Chiese d'Europa, costruire la polis è un atto spirituale
L’Europa può ancora essere lo spazio di una tradizione comune e di una coesione desiderabile, dove giudicare le questioni sociali e politiche

Proponiamo di seguito il testo dell’editoriale di Giuliano Zanchi al nuovo numero della “Rivista del clero italiano” da lui diretta, edita da Vita e Pensiero, dal 1920 strumento di aggiornamento pensato per quanti nella Chiesa italiana rivestono ruoli di responsabilità (vescovi, preti, laici impegnati). Il quaderno si settembre della rivista propone anche gli interventi La Teologia morale dopo il Concilio. Un’occasione mancata di Giusepe Angelini, Il monastero della Conversione. Un’esperienza di rinnovamento della vita religiosa di Carolina Blázquez Casado, Laudato si’. Quel che resta da fare di Roberto Maier, «Dilexit nos». Una grammatica spirituale e politica di Stefano Zamboni, Andy Warhol. Profondità in superficie di Giuliano Zanchi e, per le “Esperienze pastorali”, Semplificare e alleggerire. Il percorso della diocesi di Cuneo-Fossano nel ripensare giuridicamente le parrocchie di Elio Dotto. La rivista è disponibile anche online al sito rivistadelclero.vitaepensiero.it.
Per delle ragioni che mi restano imprecisabili, ma che attengono evidentemente all’aria che tira, sono andato a rileggere, a venticinque anni da quando ho dovuto prenderlo in mano per ragioni di studio, La Cristianità o Europa, scritto nel 1799 da Georg Friedrich Philipp von Hardenberg, meglio conosciuto con lo pseudonimo Novalis, ricavandone le stesse impressioni della prima volta: una specie di omelia dalle conclusioni piuttosto arbitrarie, e con una visione storica troppo debole, dominata da quella concezione immaginaria e ideale che i romantici sono stati capaci di creare attorno al cristianesimo medievale, oggetto di una nostalgia quasi patologica. Eppure, in questo accorato messaggio scritto ai tempi in cui Napoleone era già diventato una minaccia per tutto il continente, qualche risonanza, che oserei definire predittiva, sembra rimanere a galla anche quando si lasciano precipitare gli elementi più evanescenti del suo anacronismo di fondo. In un punto del suo discorso Novalis, eclettico intellettuale tedesco che si sente responsabile dello spirito del tempo, si chiede in tono retorico se «lo scopo storico della guerra fosse innanzitutto una connessione e un contatto più stretto e articolato degli Stati europei; se entrasse in gioco un nuovo movimento dell’Europa, fino a ora sonnecchiante; se l’Europa volesse risvegliarsi; se ci attendesse uno Stato composto di Stati», legando questa prospettiva a un soprassalto spirituale della cultura e a una scossa di protagonismo del cristianesimo, arrivando a dire che «solo la religione può risvegliare l’Europa». Per quanto queste espressioni ci arrivino intrise di una certa dose di equivocità, non si ha tuttavia dubbio di essere come toccati da una musica familiare, un ritornello che aleggia nell’aria, pro-prio adesso, discorsi che tornano, e tentano di farsi distinguere dal rumore di fondo dell’attuale brutalismo politico, risuonando con i toni di una lontana, insistente per quanto ignorata profezia. Un secolo e mezzo dopo quel saggio, ormai dimenticato, sono in effetti stati tre cristiani, Konrad Adenauer, Robert Schuman e Acide De Gasperi, i padrini del progetto politico di una Europa unita. Senza dimenticare il contributo profetico degli uomini di Ventotene, furono i tre uomini di stato a porre le basi di un concreti disegno politico, partendo con realismo dal mutuo scambio delle materie prime, ma fondandosi sul principio di una connessione tra popoli cementata da moventi profondi e uno spirito comune. In quel gesto fondatore, che veniva dalla tragedia di due guerre mondiali, era tra l’altro esplicita la convinzione che la “pace” non è il magico prodotto di una invocazione di routine, né la conseguenza dovuta a un volontarismo dei valori, per quanto testimoniata con militante buona fede, ma il frutto di una seria e condivisa progettazione di “strumenti politici”, che evitano il conflitto perché pianificano un criterio di convivenza, facendole il dono di una “regola” che trasforma numeri in comunità. Platone aveva le sue ragioni: costruire la polis è un atto spirituale. Non c’è bisogno di enumerare i motivi che oggi rendono fievole quello che, forse con involontario senso di resa, si continua a chiamare “sogno” europeo, proprio nel momento in cui tutto, intorno a noi, sembra