giovedì 17 aprile 2025
L’arcivescovo di Udine Lamba interviene, a nome dei vescovi del Nordest, nel dibattito sul suicidio assistito in Veneto e Friuli Venezia Giulia. Da medico ricorda che la vita è un dono. Da rispettare
L'arcivescovo di Udine monsignor Riccardo Lamba

L'arcivescovo di Udine monsignor Riccardo Lamba - Foto Paolo Galosi/Siciliani

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«Nessuno può autodeterminare da solo la propria esistenza, come nessuno può prendersi carico della nostra esistenza in un modo paternalistico». Dovrebbe essere questo il punto fermo della nuova legge sul fine vita, secondo l’arcivescovo di Udine monsignor Riccardo Lamba, che è anche delegato tra i presuli del Nord-est per la Pastorale della Salute. Un altro presupposto è il no a ogni accanimento terapeutico («magari per fare qualche sperimentazione»...), ma anche all’abbandono di una vita, ritenendola «inutile» o «un peso».

Lamba interviene pubblicamente perché sia in Friuli Venezia Giulia che in Veneto è ripreso nei giorni prima di Pasqua il dibattito sulle scelte legislative sul fine vita fine vita, tra l’altro con le sollecitazioni politiche al presidente Luca Zaia perché vari l’annunciato regolamento sul suicidio assistito in Regione. «In una visione della persona che ha come cardine la consapevolezza che la vita è un dono (del tutto gratuito da parte di Dio), siamo chiamati – afferma Lamba – a vivere in pienezza tutte le sue fasi: la nascita, lo sviluppo, la piena vitalità, fino agli ultimi momenti dell’esistenza terrena. Significa vivere nel pieno rispetto della dignità del dono che ci è stato fatto».

Quanto alla predisposizione della nuova legge, monsignor Lamba, che è laureato in Medicina, raccomanda anzitutto di non parlare e scrivere di malati terminali o incurabili perché «la sanità può fare molto prendendosi cura di queste persone»: «Le persone che hanno malattie gravi, spesso progressive e che non vanno incontro a processi di guarigione – spiega –, possono sempre essere prese in carico dall’assistenza sanitaria. Tutti i malati quindi possono essere curati». Il riferimento dell’arcivescovo, in questo caso, è alle cure palliative e al crinale delicato che le separa dall’accanimento terapeutico. «Per quanto le cure possano essere importanti non devono mai diventare accanimento, ma non devono nemmeno seguire il criterio dell’abbandono terapeutico – afferma Lamba –. In questo c’è il grande tema del “prendersi cura” e di aiutare la comunità ad assumere le decisioni sanitarie per migliorare sempre di più la presa in carico di queste persone con le cure di cui c’è bisogno. Oggi si parla tanto delle cure palliative che devono essere sempre più attente: in questo i vari dispositivi medici e tante altre componenti dell’assistenza sanitaria possono aiutare».

La preoccupazione dell’arcivescovo di Udine è anche che la persona in condizioni di malattia non sia lasciata sola nelle sue decisioni. «Ci deve essere un continuo dialogo tra la persona e il personale di assistenza, il personale sanitario, ma anche la famiglia e i servizi sociali. In questo continuo dialogo è possibile proporzionare tutte le cure di cui la persona ha bisogno. È importante non attendere gli ultimi giorni, ma che si inizi per tempo. Nessuno di noi può arrogarsi il diritto di dominare né sulla propria vita né su quella degli altri». In relazione al dibattito sulla legge nazionale e alla ricerca della maggiore condivisione possibile, l’arcivescovo si augura che «nella riflessione di questi giorni si tenga conto di tutti questi elementi: la visione antropologica della persona, le possibili assistenze, cure e prese in carico e anche i bisogni dai punti di vista fisico, psichico, spirituale e morale. Tutto questo – conclude – vada nella direzione del bene della singola persona che in quel momento sta vivendo la sua sofferenza».

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