giovedì 12 ottobre 2023
Dalla Groenlandia la denuncia della psicologa Naja Liberth. La battaglia delle ragazze che negli anni 60 e 70 subirono il piano di controllo delle nascite pianificato dalla Danimarca
Naja Lyberth

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Aveva appena 14 anni, Naja, quando un medico introdusse una spirale nel suo corpo. Nessuno aveva chiesto il suo consenso né quello dei genitori, e la vergogna e il dolore furono tali che lei non riuscì a parlarne con nessuno. «Era una visita medica programmata dalla scuola, tutte le mie compagne sono state chiamate, come ci si poteva sottrarre?», racconta oggi in un videocollegamento dalla Groenlandia Naja Lyberth, classe 1960, psicologa a capo della Danish Coil Campaign, un vasto movimento di donne che a decenni di distanza hanno maturato che quella contraccezione forzata è stata una violazione dei loro diritti umani e ora, attraverso una causa collettiva contro il governo danese, ne chiedono un risarcimento morale e materiale. La Groenlandia fa parte del Regno danese e solo nel 1979 ha ottenuto una forma di autogoverno. Tra gli anni Sessanta e i primi anni Settanta, Copenaghen mise in atto una politica di controllo delle nascite dei nativi inuit in massima parte dell’insaputa delle protagoniste, violando peraltro la legge sul consenso genitoriale. Furono impiantati dispositivi intrauterini a 4.500 (alcune fonti parlano addirittura di 9mila) donne, all’incirca la metà di quelle in età fertile sull’intera isola, anche a 12enni. Proprio per le più giovani quell’intervento si trasformò in una sterilizzazione a vita. Il tasso di nascite, in effetti, si dimezzò in pochi anni con pesanti ripercussioni sull’assetto demografico dell’isola artica.

Dottoressa Lyberth, ci racconti quel giorno.

Ero a scuola nella mia città, Maniitsoq, quando mi chiamarono e mi invitarono ad andare nel vicino ospedale per quello che pensavo fosse un esame sanitario di routine. Lì un dottore danese mi fece stendere su un lettino e senza spiegarmi né chiedermi nulla introdusse la spirale nel mio corpo. Avevo 14 anni, non avevo mai baciato un ragazzo. Non ho avuto la possibilità di dire no. Il dispositivo, dalla forma a T, era molto grande rispetto alla dimensione del mio utero. Ho sentito un dolore terribile, vergogna e senso di colpa. Non dissi niente ai miei genitori, né se ne parlò con le altre compagne, ma i dolori all’addome mi hanno perseguitato ad ogni ciclo mestruale. Tre anni dopo ho tolto la spirale. Quella violenza ha avuto conseguenze: ho avuto un solo figlio a 35 anni, e non è stato affatto facile concepire. A posteriori, capisco perché. Ma allora non ricordavo nulla, avevo rimosso ciò che mi era accaduto. Solo dopo la menopausa ho fatto davvero i conti con quel trauma, il mio corpo ha ricordato, era come se avessi un coltello infilzato nell’utero. Nel 2017, dopo un trattamento psicologico, ho iniziato a parlare con altre donne della mia generazione e nel 2022, grazie anche ad alcuni servizi giornalistici, l’opinione pubblica ha saputo ciò che i medici danesi mandati dal governo avevano fatto a noi inuit.

La campagna di controllo forzato delle nascite messa in atto dalla Danimarca in Groenlandia aveva connotati razzisti?

No, non credo. Vede, il popolo inuit ha sempre avuto famiglie molto vaste, i bambini sono sempre stati considerati per i genitori il supporto per la vecchiaia. Penso che la nostra fecondità facesse paura al governo danese, ossessionato dalla modernizzazione dell’isola. Controllando le nascite si sarebbe risparmiato in futuro su asili, scuole, impianti sportivi, sistema del welfare… Si aggiunga che c’era una mentalità colonialista nei confronti della Groenlandia, nonostante dal 1953 non fossimo più una colonia.

Lei ha fatto causa al governo danese, insieme a una settantina di donne. Sono poche rispetto al totale. Come mai?

Siamo ancora all’inizio. Stiamo raccogliendo le testimonianze, anche attraverso una pagina Facebook dedicata. Per molte donne della mia generazione è stato uno choc ricordare, e ammettere che il loro corpo era stato colonizzato dal governo danese. Molte hanno avuto conseguenze drammatiche: difficoltà a concepire, aborti, sterilità, dolori, infezioni, complicazioni nella gravidanza. Molte non hanno rimosso la spirale per anni, perché nemmeno sapevano di averla. La ragazze che all’epoca avevano 12 anni sono rimaste tutte sterili. Risulta doloroso fare i conti con questa storia.

Come è cambiata la demografia dell’isola, dopo quella campagna?

La Groenlandia ha perso una generazione. Le famiglie si sono rimpicciolite, i villaggi dove si viveva di pesca sono stati abbandonati, la gente si è trasferita in città, in piccoli appartamenti.

A giugno lei si è incontrata con la prima ministra danese, Mette Frederiksen, durante una manifestazione di protesta nella capitale della Groenlandia, Nuuk. Cosa le ha detto?

Che noi donne non siamo state protette dal governo danese né lo siamo ora, visto che dal 2022, quando cioè abbiamo sollevato il caso, non abbiamo risposte. Vogliamo che il governo riconosca che sono stati violati i diritti umani di migliaia di ragazze. Ma sono certa che ci rivedremo davanti a una corte di giustizia.

Il governo danese ha aperto un’inchiesta e ha previsto l’esito nel 2025. Aspetterete?

Alcune di noi sono ormai 80enni e vogliono la verità ora, non tra due anni. Quindi no, non possiamo e non vogliamo aspettare così a lungo.

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