invocare il convinto processo della sua trasformazione in realtà, con decisioni politiche di cui si conoscono perfettamente la direzione, l’indirizzo, l’ambito e l’importanza. Non stupisce per nulla il cocciuto autolesionismo delle masse, così ben innaffiato dalla lucida manipolazione di leader prepotenti, e dal patetico agire a rimorchio di quelli impotenti; basta rileggersi Massa e potere di Elias Canetti. Stupisce di più la colpevole latitanza delle forze intellettuali, e delle istituzioni “spiritua-li”, e naturalmente anche del cristianesimo cattolico nel suo articolato insieme di realtà, irradiazioni parrocchiali, declinazioni movimentistiche, personalità intellettuali, e tutto il resto. Intendo il cristianesimo che vive in Europa, e che alle ragioni della sua testimonianza evangelica non dovrebbe trovare estranei i travagli che il continente attraversa in vista di una forma politica degna della sua eredità umanistica e così vitale a un futuro umano per tutti; le dovrebbe anzi il contributo di un incoraggiamento decisivo, in termini di slancio umanistico, motivazione spirituale, servizio intellettuale e, non ultima, la paziente azione di una pedagogia comunitaria. Il cattolicesimo europeo, pur nelle sue note differenze e nelle sue necessarie particolarità, non dovrebbe in un momento storico come questo sentire primaria la responsabilità di incoraggiare un progetto europeo di grande respiro, stimolando per quel che gli compete un audacia dell’azione politica, illuminando gli incerti, accompagnando gli inquieti, consigliando i dubbiosi, criticando i cinici, e rifiutandosi di dare corda ai più gretti, e a volte comici, apostoli della disgregazione? Certo che dovrebbe, e sono in molti ad aspettarselo. In tanti si aspettano ancora molto dalla miniera delle “risorse del cristianesimo”. Qualcuno lo chiama in causa richiedendo esplicitamente questo servizio, connesso proprio a quella tradizione che a parole la Chiesa insiste nel voler onorare. Aldo Schiavone ha recentemente pubblicato un libro intitolato Occidente senza pensiero (Il Mulino), denunciando uno stato di «vera abdicazione intellettuale e morale» dell’Occidente, e in particolare dell’Europa. Arrivato in fondo alla sua disamina, nelle ultime pagine del saggio, Schiavone interpella direttamente il cristianesimo, il cattolicesimo e la Chiesa: «Il messaggio intrinsecamente universalistico contenuto con grande intensità di concetti e di emozioni nell’insegnamento cristiano sta infatti acquistando, di fronte all’unificazione tecnologica e capitalistica del pianeta, una freschezza e una forza di verità mai prima sperimentate. Sta interpretando – anche se ben pochi se ne rendono conto – l’anima più profonda e autentica della realtà contemporanea. […] Se apparisse rigenerato in questa direzione, l’universalismo cristiano – e forse in modo particolare quello della sua versione cattolica – potrebbe dare un contributo importante e probabilmente persino decisivo anche alla costruzione di quella soggettività unitaria prima indicata come uno dei traguardi del nostro pensiero». Modesto scriba di quarta fila, mi rendo conto di intromettermi in questioni più grandi di me; ma questo mondo è anche il mi o, e anche di me si tratta, perciò è quasi come in forma di supplica che metto sul piatto il mio spicciolo, quasi come pegno d’attesa per l’ingresso sulle scena di quanti nella Chiesa, a diverso titoli, hanno strumenti, competenze, autorevolezza e potere per dare a questi auspici il giusto spessore, una vera credibilità, e forse una vera capacità d’azione. Conferenze episcopali capaci di incoraggiare in Europa decisioni necessarie; parrocchie in cui la predicazione e la catechesi diano strumenti anche per giudicare lucidamente le questioni sociali e politiche, e dove l’Europa ricompaia come lo spazio di una tradizione comune e di una coesione desiderabile; intellettuali credenti che, a motivo del Vangelo, rimettano pubblicamente al centro il tema: sarei orgoglioso di una Chiesa così, e di un cristianesimo capace di questo. Viene naturale chiedersi cosa sia realmente in nostro potere, ma questo pensiero deve seguire la decisione e la volontà di dover fare qualcosa; e magari non si farebbero miracoli. Ma non potrebbe mai venire il giorno in cui poter dire che i cristiani se ne stavano senza dire nulla, senza fare niente, mentre l’Europa andava in frantumi, e il mondo si agitava nel suo minaccioso disordine.
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