Spagna, il “diritto di aborto” in Costituzione? Sanchez si gioca tutto
Il premier e leader socialista, il cui governo è appeso a una maggioranza risicata, vuole seguire la Francia nella riforma costituzionale. Al centro del confronto con Popolari e Vox i medici obiettori e la “sindrome post-aborto”

Potrebbe arrivare a inizio 2026 all’esame delle Cortes – la Camera spagnola – il disegno di legge di riforma costituzionale per integrare l’articolo 43 della Carta fondamentale del Regno (diritto alla salute) introducendo il diritto di aborto, e facendo così della Spagna il secondo Paese europeo dopo la Francia a decidere questo passo. Ma il percorso per arrivare alla stessa meta cui Macron ha spinto la Republique – peraltro con un ampio consenso parlamentare, destra lepenista inclusa – è tutt’altro che scontato: l’iter prevede che a favore di una riforma della Costituzione si pronuncino i tre quinti dei parlamentari, maggioranza impensabile nel quadro politico attuale.
Il governo di sinistra guidato dal leader socialista Pedro Sanchez infatti è appeso a un filo sin dalla sua formazione, due anni fa, potendo contare sui voti del Psoe e di Sumar (ex Unidad Podemos, estrema sinistra) e sull’appoggio imprevedibile degli indipendentisti catalani e di varie regioni autonome, come Galizia, Paesi Baschi e Canarie. Proprio questa fragilità politica, sommata agli scandali finanziari che hanno minato la credibilità del Governo davanti all’opinione pubblica, sarebbe all’origine della mossa del leader socialista che, dopo aver annunciato a inizio ottobre la proposta di «blindare» (la parola che ha scelto) il diritto di abortire assicurato da una legge del 1985, martedì 14 ottobre ha presentato il progetto in Consiglio dei ministri spiegando la prima mossa: la richiesta di un parere al Consiglio di Stato, preliminare a un approdo nelle aule parlamentari.
Un governo di minoranza, insidiato dai continui attacchi del Partito popolare di Alberto Nunez Feijóo e dall’approccio aggressivo dei populisti di destra di Vox guidati da Santiago Abascal, ricorre dunque al classico argomento etico per “cambiare discorso” rispetto a un dibattito politico che lo vede in difficoltà e sempre sulla difensiva. E riprende l’iniziativa, attaccando su un argomento fortemente divisivo ma identitario cui fece ampio ricorso il suo predecessore alla Moncloa, sede del Governo, e alla guida del Psoe, José Luis Zapatero, tanto da far diventare persino proverbiale lo “zapaterismo”. Una deriva radicale incentivata dagli alleati di governo di Sumar, determinanti per il Psoe ma che Sanchez teme. L'intento dichiarato del primo ministro è di sottrarre il libero accesso all'aborto a possibili dietrofront di una maggioranza di centrodestra che dovesse prendere il potere, elevando il diritto di abortire al rango costituzionale: ma, come si vede, in gioco per Sanchez c'è anche molto di più.
La miccia che ha fatto deflagrare il dibattito con la sortita di Sanchez è stata però una duplice decisione della presidente della Comunità di Madrid, la governatrice Isabel Diaz Ayuso, e del sindaco della capitale José Luis Martinez Almeida: anzitutto la “pasionaria” del Pp, ormai nei panni della scomoda rivale interna di Feijóo, si è rifiutata di compilare una lista di medici obiettori di coscienza all’aborto, non ottemperando così al dettato della riforma alla legge sull’aborto votata nel 2023 (tra molte contestazioni: includeva infatti la possibilità per le minorenni di abortire anche senza l’assenso dei genitori e l’abolizione dei 3 giorni obbligatori di riflessione). Un secondo, e assai più discusso, provvedimento prospettato a Madrid è l’obbligo, chiesto da una mozione approvata con i voti di Pp e Vox, di informare le donne che intendono abortire delle possibili conseguenze psicologiche dell’interruzione di gravidanza, la cosiddetta – e contestatissima – “sindrome post-aborto”. In pratica, un invito a pensarci bene. Furente la reazione dei partiti di maggioranza, che hanno accusato popolari e destra di calpestare i diritti delle donne a partire da un disturbo psicologico del quale non ci sarebbe traccia nei registri ufficiali delle patologie approvati dall’Oms. Se non si tratta di “sindrome” in senso clinico, è noto tuttavia l’effetto dell’aborto sulla vita futura di molte donne, un aspetto negato recisamente da chi dell’aborto vuole fare un diritto assoluto, al punto che spesso non se ne può proprio parlare.
Obiettori e trauma post-aborto: la Spagna si sta quindi impantanando su questo duplice nodo. Uno scontro frontale che Sanchez utilizza per riprendere il centro della scena, ben sapendo tuttavia che i voti per la riforma costituzionale Feijóo non glieli darà mai. Il leader popolare, impegnato a contenere il movimentismo di Vox e le divisioni di un partito che non sempre gradisce le sue mosse per “rubare” argomenti ad Abascal, di fatto sente già aria di campagna elettorale: la prossima consultazione politica è prevista nel 2027, ma occorre farsi trovare pronti nel caso di un primo inciampo parlamentare o giudiziario di Sanchez, tutt’altro che improbabile.
Dal canto suo il premier va all’attacco delle regioni autonome (Aragona, Baleari e Madrid), a guida popolare, che non hanno ancora compilato l’elenco dei medici obiettori, senza risparmiare le Asturie, anch’esse inadempienti, governate dal Psoe. Per contrastare Sanchez, il leader del Pp ha rovesciato il suo argomento: si renda obbligatorio un elenco dei medici non obiettori, per rendere un servizio migliore alle donne che vogliono abortire. In Spagna lo scenario è assai differente da quello italiano: gli aborti sono praticati in larga maggioranza in cliniche private, con una crescita costante del loro numero complessivo (nel 2024 sono stati 106.172, + 3%; in Italia l’anno prima erano stati 65mila, con una popolazione di 59 milioni di abitanti, mentre gli spagnoli sono 10 milioni in meno).
Per fermare l’iniziativa sulla “sindrome post-aborto” ora Sanchez vuole introdurre l’obbligo di sottoporre alle donne nel percorso abortivo solo informazioni «che abbiano base scientifica e siano sostenute da istituzioni internazionali, come l’Organizzazione mondiale della sanità e l’Associazione Americana di Psichiatria, che non contemplano la pseudo sindrome post-aborto», come fanno sapere fonti del Governo.
Intanto El Pais ha pubblicato il testo della bozza di riforma della Costituzione che il premier vorrebbe presentare in Parlamento: «È riconosciuto il diritto delle donne all’interruzione volontaria della gravidanza – si legge nella proposta di nuovo comma dell’articolo 43 –. L’esercizio di tale diritto sarà in ogni caso garantito dai poteri pubblici, assicurandone l’effettiva parità di condizioni e la tutela dei diritti fondamentali delle donne». Quali siano oggi i “diritti fondamentali delle donne” è il vero cuore della questione.
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