio Giovanni Paolo II a voler rendere omaggio a quei testimoni di pace nel corso della Commemorazione dei Nuovi Martiri, avvenuta il 7 maggio 2000 nella suggestiva cornice del Colosseo, a Roma, quasi a rimarcare il legame tra l’esperienza martiriale dei primi cristiani nell’arena antica e i tanti martiri del Novecento, che danno e hanno dato la loro vita per amore di Cristo e dei fratelli. In quell’occasione venne letto un passaggio del testamento di fratel Christian de Chergé, priore di Tibhirine, caduto insieme a sei suoi confratelli trappisti nel maggio 1996. All’esperienza dei diciannove testimoni in terra algerina ben si attagliano le parole del Santo Pontefice polacco: «Laddove l’odio sembrava inquinare tutta la vita senza la possibilità di sfuggire alla sua logica, essi hanno manifestato come “l’amore sia più forte della morte”».
E se il germe della Causa di beatificazione venne gettato proprio all’indomani di quella memorabile celebrazione ecumenica sui Nuovi Martiri al Colosseo, è stato durante il pontificato di Benedetto XVI che il percorso del riconoscimento ufficiale della loro santità ha preso un avvio sicuro. Il 6 giugno 2005 l’allora arcivescovo di Algeri, monsignor Henri Teissier, in quanto vescovo della diocesi parte attrice della Causa, nominava il postulatore, fratel Giovanni Maria Bigotto, religioso marista, mentre nell’ottobre 2007 si avviava il processo diocesano di beatificazione nella diocesi di Algeri. Pochi mesi prima, il 9 giugno, parlando ai Pastori della Conferenza Episcopale del Nordafrica, Benedetto XVI mise in risalto la testimonianza dei monaci, dei religiosi e delle religiose dicendo: «La loro fedeltà discreta alla popolazione che li accoglie, come ha dimostrato l’esempio incredibile della comunità di Tibhirine, è un segno eloquente dell’amore di Dio, che desiderano manifestare a tutti».
Conclusa nel luglio 2012 la fase diocesana, tutta la documentazione venne consegnata all’allora Congregazione per le Cause dei Santi, oggi Dicastero. Quanto a Papa Benedetto XVI, è ancora interessante rilevare che proprio in quegli anni (era il 2005) egli dichiarò beato Charles de Foucauld, una delle persone di maggior riferimento – per stile e per spiritualità – della presenza cristiana in Algeria nei decenni recenti. Al riguardo, possiamo dire che l’assonanza tra il cammino verso la santità dei diciannove martiri e il riconoscimento della figura di fratel Carlo ha caratterizzato il pontificato di Benedetto XVI, il cui richiamo costante all’impegno cristiano per «rendere Dio presente nel mondo» è ben visibile nella vocazione testimoniale dei nostri fratelli e sorelle martiri.
La preparazione della ponderosa Positio (ben 800 pagine) fu conclusa nel giugno 2016, essendone postulatore il trappista padre Thomas Georgeon. Svoltosi il consueto studio e consegnatone il risultato a Papa Francesco, quella schiera di fulgidi esempi evangelici poté giungere alla fase finale con il Decreto sul martirio del 26 gennaio 2018 e con la celebrazione del Rito di beatificazione avvenuta l’8 dicembre 2018, presso il Santuario di Notre-Dame di Santa Cruz a Orano, in Algeria. Ed è particolarmente interessante notare che già prima della beatificazione Papa Francesco aveva firmato una Prefazione al libro Tibhirine, l’héritage (Paris 2016); e volle pure essere spiritualmente, oltre che “giuridicamente”, presente al Rito di beatificazione con un suo specifico Messaggio (datato 2 dicembre 2018) dove scrisse: «Attraverso la beatificazione dei nostri diciannove fratelli e sorelle, la Chiesa vuole testimoniare il suo desiderio di continuare a operare per il dialogo, la concordia e l’amicizia. Crediamo che questo evento senza precedenti nel vostro Paese traccerà nel cielo algerino un grande segno di fraternità indirizzato a tutto il mondo». Inoltre, Papa Bergoglio citò esplicitamente i monaci di Tibhirine nell’Esortazione Apostolica post-sinodale Gaudete et exsultate indicandoli come esempio di un’esperienza comunitaria in cui la fede è cresciuta insieme, in particolare proprio in un frangente di grande pericolo: «Si sono preparati insieme al martirio».
Infine, con Papa Leone XIV, «figlio di Agostino» come egli stesso si è definito (Agostino, nato e cresciuto proprio in terra d’Algeria), possiamo scorgere un doppio legame tra il Pontefice americano e i “nostri” martiri: la sua elezione al Soglio pontificio è avvenuta proprio nel giorno della loro memoria liturgica, l’8 maggio. E nel suo primo saluto ai fedeli Papa Leone XIV ha parlato della «pace del Cristo Risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante». Vi è stato qualcuno che ha rintracciato un’assonanza con una parola stessa del priore di Tibhirine, Christian de Chergé, il quale, in un suo scritto, chiese al Signore una “doppia” grazia che riguarda l’auspicato shalom: «Signore, disarmali! E disarmaci», ebbe a scrivere il priore di Tibhirine.
Proprio in questa invocazione trova pienezza l’esemplarità di questi profeti di dialogo e di fraternità: i diciannove martiri sono stati capaci di chiedere incessantemente a Dio di essere testimoni del suo amore gratuito rivolto a tutti. E la vita che hanno donato nel loro “sì” estremo ci è di stimolo e di incoraggiamento per essere anche noi seguaci di quel Cristo che, come ci ricorda il Vangelo di Giovanni, ebbe a dire: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici».

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