venerdì 14 gennaio 2022
Primo organo da animale all'uomo: l'intervento a Baltimora su un 57enne nel cui petto ora batte il cuore di un maiale geneticamente modificato. Una prospettiva che pone anche delicati problemi etici
I chirurghi di Baltimora con il cuore del maiale pronto per essere impiantato

I chirurghi di Baltimora con il cuore del maiale pronto per essere impiantato - Ansa

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David Bennett è ancora collegato alle macchine che l’hanno fatto sopravvivere di recente, ma sorride nelle foto e rilascia interviste per iscritto. La sua vita rimane appesa a un filo, eppure per questo 57enne dal destino segnato a causa di una grave patologia cardiaca la speranza si è riaccesa. E ciò dipende dal primo xenotrapianto della storia, effettuato il 7 gennaio all’University of Maryland Medical Center di Baltimora dove, con un intervento di 8 ore, il chirurgo Bartley Griffith gli ha impiantato un cuore prelevato da un maiale geneticamente modificato. Un cuore che ora batte regolarmente nel suo petto.

Bennett, che non rientra nella lista di chi attende un organo umano perché la sua malattia è ritenuta troppo grave, ha fatto domanda alla Fda per un’autorizzazione straordinaria alla procedura. «Dovevo scegliere tra morire e il trapianto sperimentale – ha detto –. Ma io voglio vivere, so che è come sparare nel buio, era però la mia ultima possibilità». L’animale che per ora l’ha salvato viene dall’allevamento di un’azienda biotech che è intervenuta su dieci geni di quei maiali. Tre, responsabili del fortissimo rigetto che caratterizza i trapianti tra specie diverse, sono stati silenziati. Sei geni sono stati invece inseriti per contribuire al controllo del processo di risposta immunitaria, e un ultimo gene è stato spento per evitare la crescita eccessiva dell’organo.
L’équipe medica ha utilizzato anche un nuovo farmaco sperimentale per impedire al sistema immunitario del paziente di rigettare il cuore nuovo e un’apparecchiatura innovativa per pompare un fluido speciale nell’organo al fine di mantenerlo vitale dopo l’espianto.

L’attenzione della comunità medica mondiale e di tantissime persone bisognose di un trapianto cardiaco (sono 107mila solo negli Usa e 17 di esse muoiono ogni giorno) è puntata sul decorso post-operatorio di Bennett, che dovrebbe essere presto staccato dalla macchina e, se non insorgeranno complicanze, avviato a una riabilitazione dopo alcune settimane di stretta osservazione.
Se le attese sono alte, dato che gli xenotrapianti sembravano un campo senza più prospettive, gli aspetti etici sono complessi e delicati. C’è infatti il tema del via libera (pur d’emergenza e compassionevole) a una serie di tecniche non testate e sulle quali non c’è trasparenza, presumibilmente anche per ragioni commerciali. Di conseguenza, il consenso informato dato dal paziente a un intervento che per ora resterà un unicum non appare completamente trasparente, anche se l’ospedale ha fatto sapere che Bennett ha effettuato anche un colloquio psicologico.

C’è poi da chiedersi com’è possibile che una ricerca così importante, che potrebbe strappare a morte certa centinaia di persone, sia appannaggio di un’azienda privata, in questo caso l’americana Revivicor, originariamente una costola della Ppl Therapeutics, la società britannica che produsse la pecora clonata Dolly, poi acquisita nel 2011 dalla United Therapeutics. Temi meritevoli di tempestivo approfondimento. Adesso, tuttavia, è importante per tutti che David Bennett riesca a tornare a casa.

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