Abitare la luce: Ben Lerner, poesia tra parola e visione
"Le luci" è un viaggio nelle pieghe del linguaggio e della visione, dove il bagliore non è solo ciò che illumina, ma anche ciò che interroga, deforma, trasforma

Una costellazione di versi e prose, canzoni e silenzi, effetti sonori e messaggi vocali, per riflettere sul piacere, sui rischi e sull’assurdità dell’arte, sull’essere figli e genitori, sulla vita quotidiana in un mondo percosso da crisi interconnesse e in accelerazione. Si intitola Le luci (Sellerio, pagine 242, euro 14,00) ed è il nuovo libro di Ben Lerner, uno degli autori più brillanti e sperimentali del panorama letterario contemporaneo, che torna con un testo compatibile nell’intersezione tra poesia e narrativa, dove i versi imprevedibili comunicano la promessa futura di un mondo altro e le parole si dispongono sulla pagina a cascata, dando al testo la configurazione di una fuga, per poi riorganizzarsi in una prosa poetica, e riflettere sul linguaggio, su ciò che la poesia oggi può suggerirci riguardo all’abitare un pianeta disperato che continua però apparentemente a risplendere. In quella cascata di vuoti e pieni abitano le luci, che sono una materia mentale, un fenomeno percettivo che rivela l’interiorità e la costruzione della realtà, in Murnane tramite lo sguardo, mentre in Lerner attraverso il linguaggio.
In Le luci Lerner riflette sulla luce artificiale e quella naturale, quella dei cellulari, delle città, delle sirene della polizia, ma anche quella dell’erba e del cielo, come metafora della visibilità contemporanea, dell’iper-esposizione e del bisogno di un buio in cui tornare a vedere davvero. L’autore cerca quasi un modo di abbassare le energie, di interrogare il modo in cui vediamo, più che ciò che vediamo, perché proprio come in Murnane la luce non illumina soltanto, ma deforma, filtra, traduce anche il nostro linguaggio. E la scrittura, come la luce, è un modo di restituire quel linguaggio, quell’impressione del reale. Il lavoro dell’autore americano è quindi in parte sulla visibilità linguistica: i suoi testi, a metà tra poesia e prosa, mostrano come la lingua stessa possa essere un fenomeno luminoso con le sue intermittenze, i suoi abbagli, i riflessi in cui ci specchiamo. La scrittura diventa allora una sorta di lente ottica, che non racconta quindi la luce, ma la fa accadere nella pagina, facendosi anche tempo e contribuendo a rendere visibile il presente, far luce sul passato, illuminare il futuro. C’è poi il tema dell’etica dello sguardo, in rapporto alla nostra contemporaneità: qui Lerner ne denuncia l’eccesso di visione, il mondo iperilluminato dei media e dei dispositivi, ma tenta di recuperare un’attenzione poetica, in quella luce che risplende (o meglio, può risplendere) nel linguaggio.
Le luci è quindi anche un monito: vedere bene equivale a vivere bene. Allo stesso modo scrivere bene è rifrangere la realtà attraverso molteplici superfici linguistiche, fino a far emergere la possibilità di un mondo altro, dove provare a risplendere. Lerner, con il suo sguardo da poeta, scorge le «luci tra gli alberi», ma anche le «luci inspiegabili», i «radar» e gli «alieni», poi spiega: «L’atmosfera curva i raggi del sole, separando la luce nei suoi vari colori, proprio come un prisma curva e scompone la luce del sole in arcobaleni. In quel modo l’astrattismo può risorgere». E prosegue: «Ogni minuto, al tramonto, la luminosità varia di un fattore due, perciò un errore di sessanta secondi può causare danni permanenti». Le riflessioni continuano quando pensa al linguaggio comune, quando diciamo a qualcuno che si è spento, oppure quando pensiamo al buio e alla macchie che ci getta addosso: «Credo - scrive - che si abbia bisogno di un senso o dell’impressione che sia volato via, specialmente quando si guarda in alto».
La luce in Lerner è una figura del limite, la lingua una materia viva, e come in Murnane il lavoro di scrittura è quello sulla soglia, nel movimento tra il mondo reale e quello immaginato, tra la chiarezza dell’esperienza e il suo riflesso interiore. Lerner cerca un modo per restituire alla realtà una vibrazione sacra, non religiosa ma poetica, una forma di contatto in cui si possa stare su ambedue i lati della poesia, la luce e la non luce, i pieni e i vuoti, perché la luce non è solo ciò che rivela, ma anche ciò che può unire. resta tuttavia una domanda aperta: è possibile vedere davvero, o solo ricordare di aver visto? Attorno a questa domanda girano alcune delle riflessioni di Lerner, che tendenzialmente arriva però quasi sempre alla stessa risposta: la luce non è una rivelazione, ma un compito. Vederla - e tenerla viva nella mente - è un atto vitale, perché solo chi continua a guardare, anche quando la visione vacilla, può ancora sperare che un altro mondo risplenda nel nostro. C’è poi un punto, in ogni libro di Lerner, in cui il linguaggio incespica. Le parole si frantumano, sfumano nel rumore. È lì che inizia la sua poesia: nello spazio dove il linguaggio non regge più e tuttavia continua a tentare, dove c’è luce nei respiri. Una frizione, forse una frontiera, che nella descrizione di The Lights che fa “Granta” si dice siano poesie che comunicano - nella loro imprevedibilità e intensità - la promessa di misteriose fonti di elevazione e illuminazione. Quando tempo fa intervistammo Lerner chiedendogli se credeva che davvero la poesia potesse avere questo potere, rispose: «Penso la poesia allunghi il linguaggio, estenda le possibilità del linguaggio, anche se su scala ridotta. E poiché il linguaggio è il materiale del pensiero e il materiale della nostra vita sociale, penso che questi esperimenti contribuiscano a creare nuove possibilità di pensiero e sentimento. Non sto dicendo che un libro di poesie - il mio, meno di tutti! - cambierà il mondo, ma penso che ci siano piccole scintille di possibilità nelle poesie, scintille blu che sorgono nel buio». Le luci quindi che interrogano, accendono nuovi modi di pensare, ma includono anche: «Tutta la mia gente è con me adesso / come lo è la luce», scrive nel finale di Le luci, un’opera che non offre risposte, ma strumenti di attenzione. Una meditazione sul linguaggio e sulla visione, sull’etica dell’abitare il mondo in tempi di crisi, sulla necessità di rallentare per vedere meglio. E, forse, anche per sentire di più: la luce quindi come figura sulla soglia e la lingua come corpo luminoso, senza dimenticare che la luce - come la parola - non si possiede, ma si abita.
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