sabato 16 gennaio 2021
Il cantautore racconta il suo brano nato nella pandemia: «È un grido, io l’ho inteso così, perché il silenzio di Dio terrorizza. Per mesi non ho suonato, adesso sto componendo con stupore infantile»
Angelo Branduardi in concerto

Angelo Branduardi in concerto

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Echeggia ancora più forte nell’anno appena cominciato la personale e corale invocazione sonora del potente, terreno e mistico nel contempo, Kyrie Eleison con cui Angelo Branduardi aveva voluto chiudere l’annus horribilis della pandemia. Un periodo che l’ha prostrato profondamente, quasi interrompendo e minando anche interiormente quel suo Cammino dell’anima che, da tappa esistenziale, era diventato un illuminante e illuminato disco, uscito sul finire del 2019 e ispirato all’opera musicale della mistica medievale tedesca Ildegarda di Bingen.

Ora il 70enne cantautore lombardo guarda avanti e promette un nuovo brano, «una sorpresa per me e per chi mi segue, una canzone di stupore quasi infantile, di grande gioia. Non so quando, ma so che anche questo brano andrà sulle piattaforme online come il Kyrie uscito a novembre. Una specie di regalo per il mio prossimo compleanno, il 12 febbraio. Per il mio precedente, quello del 70°, il Covid ha bloccato tutto all’inizio del tour deI Cammino dell’anima. Un cammino interiore che se dal vivo si è fermato subito, spero sia proseguito nonostante tutto nell’anima della gente, del mio pubblico. Ora intanto in me risuona ancora questo finale accordo maggiore del mio Kyrie ispirato alla Missa Luba di tradizione congolese, che vuole significare ancora e sempre speranza. Anche se a lungo ho vacillato, sperimentando il silenzio di Dio e l’assenza della musica, quanto di più doloroso».

Il toccante Kyrie che ha composto è stato un atto liberatorio?

«La tappa fondamentale di un cammino. È anzitutto un grido, almeno io l’ho inteso così perché il silenzio di Dio è terrorizzante. In tutti i mesi della pandemia non ho suonato una sola nota con nessuno strumento. E non sono stato in grado di ascoltare niente di quello che di solito mi commuove e mi consola. Ho provato tante volte, ma poi ho lasciato perdere. Poi dopo avere scritto questo Kyrie improvvisamente mi sono sentito come risorto. Il misterioso effetto per avere saputo e voluto chiedere al Signore semplicemente questo: abbi pietà. All’inizio ho creduto di avere scritto una cosa molto dolorosa, ma invece tutti quelli che l’hanno ascoltato hanno trovato il brano profondamente consolatorio e pieno di speranza».

Merito anche di quell’accordo finale?

«Io pensavo in effetti che la speranza fosse espressa soltanto grazie al conclusivo accordo maggiore, modalità usatissima nel rinascimento. Non si poteva del resto finire in mi minore, che è la tonalità più triste che ci sia, davvero tombale. Ma in verità è tutto in sintonia con il testo di mia moglie Luisa Zappa. Così alla fine mi sono accorto di aver scritto non quello che intendevo all’inizio, ma un brano fiducioso».

E in cosa consiste questa speranza ultima?

«È un compimento, una tappa fondamentale di un cammino che mi ha portato a superare la lacerante percezione dell’abbandono, del silenzio di Dio e di una umana sconfitta, per abbracciare la quiete grazie a una sempre più profonda comprensione di una nostra appartenenza. Io pensavo di esprimere un atto di dolore e invece non è così. E questa è stata per me una sorprendente rivelazione. Che trasforma così il mio personale e intimo senso di abbandono in un inaspettato atto di speranza».

Mistero dell’anima e della musica?

«Con questo Kyrie ho realizzato qualcosa di molto importante per me e qui entrano in gioco dinamiche inconfessabili per un artista che cura, nel mio caso con la musica, se stesso e la propria anima. Anche un grande psichiatra come Giovanni Battista Cassano è convinto che nel cervello, nella psiche o nell’anima dei musicisti ci sia qualcosa di particolare, di diverso. Il musicista spesso vede al di là della porta chiusa. Io ci ho pensato su e ho capito che in realtà per i musicisti molto più che per le altre persone, come diceva anche Ennio Morricone, non c’è nessuna mediazione tra sé e il mondo. I musicisti più di tutti gli altri artisti sono come degli emarginati, benché di lusso. In quei giorni di silenzio della mia sfera percettiva ho potuto sperimentare quella che il mio amico Franco Battiato, al quale sono legatissimo, ha definito in una sua meravigliosa canzone l’ombra della luce».

«E l’amore non basta per lenire il dolore», canta in conclusione del Kyrie…

«È il limite dell’amore umano, benché altissimo. Non ci basta mai, ha una sua insanabile incompletezza. È potentemente consolatorio, ma chiede che si protenda verso l’alto, verso l’oltre. E questi nostri tempi così illusori, con la tecnocrazia al potere, sono emblematici della condizione umana. In questo senso io sono contento che una grande scossa e un incredibile j’accuse venga da una bambina. Non a caso la ribellione a Greta e a ciò che rappresenta è stata in molti casi violenta e ottusa».

Insegnerà finalmente qualcosa di decisivo il Covid al mondo, alla politica, alle persone anche solo individualmente?

«Ora tutto ciò sembra far riflettere molto. Ma non so quanto durerà. Io comunque mi aspetto che prima o poi sorga un nuovo sole. Che non è certo il sol dell’avvenire di ideologica memoria. Liberiamoci dai falsi obiettivi che non servono e non salvano l’uomo, dalla sbandierata crescita economica fino al famigerato al Pil che deve sempre a tutti i costi aumentare. Basta con questi inganni».

E a lei personalmente cosa resterà?

«Anzitutto avere realizzato questo Kyrie, che è una benedizione In una fase della mia vita in cui il silenzio della musica mi aveva di fatto relegato in una sorta di grande parentesi esistenziale. Io non so se e quando tornerò a suonare dal vivo, ma so che succederà. Certo, quando riprenderò in mano il mio violino credo che non avrò l’impressione che ho sempre avuto in passato che fosse lui a suonare me. Ma quella era soltanto più semplicemente e fisicamente soltanto una questione di memoria muscolare».

San Francesco diceva che il mondo lo si cambia riparandolo…

«Un insegnamento geniale. Uno sberleffo a tutti i miti delle rivoluzioni. Oggi semmai la rivoluzione vera la sta facendo papa Francesco con tutto quello che ci dice ogni giorno. Mi riconduce al mio lontano ma sempre presente Infinitamente piccolo che ha francescanamente illuminato la mia carriera e la mia vita».


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