giovedì 6 ottobre 2022
«Se non le scrivo, le cose non arrivano al loro compimento, sono state solamente vissute», ha scritto. Soltanto il trasporle sulla pagina fa accadere appieno gli avvenimenti
Annie Ernaux: il racconto di sé nel prisma della Storia
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Premio Nobel particolarmente significativo, quello assegnato a Annie Ernaux, scrittrice francese (normanna) classe 1940. Intervistata nel 2016 sull’assegnazione dello stesso Premio al cantautore Bob Dylan, commentò che il riconoscimento costituiva una buona notizia perché segnale che la nozione di “letteratura” andava estendendo la gamma dei suoi significati. Anche il Nobel di cui viene insignita lei, Ernaux, simboleggia un evento: un ampliamento, un’estensione del senso stesso del narrare. Senso sovvertitore, rivoluzionario, come rivoluzionaria e impegnata è da sempre la scrittura di Annie Ernaux. Da molti ritenuto il suo capolavoro, Gli anni (pubblicato in Francia nel 2008 e in Italia, come la maggior parte delle sue opere, presso l’editore L’orma nelle traduzioni di Lorenzo Flabbi) è libro singolarissimo, subito impostosi a critica e pubblico per la sua inedita peculiarità. Un’autobiografia perché racconto di una vita (la propria), ma aliena a ogni indugio narcisistico, estranea se non avversa a qualsiasi forma di compiacimento “egoico”. Non “autofiction” (genere letterario in cui la stessa Ernaux ha dichiarato di non riconoscersi), non romanzo, e neppure autobiografia vera e propria. Piuttosto, l’emergere di una voce inconfondibilmente nuova, diversa da tutte le altre per come modulata secondo un timbro tutto suo. Speciale, mai udito prima. Parlare di sé, ma non facendolo. Indagare ogni piega la più intima e segreta della propria vita, scandagliare ogni luce e ogni ombra della memoria di dolori e gioie, di assenze e presenze, di traumi e di epifanie, con sguardo tenuto fisso e focalizzato sui ricordi e il passato ma senza cedere all’autoindulgenza del narcisismo. Invece restando bene ancorata alla terra, attenta alla Storia, quella collettiva e corale che intanto, parallelamente, va svolgendosi. Così negli Anni leggiamo e amiamo il racconto della vita di una donna ma insieme quello del dopoguerra francese, della rivolta studentesca del 1968, della Guerra d’Algeria, dell’avvento di internet, dell’insanabile ferita inferta al mondo dall’attentato del 11 settembre, di molto altro. E contemporaneamente a tutto questo, ibridata, mescolata, incastonata, la cronaca dell’Io di una giovane che in quegli stessi anni (“Gli” anni) incontra sé stessa, diviene persona, ama, lotta, e retrospettivamente si conosce e si lascia conoscere nel mentre scrive e ricorda.

Tutti i libri più importanti di Annie Ernaux (Il posto, Memoria di ragazza, L’altra figlia, così come gli scritti di riflessione sulla scrittura) sono narrazioni assolutamente intime quanto profondamente universali. Perché la sua è una forma di autobiografia sviscerata in chiave impersonale: e in questo che può sembrare un ossimoro sta il caposaldo dell’opera di una scrittrice che libro dopo libro ha incantato lettori del mondo intero parlando di sé, ma intanto raccontando qualcosa di molto più ampio. Secondo una prospettiva capace di coniugare confessioni personalissime al tempo oggettivante della spersonalizzazione. Se l’Io nelle pagine di Annie Ernaux diviene “opera mondo”, accade grazie all’uso di criteri stilistici e narrativi impercettibili, sottili, raffinati. Un’ottica meditata, la sua, eppure fluida e mai impigliata in sé stessa. Frutto di uno sguardo umanissimo per come consapevole dell’esser parte di un tutto. La memoria personale in Ernaux si fa insieme storica, antropologica, sociale – e di lì, condivisibile, condivisa. Il suo Nobel corona una lunga serie di riconoscimenti (anche in Italia, dove al Premio Strega Europeo 2016 per Gli anni si è aggiunto il Premio Mondello 2022). Onorificenza particolarmente simbolica anche considerando quanto la traiettoria di vita che Annie Ernaux dipana e racconta, quella su cui impernia tanti suoi libri, sia anche racconto di una metamorfosi sociale. Dalle origini modeste e proletarie (i genitori erano operai e poi piccoli commercianti in un villaggio della Normandia) le accade di “spostarsi” e venire ad appartenere a una borghesia colta, con l’attività di insegnante prima, di giornalista femminista letterariamente impegnata poi, sino allo status di scrittrice internazionalmente affermata. Traiettoria qui anche in nessun modo enfatizzata, piuttosto tematizzata scandagliando tutte le ambivalenze anche dolorose che un passaggio di condizione come il suo può comportare. Il posto, libro dedicato alla storia del padre ma anche al disagio intergenerazionale tra i genitori e la figlia “imborghesita”, a partire dal titolo è un volere ridare collocazione, ovvero saldare i conti con la memoria, con coraggio rileggendo in filigrana la verità di ogni origine. Storia di un “esodo” sociale nelle cui pieghe e nella cui complessità trova forma e luce la scrittura di Annie Ernaux, così come trova timbro la sua voce cristallina che anche da questo percorso di vita è intriso, e connotato.

Alla base rimane la domanda rivolta a sé stessa e che riecheggia in tutta la sua opera: “Come accade che il tempo che abbiamo vissuto diviene la nostra vita?”. Nel segno di quale cifra gli avvenimenti giungono a comporre una biografia, a scavare il solco inconfondibile di una singola esistenza? Annie Ernaux se lo chiede e con chirurgica onestà (“La scrittura come un coltello” è adagio da lei prediletto, in forma sia scritta che parlata), libro dopo libro, sviscerando la propria memoria di vita ha cercato, e dato, risposte. “Se non le scrivo, le cose non arrivano al loro compimento, sono state solamente vissute”, ha scritto. Soltanto il trasporle sulla pagina fa accadere appieno gli avvenimenti, solo l’atto del narrare completa l’accadere dei fatti immortalandone la memoria. Una poetica, perché una visione della letteratura. E una prospettiva etica per chi nel segno della letteratura lavora e vive. Perché in questi tempi di nevrotizzato e nevrotizzante narcisismo, di autorappresentazione compulsiva, di continui autoscatti, di affannosa e tante volte dissennata rincorsa della propria singola e misera visibilità, insignire del Nobel una scrittrice che ha saputo porre il racconto di sé nel prisma del respiro del mondo e della Storia, è gesto pieno di simbolo e una bellissima notizia. Una ulteriore lezione di umanità e intelligenza letteraria quella che vincendo il Premio Nobel Annie Ernaux impartisce. Senza altra intenzione deliberata che non sia l’assoluta, finanche impietosa fedeltà alla propria vera voce, e il più amoroso e sincero omaggio offerto alla letteratura. Al suo valore non solo estetico: anche morale, e perciò vitale.

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