venerdì 11 febbraio 2011
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La scienza non esiste. O meglio è intermittente: un po’ esiste, un po’ no. Mediaticamente, almeno. In certi casi, le evidenze scientifiche, laddove si manifestino, non contano. Vanno cancellate o, se volete, tanto è lo stesso, vanno piegate all’ideologia. Lo si era capito già da tempo, ma ieri se n’è avuta l’ennesima prova leggendo quanto ha raccontato – e taciuto – la gran parte delle grandi testate italiane a proposito della prima 'Giornata nazionale degli stati vegetativi'. Sfogliando i giornali infatti – già da domenica scorsa – ci si è imbattuti in una pioggia d’interviste e d’interventi di politici e/o giuristi e/o volti noti, nonché di medici che di stati vegetativi ne hanno incrociati, magari, un paio in tutta la loro carriera. Un grondare di velenose polemiche, di contrapposizioni, di colpi di maglio ideologico (con qualche gentile collega pronto a mettere anche noi di Avvenire nel mazzo per il solo fatto di aver osato replicare alle accuse di «crudeltà» rivolte dal signor Englaro alle suore Misericordine che avevano accudito per 15 anni sua figlia, Eluana). Nessuna parola, però, raccolta dalla viva voce delle circa tremila famiglie che una donna o un uomo in 'stato vegetativo' o in 'stato di minima coscienza' li tengono in casa con amore e li seguono ventiquattrore al giorno. Nemmeno una frase di quelle pronunciate dai più grandi ricercatori del mondo su questa condizione di gravissima disabilità, anche se questi luminari (dopo la prima a Salerno, all’inizio dello scorso luglio) erano di nuovo tutti straordinariamente riuniti nel cuore di Roma per dare pubblico conto del loro lavoro e delle ultime frontiere conquistate dalla scienza medica e diagnostica. Nulla. Anzi, spazio solo alle vecchie 'diagnosi' fatte da certi politici e certi medici prestati alla politica (e alla propaganda eutanasica di moda): dogmi tragici e ispirati al più cupo pessimismo, del tipo 'chi è in stato vegetativo è già morto', 'è irreversibile', 'non ha coscienza e non prova nulla'. Insomma: affermazioni scientificamente superate da anni, eppure ancora spacciate per verità. Non una riga, però, sulle indagini condotte grazie alla risonanza magnetica funzionale (e sui sorprendenti risultati ai quali sta conducendo), né sulle ultime tecniche di scansione cerebrale e sulle nuove indicazioni che offrono sulla presenza di coscienza, più o meno sommersa, anche nelle persone in cosiddetto stato vegetativo. Non una riga sugli studi già pubblicati dai membri della Europeean Task force of vegetative state (universalmente riconosciuti come l’eccellenza mondiale nella ricerca specifica), nonostante raccontino la scoperta che anche in stato vegetativo si accendono spesso le zone del 'sì' o del 'no' in risposta a domande, che esistono reazioni al dolore, che la stimolazione della corteccia cerebrale attraverso un movimento passivo di braccia e gambe provoca la reazione di aree del cevello. È la conferma che chi è in stato vegetativo è comunque e sempre una persona, non un vegetale. Per questo gli scienziati della Europeean Task force ormai rifuggono ufficialmente dalla definizione stessa di 'stato vegetativo', perché superficiale e fuorviante. Eppure di tutto questo su gran parte dei grandi quotidiani non c’è stata traccia. Si è continuato invece, imperturbabilmente, a raccontare un altro mondo e un’altra condizione (non) umana, che però coi resoconti scientifici, le evidenze cliniche e le storie reali delle persone poco e nulla hanno a che fare. Propinandoci molte pigre invenzioni e nessun documentato fatto nuovo (e a volte neanche nuovo, solo tenacemente ignorato e occultato…). Sarà perché questi dati non vanno affatto nella direzione verso cui una certa 'cultura' spinge? Resta una certezza a confortare noi e tante persone che chiedono rispetto e cura, una certezza che è anche speranza: la scienza non si preoccupa delle ideologie e ancora meno delle opinioni, perché non è un’ideologia, la vera e buona scienza, e non ha opinioni da affermare. La scienza s’interessa ai fatti. Gli stessi fatti che ai mezzi d’informazione spetta di raccontare. O, meglio, spetterebbe.
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