venerdì 1 febbraio 2019
A colloquio col cantante che dopo sei anni torna a Sanremo con "Abbi cura di me", una preghiera sull'amore universale in stile francescano: «La vera gioia l'ho trovata fra le suore di clausura»
Simone Cristicchi, la suora felice e l'incontro con il Papa
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«Un Cantico delle creature 2.0? Mi piace questa definizione». Sorride Simone Cristicchi della nostra prima impressione a caldo dopo l’ascolto in anteprima del brano che segna il suo ritorno in gara a Sanremo, Abbi cura di me, contenuto nell’omonimo album in uscita l’8 febbraio che riunisce per la prima volta i suoi successi. Il venerdì all’Ariston in cantautore lo interpreterà in duetto con Ermal Meta. Questa sarà la quinta volta di Cristicchi al Festival, vinto nel 2007 dal brano sul disagio psichico Ti regalerò una rosa, e si tratta di una tappa nel percorso preciso dell’artista romano alla ricerca della felicità. Si passa dal nuovo lavoro teatrale Manuale di volo per l’uomo con la regia di Antonio Calenda, prodotto dal Teatro Stabile d’Abruzzo di cui Cristicchi è direttore artistico dal 2017 al documentario in lavorazione Happy Next - alla ricerca della felicità, regia di Andrea Cocchi, sino alle quattro puntate di Le poche cose che contano in programma su Tv2000 insieme a don Luigi Verdi, fondatore della fraternità di Romena.

Cristicchi, come mai questo ritorno a Sanremo dopo una lunga assenza dalla canzone?

Il Festival è importante: la mia non è una canzone ma è un messaggio, non vado a scherzare o giocare. È una cosa importante, se no non mi sarei presentato. In questi anni ho seguito un percorso che mi permette di fare altro.

“Abbi cura di me” davvero sembra una laude francescana.

Il brano nasce mentre lavoravo al mio ultimo spettacolo Mauale di volo per l’uomo, che tratta il tema del dolore e di come attraverso l’arte lo si possa sublimare e trasformarlo in qualcosa di bello. Nasce dalla voglia di mettere in musica quelle poche cose che ho imparato dalla vita. Nei versi della canzone ricorre il tema millenario dell’accettazione, della fiducia, dell’abbandonarsi all’altro da sé. Soprattutto è una dichiarazione di fragilità e debolezza, una richiesta d’aiuto, una preghiera all’Amore universale, che può essere verso un padre, una madre, un figlio. Anche verso Dio? Certo. Una suora clausura mi ha dato l’interpretazione più bella. È una preghiera di Dio all’uomo, perché anche Dio ha le sue fragilità.

Lei ha stretto un rapporto speciale con le suore e con i monaci... Nel suo brano canta «essere parte dell’immenso, di un disegno molto più grande della realtà».

Le persone più gioiose e felici che ho incontrato, sono quelle appartate dal mondo, ma non per una questione di fuga o di snobismo. Nel silenzio ci si connette a qualcosa. Ed è proprio soggiornando in un eremo quest’estate che ho scritto Lo chiederemo agli alberi, secondo inedito dell’album. Parlo dell’allodola, che è come le monache, l’uccellino prediletto da San Francesco e rappresenta l’umiltà, perché si ciba delle piccole briciole, del poco che ha, e canta dall’alba alla notte.

Lei è uno spirito in ricerca?

Si possono leggere milioni di libri, mi sono costruito una biblioteca che non finirò mai di leggere. Ma la spiritualità va toccata con mano. Parliamo di Vangelo, di zen, di darma, ma tu la spiritualità la devi toccare e farne esperienza. E l’esperienza più forte è vedere persone rapite da qualcosa di superiore, che hanno abbandonato la vita precedente per un desiderio di infinito che appartiene a tutti. In alcuni luoghi c’è un’energia intrinseca che riesce a cambiarti. Ho molto frequentato il Monte Labro ad Arcidosso in Toscana, il luogo dove visse David Lazzaretti su cui ho scritto lo spettacolo Il secondo figlio di Dio, e poi l’eremo francescano di Campello sul Clitunno, l’eremo di Monte Giove a Fano e la Fraternità di Romena guidata da don Luigi Verdi con cui registrerò fra maggio e giugno il nuovo programma per Tv2000, Le poche cose che contano.

Ha anche incontrato papa Francesco?

L’ho incontrato la settimana scorsa al termine dell’Udienza generale. È stato molto gentile e disponibile. Gli ho strappato la promessa di un’intervista per il documentario sulla felicità al momento che riterrà opportuno. Sto aspettando una risposta ufficiale.

Un tempo era molto critico con la Chiesa. Cosa è cambiato?

Un mio amico monaco mi ha detto che sono un cristiano inconsapevole. Credo che occorra ritornare alle priorità della vita. Siamo invasi ogni giorno da mille progetti, da mille informazioni, mille immagini, siamo continuamente collegati e connessi con la realtà virtuale. Così si perde interesse per le grandi domande dell’esistenza. Siamo noi stessi che ci dobbiamo risvegliare e capire l’importanza della vita. In realtà c’è tanta bellezza che ci circonda, la meraviglia di esserci e di partecipare.

Concetto al centro anche dell’altro inedito “Lo chiederemo agli alberi”.

L’albero invece è simbolo di fermezza e accettazione, le radici affondano in profondità mentre i rami svettano verso il cielo. Mette grande serenità osservare questa metafora perfetta dell’abbandonarsi, della fiducia e della speranza.

A proposito di speranza, lei si è schierato al fianco di Baglioni sul tema dei migranti.

C’è molta ipocrisia sull’argomento, da una parte e dall’altra. Siamo tutti pronti a riempirci la bocca con la parola accoglienza, poi vorrei vedere quanti (a parte alcuni socialmente impegnati) si metterebbero in gioco passando alla concretezza dei fatti. Dall’altra parte c’è una visione ottusa del mondo di oggi perché non si può fermare questa ondata che rimetterà in gioco la nostra idea di società. Io ho due bambini di 11 e 7 anni e vedo nelle scuole come si sta riconfigurando la nostra società, vedo l’umanità del futuro. E i bambini sono molto più avanti di noi.

Invece a proposito del passato, che bilancio esce della sua carriera dalla sua prima raccolta?

Rivedo 15 anni di vita molto intensa, che hanno del miracoloso. È vero che si può costruire il futuro da soli, seguire nostri sogni, ma c’è una mano invisibile che guida la nostra vita. E sono consapevole di avere una grande responsabilità nei confronti pubblico. Sono felice e sento di avere una seppur piccolissima missione: condividere con gli altri le mie piccole scoperte, ed è meraviglioso. Sono stato fortunatissimo, ma per certe scelte ho lottato contro tutti, mi sono fidato del mio istinto e non ho quasi mai sbagliato. Quando ho scelto il teatro per esprimere il mio mondo, ho trovato casa. Dopo Sanremo proseguirà la tournée dei miei spettacoli e da giugno partirà un tour musicale.

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