Così Leone XIII guardò a Oriente per la pace

Millesettecento anni fa il Concilio di Nicea. L'intrecciarsi di questioni religiose e politiche in un'area cruciale del mondo fu anche al cuore dell'azione del Pontefice cui si è richiamato Prevost
July 14, 2025
Così Leone XIII guardò a Oriente per la pace
WikiCommons | Cesare Nebbia, “L’apertura del concilio di Nicea da parte dell’imperatore Costantino”, 1560 (particolare). Vaticano, Biblioteca di Sisto V
È possibile che il primo viaggio di papa Leone XIV sia in Turchia, per recarsi nella città di Iznik, l’antica Nicea, a celebrare i 1700 anni dell’importante Concilio che stabilì il credo cristiano, un importante evento ecumenico - voluto dal patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo I – che riporta all’attenzione l’urgenza dell’unità dei cristiani in un mondo sempre più diviso e conflittuale. Il viaggio confermerebbe la centralità della Turchia nella particolare geopolitica vaticana, rilevanza testimoniata anche dai viaggi compiuti nel Paese anatolico dai papi che - a partire da Paolo VI (1963-1978) - si sono succeduti sulla cattedra di Pietro. Dal XIX secolo e lungo tutto il Novecento fino ai nostri giorni, l’Impero ottomano prima e la Turchia poi hanno rappresentato, infatti, un punto di interesse costante per la Santa Sede, sia per la presenza di diverse Chiese e comunità cristiane – cattoliche, ortodosse, antico-orientali, protestanti – sia per il suo ruolo nodale in tante dinamiche contemporanee, dalla “questione d’Oriente” al colonialismo, dalla Guerra Fredda ai conflitti mediorientali, dall’ecumenismo al dialogo interreligioso.
L’intrecciarsi, anche oggi, di questioni religiose e politiche in un’area cruciale del mondo, presenta molti rimandi con l’azione dispiegata, tra XIX e XX secolo, da papa Leone XIII, il pontefice a cui si è esplicitamente richiamato il card. Prevost. Assai noto per l’enciclica Rerum Novarum sulla questione operaia, all’origine della dottrina sociale della Chiesa, Leone XIII è meno conosciuto per altri aspetti del suo pontificato altrettanto importanti e innovativi: l’apertura al mondo extraeuropeo, l’impegno per la pace, la ricerca dell’unità tra le Chiese cristiane.
Costretta sulla difensiva dalle profonde e tumultuose trasformazioni politiche, economiche e socio-culturali prodotte dalle due Rivoluzioni (francese e industriale) che hanno segnato l’età contemporanea, la Chiesa cattolica con Leone XIII reagì in modo non convenzionale, rispondendo al peso insopportabile esercitato dagli Stati europei sull’istituzione ecclesiastica, attraverso una crescente estroversione verso gli scenari extraeuropei, rilanciando – con l’azione missionaria e la diplomazia vaticana – la dimensione universale del cattolicesimo. Tale tendenza fu favorita anche dalla perdita nel 1870 dello Stato pontificio e del potere temporale - in seguito alle vicende risorgimentali italiane - evento che spinse la Santa Sede a ripensare la sua collocazione tra gli Stati, in un mondo che si avviava a diventare molto più interconnesso di prima. Con Leone XIII si affermò in modo più chiaro il profilo del papa come “padre comune”, la cui sollecitudine verso tutti i popoli esprimeva una diversa concezione di “sovranità”: alle soglie del Novecento, la Chiesa cattolica si concepiva come una “potenza morale”, un soggetto internazionale chiamato ad esercitare la sua specifica missione spirituale che non significava ingerenza politica negli affari degli Stati ma neppure indifferenza alle sorti delle società e dei popoli. Da qui l’interesse crescente di Roma per l’“Oriente”, termine con cui allora si indicava il vasto Impero ottomano, esteso dai Balcani allo Yemen, dal Nord Africa al Caucaso. Spazio intermedio tra Europa e Asia, il mondo ottomano divenne un’area geo-politica sempre più instabile, al centro dei giochi tra le grandi potenze europee interessate ad acquisire influenza in una regione cruciale dove si giocavano – ieri come oggi - molti dei destini europei, come dimostrerà drammaticamente la Prima guerra mondiale, scoppiata proprio nei Balcani ex-ottomani. Quello orientale era un teatro attraversato da molteplici tensioni prodotte dall’allargamento della politica europea, ormai divenuta “mondiale”, nella quale anche il fattore religioso era utilizzato a fini di potenza.
In tale scenario, l’azione di Leone XIII fu particolarmente audace e per nulla conservatrice: eletto papa nel pieno della crisi balcanica e della guerra russo-ottomana del 1878, Leone XIII aprì un dialogo con il patriarcato greco-ortodosso di Costantinopoli, nel tentativo di contenere la spinta verso il Mediterraneo della Russia zarista che faceva leva sui cristiani ortodossi ottomani; al tempo stesso rafforzò le Chiesa cattoliche di rito orientale (bulgari, greci, armeni, melkiti e maroniti), sperando di favorire l’”unione” tra le Chiese – intesa come “ritorno” dei cristiani separati alla comunione con Roma, non ancora una prospettiva pienamente ecumenica - così da rafforzare il cristianesimo orientale, scongiurando le derive nazionaliste - il “filetismo” (nazionalismo ecclesiastico) duramente condannato anche dal patriarcato ecumenico di Costantinopoli - che stavano seducendo molte comunità cristiane ottomane. Minoritari all’interno dell’articolato e stratificato pluralismo etnico-religioso ottomano, i cattolici ottomani divennero una componente sempre più fedele al Sultano, garante di quell’originale sistema della coabitazione che permetteva a cristiani ed ebrei di convivere con la maggioranza musulmana dell’Impero. In questo senso la Santa Sede rafforzò il profilo del delegato apostolico – il rappresentante del papa – a Costantinopoli (Istanbul), allo scopo di intrecciare rapporti sempre più stretti con il governo ottomano. I Balcani, la regione siro-libanese con la Palestina, e l’Asia Minore (Anatolia) - in particolare le province armene - furono al centro della “geopolitica” vaticana. Promuovere le comunità cristiane – cercando di allentare la tutela esercitata su di esse dalle potenze europee - e difendere l’integrità dell’Impero ottomano – con il suo sistema di pluralismo coabitativo - divennero una priorità per la Santa Sede, sempre più consapevole che la dissoluzione della vasta compagine imperiale avrebbe esposto tutti i cristiani orientali – come poi avverrà in seguito con la Prima guerra mondiale – a un futuro sempre più incerto. In un’epoca di diffusa “turcofobia” in Europa, la Santa Sede seppe superare barriere culturali e ideologiche consolidate, nell’interesse di preservare gli equilibri – e la pace – in un quadrante decisivo della politica internazionale dell’epoca. Fu una politica di largo respiro che seppe intrecciare azione diplomatica, iniziative culturali e importanti aperture “pre-ecumeniche”. La guerra mondiale – con la Finis Turchiae – ha travolto il mondo ottomano, annientato gran parte delle comunità cristiane, dissolto il vasto impero osmanli dalle cui schegge è sorto il Medio Oriente che conosciamo oggi. Resta, tuttavia, l’eredità di Leone XIII e della sua visione, un lascito che ha ancora molto da dire al nostro tempo.

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